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UNA COMUNITÀ ATTENTA AI «PICCOLI». Con le opere e la preghiera – CATECHISTI PARROCCHIALI – Gennaio 2014

Catechisti Gennaio 2014

UNA COMUNITÀ ATTENTA AI «PICCOLI». Con le opere e la preghiera

di Fabrizio Carletti

In una comunità ci sono tante persone che hanno bisogno di aiuto e di amore: poveri, ammalati, disoccupati, anziani… La comunità bambiniparrocchiale, se è una famiglia, non può disinteressarsene, ma è chiamata a educare per prendersene cura. Sono costoro «i piccoli», che Gesù incontrava e con i quali amava trascorrere del tempo, in quanto ascoltavano con speranza le sue parole di salvezza.

Gli obiettivi di questo incontro sono:
• individuare le persone bisognose, presenti in comunità;
• esercitarsi negli atteggiamenti di dono, gratuità, attenzione verso i sofferenti, per sviluppare comportamenti di prossimità.

Gesù è venuto per annunciare a tutti una bella notizia: «Il Signore è in mezzo a voi, è venuto a salvare il suo popolo». Ma non tutti lo ascoltano e lo seguono. Fra coloro che lo seguono, ci sono i più poveri, i sofferenti, le persone sole, e Gesù è felice di stare con loro.

Il percorso è da realizzare, nei diversi incontri, durante il mese.       Continua a leggere UNA COMUNITÀ ATTENTA AI «PICCOLI». Con le opere e la preghiera – CATECHISTI PARROCCHIALI – Gennaio 2014

Avventure dello Spirito

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Esistono avventure che sai di dover vivere e per le quali attendi…
Esistono avventure che non immagineresti mai di poter vivere…

Esistono poi avventure che sai di dover vivere, per le quali ti prepari, ma che ti sorprendono e sconvolgono in ogni istante: sono le avventure dello Spirito, quelle che Dio stesso prepara e accompagna e che ti chiedono di essere vigile, attenta ai minimi battiti d’ala, ai soffi leggeri, alle orme delicatamente impresse su sabbie leggere…

Questa è l’avventura che noi Figlie di San Paolo (68 provenienti da tutti i continenti) iniziamo oggi: è ilcapitolari  Capitolo Generale, tempo di straordinaria e sconvolgente Grazia che il Signore prepara per ogni Congregazione, per spingerla in avanti, per riportare ogni passo sulle sue orme, per svelarci gli orizzonti di novità verso i quali vuole condurre il nostro cuore e ogni suo figlio e figlia sulla terra.

Per noi un solo e fondamentale compito: ASCOLTARLO per poi raccontare il suo amore e la novità rivoluzionaria del suo dono, oggi.

A tutti voi cari amici e fratelli, amiche e sorelle, chiediamo preghiera, intercessione, supplica. Invocate con noi e per noi il suo Spirito. Benedite con noi il Signore della vita e di tutta la storia.

Per chi volesse seguirci, vi aspettiamo sul sito: 10° Capitolo Generale

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Buona domenica! – XXXII del T.O. – Anno B

… Guardatevi dagli scribi …

Dal Vangelo di Marco (Mc 12, 38-44)
  XXXII Domenica del Tempo Ordinario – Anno B

Guardatevi dagli scribi! Alla fine dell’anno liturgico e del commento di Marco stiamo inanellando una serie di pagine centrali, sconcertanti, urticanti, di quelle che sarebbe tanto bello togliere dal nostro cristianesimo “ fai da te” e che, invece, ci sono donate come perle preziose, come occasione per ripartire dalla fede e incarnare le riflessioni dei Padri sinodali.
L’invito di Gesù è una inquietante staffilata, ci lascia interdetti: poche volte, nei vangeli, il Signore esplicita in maniera così diretta la sua preoccupazione. I discepoli possono diventare come gli scribi, questa è la preoccupazione del Maestro. Aveva di che preoccuparsi.

SCRIBI
In origine erano semplicemente persone che sapevano scrivere e leggere e che, quindi assumevano un ruolo importante per la trasmissione dei documenti importanti. Poi, con la riforma del devoto Giosia, qualche secolo prima di Cristo, la loro importanza era accresciuta a dismisura: erano loro a custodire la Legge, loro a interpretarla, loro a giudicare chi la violava. Gesù li accusa pesantemente, senza mezze misure.
Sono vanitosi e fanno del loro servizio una smisurata ricerca di potere. Amano indossare una divisa per farsi riconoscere, amano il rispetto timoroso dei poveri cittadini, amano essere considerati come delle autorità, sono sempre presenti agli eventi sociali, godono della loro posizione e non perdono l’occasione per mettersi in mostra.
Penso a quanto successo in Campania qualche settimana fa e della sfuriata di un questore che ha rimproverato un povero prete intervenuto ad un dibattito pubblico per denunciare discariche abusive di amianto. Tema della sfuriata? La presunta mancanza di rispetto del reverendo che continuava a indirizzarsi alla collega del questore chiamandola “signora”. Sconcertante, ma è così: oggi ancora molti tengono più alla forma che alla sostanza… Ma penso anche, purtroppo, alla denuncia fatta dal cardinale di Napoli che parla di carrierismo all’interno della Chiesa. I primi posti, le divise, gli applausi e gli inviti ufficiali purtroppo esercitano ancora un fascino demoniaco su molti pastori che, con dichiarata umiltà che accogliamo con benevolenza, non si rendono conto di diventare uno spettacolo che allontana dal Vangelo. Vedere girare un ecclesiastico in auto di grossa cilindrata, magari con autista, in questi tempo non rende certo onore al ruolo ma, al contrario, diventa una grossa contro testimonianza. Ma anche nel piccolo possiamo sognare di diventare come gli scribi: in parrocchia, in una diocesi, a volte si assiste, allibiti, alla ricerca della visibilità e dell’onore. Dobbiamo davvero giudicare noi stessi con severità.

PEGGIO
Gli scribi divorano i denari delle vedove. Se la vedovanza già rappresenta uno stato di grande dolore, di lacerazione interiore, di frantumazione di affetti, restare vedove al tempo di Gesù, era una vera e propria tragedia. Senza servizi sociali, senza appoggio dalla famiglia, spesso la vedova si vedeva costretta, per vivere, a mendicare o, peggio, a prostituirsi. La condizione della vedova, perciò, era la peggiore che si potesse immaginare: sola, senza sussistenza economica, disprezzata perché mendicante o prostituta. Ma ricercata dagli scribi che riuscivano a ricevere donazioni od elemosine da donne rimaste sole e plagiate in nome di Dio.
Non posso non pensare alla situazione drammatica che stiamo vivendo, alle scene degli scontri in piazza in Grecia, ai disoccupati che crescono, tutti vittime di un sistema che non abbiamo scelto, tutti storditi dal nuovo Verbo che è l’economia, tutti succubi di meccanismi che ci sono venduti come indispensabili ed inevitabili, come se non fossimo noi ad avere creato le leggi di mercato!

ALLORA
Di fronte a questi atteggiamenti ancora così diffusi, ahimé anche nella Chiesa che siamo noi, Gesù propone, a sorpresa, il modello di una vedova che, umilmente, vede entrare nel tempio. Così la vedova del Vangelo getta nel tesoro del Tempio qualche euro, mentre i notabili della città e i devoti si spintonano per far notare le somme considerevoli che versano nelle casse del Tempio appena ricostruito. Gesù loda la generosità di questa donna che ha dato il suo necessario come offerta a Dio, e ignora le generose offerte pubblicate e titoli cubitali del miliardario di turno.
Ci sono momenti nella vita in cui perdiamo tutto: salute, lavoro, una persona cara (non necessariamente perché muore), voglia di vivere. Momenti faticosi, terribili, in cui abbiamo l’impressione di non sopravvivere. Come la vedova di Elia, trasciniamo un passo dopo l’altro, tenuti in vita da qualche affetto (il figlio per la vedova) ma rassegnati a veder consumare ogni forza, ogni energia. Quante persone in questo stato ho conosciuto nella mia vita!
La vedova del Vangelo – ingenua – mette quel poco che ha per il Tempio, per Dio. Non sa dove finiranno i soldi, forse saranno disprezzati dal sacrestano del Tempio, forse serviranno a comperare detersivo per i pavimenti… poco importa, il suo gesto è assoluto, profetico, colmo di una tenerezza infinita.

LUCE
Anche quando siamo incapaci di provare emozioni, o di desiderio di vita, possiamo diventare luce, totalità, dono, speranza. Non ce ne accorgiamo, ovvio, e forse neppure ce ne importa. E noi discepoli, fragile popolo di Dio, impariamo dalle vedove, dai poveri a contare sull’Assoluto, ad abbandonarci – sul serio – nelle mani di Colui che tutto può.
Non la gloria, non la devozione, non l’apparenza (anche clericale e cattolica!) ci salvano, ma l’essere medicanti di luce.

(PAOLO CURTAZ)


°°
Musical °°
Ascoltate o scaricate il canto Le miserie della vita
per riflettere, in musica, sul Vangelo di oggi e sullo stato d’animo
che provocano le miserie della vita…
senza dimenticare di levare lo sguardo al sole che sorge. Sempre.

Buona domenica! – XI del T.O. – Anno B

«Sapranno tutti gli alberi della foresta
che io sono il Signore,
che faccio… germogliare l’albero secco.
Io, il Signore, ho parlato e lo farò»

Cfr. libro del Profeta Ezechiele (Ez 17, 22-24)
  XI Domenica del Tempo Ordinario – Anno B

Riprendiamo il tempo ordinario, dopo la lunghissima parentesi che dalla Quaresima ci ha portato, nel Signore risorto, grazie allo Spirito, a meditare sul dono dell’Eucaristia. E lo facciamo in compagnia di Marco, il primo evangelista, discepolo di Pietro. È lui, oggi, a darci un sferzata di speranza, di fiducia, in questi tempi oscuri che ci spaventano.
La terra continua a tremare e ci spaventa la nostra fragilità. Ma altri terremoti stanno travolgendo l’Europa, vittima di se stessa, degli egoismi nazionali, di un’unione mai conclusa che ci sta portando al fallimento. E, per noi credenti, infastidiscono le piccole scosse (piccole e piccine, mediocri, risibili) di chi, fra i palazzi vaticani, pensa di fare la volontà di Dio e il bene della Chiesa spargendo veleni in nome dell’alto ideale della verità. Da come la vedo io non dovrebbero esserci dei palazzi ma poiché la storia va rispettata e amata, che siano le colombe a volteggiare fra le stanze d’Oltretevere, non i corvi. La sfiducia nasce nella quotidianità di chi, discepolo, vede la propria parrocchia faticare, il proprio parroco sfinirsi, le comunità indebolirsi. Stiamo dando un’immagine fragile di Chiesa, agli occhi del mondo. E allora? Dio abita le nostre debolezze, dinamica ben rappresentata da un fragile papa incanutito che, pure, fa vibrare il cuore di un milione di fedeli con le sue miti parole sulla fede.
È il momento giusto per riflettere su cos’è la Chiesa. Meglio: su “chi” è la Chiesa.

ESILIO
Ioiachim, l’ultimo discendente del re Davide, è stato sconfitto e deportato in Babilonia dal feroce re Nabucodonosor. Tutto è perduto: la città santa distrutta, il tempio bruciato e l’Arca trafugata come bottino di guerra. Il terremoto della guerra non offre speranze, il rigoglioso cedro della dinastia davidica è stato impietosamente tagliato alla radice.
Eppure, dice uno dei deportati, un sacerdote del tempio, Ezechiele, Dio prenderà un germoglio dall’albero reciso e lo pianterà, facendolo ricrescere. Ma, lo sappiamo, non sarà più un regno terreno quello che crescerà, ma un’altra realtà, un Regno che passa attraverso i cuori. E colui che verrà, il germoglio di Iesse, è per noi il Cristo. Dio non si stanca dell’umanità, non si scoraggia, non si lascia atterrire dai nostri errori, ma, sempre, ci conduce alla pienezza in modi che non ci aspettiamo.

FATICA
Abbiamo conosciuto il Signore che ci ha cambiato la vita, illuminandola. Sentiamo forte il desiderio di condividere la felicità che abbiamo trovato e che altri ci hanno consegnato e ci siamo resi disponibili ad annunciare il Regno, là dove viviamo. Ma quanta fatica incontriamo! Come catechisti, evangelizzatori, animatori di coppie, collaboratori della liturgia… ci rendiamo conto di quanto lavoro occorre fare e quanta poca forza abbiamo. A volte ci prende l’ansia da prestazione e corriamo come dei matti, salvo poi svuotarci interiormente.
Gesù, oggi, ci rassicura: dobbiamo gettare il seme della Parola in terra, abbondantemente. Non sui marmi delle nostre chiese svuotate, ma sull’asfalto del nostro quartiere di periferia. Uscire e gettare il seme, senza preoccuparsi. Parlare di Dio, bene, con verità, con coerenza. Poi, ci penserà il seme, progressivamente, a crescere. Siamo sempre molto concentrati sul discepolato, su cosa fare per diventare testimoni. Ottimo, bene. Ma subito dopo occorre ricordarci che è Dio che opera. Il mondo è già salvo, solo che non lo sa. Noi possiamo vivere da salvati, al meglio delle nostre possibilità. Il seme cresce da sé.
Gesù ci invita alla pazienza, a lasciar perdere l’ansia, la fobia di tenere tutto sotto controllo, il volere programmare e capire tutto nella nostra vita spirituale. La vita ci porta a pensare che le cose dipendono da noi, dalla nostra buona volontà: ci tocca programmare tutto, anche il riposo! E il rischio di applicare questa categoria alle cose dello Spirito è quanto mai presente. Entusiasti, ci siamo avviati sulle strade del Vangelo e vi abbiamo intuito la verità, coinvolti emotivamente in un’esperienza, in una comunità, in un percorso di preghiera. Poi, dopo qualche tempo, ecco sopraggiungere le difficoltà: fatica a pregare, aridità, inquietudine… E sorge il dubbio; starò sbagliando? Cosa posso fare? Nulla, lasciati fare: se il seme è piantato, stai tranquillo, lascia fare al Signore. La vita interiore richiede tempo e ritmo che non possiamo pretendere di manipolare e nella fede la priorità è sempre di Dio.

SENAPE
La seconda parabola ci ricorda la stupefacente proprietà del seme di senapa, piccolo al punto da rassomigliare alla polvere, e che pure diventa un grande arbusto. La realtà del Regno è così, sia in noi che intorno a noi.
In noi: un piccolo gesto, un piccolo impegno, una piccola apertura nei confronti del Signore può spalancare la diga della fede che tutto irriga e feconda. Anche se la nostra vita è colma di distrazioni, il seme può crescere, nella mia vita e intorno a me, con piccoli gesti di testimonianza, talora insignificanti, che producono risultati sorprendenti. E il Regno intorno a noi è così: questa piccola comunità di uomini e donne che è la Chiesa ha solcato l’oceano della storia fecondando il mondo della speranza del Vangelo. Allo sguardo della fede non sfugge il fatto che milioni di uomini e donne si riconoscono fratelli e figli e cambiano la storia indirizzandola su sentieri di luce: non temiamo, dunque, perché la nostra comunità, i nostri gesti, la nostra celebrazione feconda la realtà, la insemina, lasciando che sia il Signore a far crescere il suo Regno in mezzo a noi.
Per capire questa dinamica sotterranea ci serve il silenzio e la meditazione, solo ritirandoci in disparte con Gesù possiamo veramente capire come Dio opera nella nostra quotidianità.

(PAOLO CURTAZ)


SS. Corpo e Sangue di Cristo – Anno B

«Dov’è la mia stanza, in cui io possa
mangiare la Pasqua con i miei discepoli?»

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 14,12-16.22-26)
  SS. Corpo e Sangue di Cristo – Anno B

Di quanto Spirito abbiamo bisogno per potere capire che Dio è comunione?
Di quanto Spirito abbiamo bisogno per smetterla di litigare e imitare la Trinità?
Di quanto Spirito abbiamo bisogno per superare questo momento tragico, lo spettacolo che diamo al mondo di un gruppo di discepoli che si fanno la guerra, che imitano i corvi invece di invocare la colomba?
Scenda il fuoco e ci purifichi, ci sostenga, ci incoraggi.

Il mite Pietro chiede di uscire dalla Babele a partire da chi gli sta attorno e ha assorbito la logica del mondo. Anche noi siamo chiamati a convertire il nostro cuore, a far diventare le nostre comunità l’anti-babele, il pallido riflesso della Trinità. Difficile, lo so, non ditelo a me. Dio ci dona l’esempio, facendosi pane. E ogni comunità, ogni domenica, si stringe a lui e ripete, come il popolo dell’alleanza: quanto il Signore ha detto noi lo faremo.

LA STANZA
“Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. Sta per essere arrestato e ucciso il Maestro. I suoi non lo sanno, non se ne accorgono, sono troppo concentrati su loro stessi e sui loro limiti per vedere ciò che sta per succedere. Gesù, invece, ha ormai piena consapevolezza che tutto volge al termine, che sta per compiere il dono più grande, il dono della sua stessa vita. Servirà? Capirà, l’uomo, che Dio lo ama liberamente, senza condizioni? Saprà l’uomo, infine, arrendersi all’evidenza di un Dio donato?
Si avvicina la Pasqua: Gesù sa che non riuscirà a celebrarla con i discepoli. Decide di anticiparla, chiede ospitalità ad uno sconosciuto, in quella stanza al primo piano, sul monte Sion che sovrasta la città, di fronte al Tempio, Gesù sta per dare l’addio ai suoi discepoli, facendo loro il regalo più grande: la sua presenza eterna.
“Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”.

PARTECIPI
Non sappiamo neppure il nome del tale il cui servo sceso ad attingere acqua incrocia in città i discepoli del Nazareno che lo seguono per chiedere al proprietario una stanza per celebrare la Pasqua. Gesù, però, considera sua quella stanza. Sua, perché vi resterà per sempre. Sua, perché chi accoglie il Maestro, anche senza saperlo, anche senza consapevolezza, si vede trasformare la vita. Proprio come accade nelle nostre spente assemblee domenicali.

TIEPIDEZZE
Dio, il misericordioso, mi ha dato molte gioie nella vita. Una di queste è il potere conoscere molte comunità, sparse nei quattro angoli dell’Italia, e di pregare con loro. Ho partecipato ad assemblee di comunità vivaci, coraggiose, a veglie di preghiera intense, a messe piene di gioia e di emozione. Raramente.
Più spesso, partecipo a delle messe fiacche, tiepide, distratte, spente, esasperanti.
Quante volte incontro degli amici che, avvicinatisi al Signore, convertiti alla e dalla Parola, faticano a nutrire la propria spiritualità in grandi città piene di chiese e povere di fede! Quante volte, io stesso, in vacanza, ho partecipato con dolore e insofferenza a celebrazioni raffazzonate, frettolose, senza preghiera! Gesù, però, sceglie di fare “sue” anche quelle stanze. Non ha la puzza sotto il naso, il Signore, si adatta. Ha voluto con sé, nel momento più faticoso della sua vita, i suoi dodici poveri apostoli. Poveri e fragili come noi, instabili e lunatici come noi. “Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”.

CONVERSIONI
Partecipiamo con costanza e forza alle nostre celebrazioni, anche se sbiadite. Se possibile, mettiamoci in gioco per cambiarle, per renderle più gioiose, accoglienti, oranti. Addobbiamola, la stanza alta, rendiamola accogliente al meglio delle nostre forze e delle nostre possibilità. Ma se ciò non è possibile, pazienza. Se si adatta Gesù, noi non ci adatteremo? Viviamo tempi difficili, tempi in cui la fede è messa a dura prova. Penso al dolore di tanti sacerdoti che si ritrovano a donare la loro intera vita per annunciare il vangelo e si ritrovano a fare i funzionari davanti a comunità pagane nei fatti, se non nelle abitudini!
Oggi celebriamo il Mistero della presenza reale, concreta, attuale, salvifica di Cristo nell’Eucarestia: il Rabbì si rende accessibile, incontrabile, si fa pane del cammino, diventa cibo per l’uomo stremato. Rabbrividisco di fronte alla poca fede mia e delle nostre comunità.

POCA FEDE
Il problema è semplice: la nostra fede è poca, ridotta al lumicino.
E allora la Messa è peso, fatica, incomprensione. Ma se crediamo che il Maestro è presente, al di là della povertà del luogo e delle persone, tutto cambia. L’Eucarestia diventa il centro della settimana, la Parola celebrata ritornerà in mente durante il lavoro e lo studio. Da quel pane donato, ripartiamo. Perché la “sua” stanza torni ad essere addobbata.

(PAOLO CURTAZ)


GP2 GenerAzioni – Memoria Liturgica della Beatificazione!

Il nostro tempo ci invita, ci spinge, ci obbliga a guardare il Signore e ad immergere in una umile e devota meditazione del mistero della suprema potestà dello stesso Cristo. […]
La potestà assoluta e pure dolce e soave del Signore risponde a tutto il profondo dell’uomo, alle sue più elevate aspirazioni di intelletto, di volontà, di cuore. Essa non parla con un linguaggio di forza, ma si esprime nella carità e nella verità.

Il nuovo Successore di Pietro nella Sede di Roma eleva oggi una fervente, umile, fiduciosa preghiera:

“O Cristo! Fa’ che io possa diventare ed essere servitore
della tua unica potestà!
Servitore della tua dolce potestà!
Servitore della tua potestà che non conosce il tramonto!
Fa’ che io possa essere un servo! Anzi, servo dei tuoi servi”.

Fratelli e Sorelle! Non abbiate paura di accogliere Cristo e di accettare la sua potestà!
Aiutate il Papa e tutti quanti vogliono servire Cristo e, con la potestà di Cristo, servire l’uomo e l’umanità intera!

Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!

Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo.
Non abbiate paura! Cristo sa “cosa è dentro l’uomo”. Solo lui lo sa! Oggi così spesso l’uomo non sa cosa si porta dentro, nel profondo del suo animo, del suo cuore. Così spesso è incerto del senso della sua vita su questa terra. 
È invaso dal dubbio che si tramuta in disperazione.
Permettete, quindi – vi prego, vi imploro con umiltà e con fiducia – permettete a Cristo di parlare all’uomo. Solo lui ha parole di vita, sì! di vita eterna.

Omelia di Giovanni Paolo II
per l’inizio del Pontificato
Domenica 22 Ottobre  1978


Noi accogliendo il desiderio del nostro fratello Agostino Cardinale Vallini, nostro Vicario generale per la Diocesi di Roma, di molti altri fratelli dell’Episcopato e di molti fedeli; dopo aver avuto il parere della Congregazione delle cause dei Santi, con la nostra autorità Apostolica concediamo che il Venerabile servo di Dio Giovanni Paolo II Papa, d’ora in poi sia chiamato Beato e che si possa celebrare la sua festa nei luoghi secondo le regole stabilite dal diritto ogni anno il 22 Ottobre.

GP2 GenerAzioni – Corpus Domini!

Al di fuori della celebrazione eucaristica, la Chiesa si prende cura di venerare l’Eucaristia che deve essere “conservata… come il centro spirituale della comunità religiosa e parrocchiale“.
La contemplazione prolunga la comunione e permette di incontrare durevolmente Cristo, vero Dio e vero uomo, di lasciarsi guardare da lui e di fare esperienza della sua presenza.
Quando lo contempliamo presente nel Santissimo Sacramento dell’altare, Cristo si avvicina a noi e diventa intimo con noi più di quanto lo siamo noi stessi; ci rende partecipi della sua vita divina in un’unione che trasforma e, mediante lo Spirito, ci apre la porta che conduce al Padre, come egli stesso disse a Filippo: “Chi ha visto me ha visto il Padre” (Gv 14,9).
La contemplazione, che è anche una comunione di desiderio, ci associa intimamente a Cristo e associa in modo particolare coloro che sono impossibilitati a riceverlo. Rimanendo in silenzio dinanzi al santissimo sacramento, è Cristo, totalmente e realmente presente, che noi scopriamo, che noi adoriamo e con il quale stiamo in rapporto.
Non è quindi attraverso i sensi che lo percepiamo e gli siamo vicini. Sotto le specie del pane e del vino, è la fede e l’amore che ci portano a riconoscere il Signore, lui ci comunica pienamente “i benefici di questa redenzione che ha compiuto, lui, il Maestro, il Buon Pastore, il mediatore più gradito al Padre“.

Tratto dal libro
365 giorni con Giovanni Paolo II

Buona domenica! – Corpus Domini

Poiché vi è un solo pane,
noi siamo, benché molti, un solo corpo:
tutti infatti partecipiamo all’unico pane.

Dalla prima lettera di San Paolo Apostolo ai Corinzi (1Cor 10,16-17)
SS. CORPO E SANGUE DI CRISTO – Anno A

Penso capiti a tutti, quando si va a mangiare in qualche ristorante o pizzeria, di osservare la disposizione dei clienti. Da come sono disposti i tavoli e da come sono sedute le persone, è abbastanza immediato capire i legami che ci sono e il grado di conoscenza reciproca. Se si va dove di solito a mezzogiorno si recano a mangiare, nella pausa pranzo, i lavoratori, può capitare benissimo di vedere persone che mangiano da sole oppure piccoli gruppi di colleghi che si mettono vicino e si scambiano qualche chiacchiera, anche se hanno poco tempo. La sera e nei giorni di festa invece è possibile veder mangiare insieme grossi gruppi. Quando si esce in compagnie numerose si cerca il più possibile di unire i tavoli per far in modo che ci sia un unico punto di aggregazione. E anche se con molta probabilità molti dei commensali del gruppo non riusciranno a parlarsi perché troppo distanti, non si vuole mangiare in tavoli divisi, ma in un unico tavolone, cosa che mette sempre un po’ in crisi i camerieri… E la riuscita di una cena di gruppo (una famiglia, un gruppo di amici…) non è solo nelle cose che si mangiano, ma prima di tutto è nella qualità del gruppo stesso. Anche i piatti più gustosi e raffinati non riescono a fare bella una festa, se il gruppo è diviso e ci sono tensioni e freddezze.
Quando pensiamo all’Eucaristia, ci fermiamo sempre molto sulle parole che Gesù ha pronunciato (“Questo è il mio corpo…”, “Questo è il mio sangue…”) e poca attenzione mettiamo a tutto quello che succede attorno. Per comprendere bene le parole di Gesù sul pane e sul vino, che ancora oggi sono al centro delle nostre celebrazioni domenicali e feriali, non possiamo non tener presente cosa il Signore vuole dai suoi discepoli. Gesù parla di comunione tra i suoi amici. Insegna loro ad essere un corpo solo e a distinguersi dagli altri nella capacità di volersi bene, perdonandosi e sostenendosi nelle difficoltà. Quando pensiamo al Corpo di Cristo e al suo Sangue, non possiamo pensare solo al contenuto del Tabernacolo e al vino dentro il Calice. Questi due elementi sono il segno sacramentale della presenza di Gesù che non si esaurisce li, ma si realizza nel Corpo di Cristo che è la comunità dei cristiani e anche di tutti gli uomini. Sottolineo questo perché tante volte la nostra preoccupazione riguardo la Messa domenicale sembra cadere tutta sul Pane e sul Vino consacrati come Corpo e Sangue di Cristo, mentre poca attenzione viene data al Corpo di Cristo che è la comunità che sta celebrando.
Il Corpo di Cristo prima di tutto è la comunità che celebra il Signore. Come sono attento a venerare il Pane consacrato, così devo porre attenzione al mio fratello e alla mia sorella che ho vicino, o anche al fratello e sorella che non ho vicini fisicamente, ma che come me fanno parte della stessa fede e della stessa umanità, anche se sono dall’altra parte della terra.
Ritornando al paragone con il ristorante, mi chiedo se le nostre Messe non assomiglino più a dei pranzi veloci di lavoro, dove si cerca di mangiare soli e senza troppi legami con chi sta accanto… Come sono le nostre messe? Fast-food individuali e veloci, oppure sono una Cena di famiglia, dove attorno all’unica tavola si celebra la comunione con Dio e tra di noi?

(DON GIOVANNI BERTI)

…e per continuare la riflessione guarda il power-point:
Credere
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