Rimanete in me e io in voi, dice il Signore,
chi rimane in me porta molto frutto.
(Gv 15,4a.5b)
È lapidario l’apostolo Giovanni: «Non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità», inizia così la seconda lettura, tratta dalla Prima lettera di Giovanni. Amare, questo sembra essere l’obiettivo, la meta. E amore è lo stile che, guardandoci attorno, respiriamo se fissiamo lo sguardo su Gesù di Nazaret e su chi nella storia è stato vero testimone del Vangelo. Amare, questo forse il passo e la scelta più difficile quando il cuore ti suggerisce di seguire lui e la sua parola.
Poi davanti noi, in questa V domenica di Pasqua, si materializza il Vangelo, breve e intenso. Pochi tratti, quasi fossero un dipinto: vite, tralci e un agricoltore. Ma nello stomaco e nel cuore il fuoco vince a scapito della tranquillità. E quella che ci sta davanti non è semplicemente un’immagine, una metafora affascinante e poetica, uno dei mille possibili modi di parlare di Dio.
Vite, tralci e un agricoltore determinato a rendere la sua vite bella e feconda sono una sorta di progetto di vita, di proposta sfacciata, tra l’insolente e lo scomodo.
Vite, tralci e un agricoltore sono l’ennesima possibilità che Dio ci dà per renderci ciò che di fatto potremmo davvero essere: un capolavoro.
L’agricoltore è Dio. E le letture di questa V domenica di Pasqua non fanno altro che ricordarci quanto sia forte il legame che ci unisce a lui e che rende possibile anche l’impossibile. Dio ha sempre fatto di tutto per salvare, proteggere, riscattare, curare la sua fragile vite, il suo popolo, i suoi figli. Ma ora, per noi, lui va ancora oltre. Non siamo solo la sua vite, ma egli stesso si è fatto vite, lui si è fatto fragilità, tempo, umanità: lui si è fatto noi perché in noi potesse scorrere la sua stessa vita, perché noi potessimo diventare come lui eternità, amore.
Il dono è grande. Ma il dono è una proposta. È una possibilità da scegliere. È una decisione da vivere.
L’agricoltore c’è. La vite c’è. Ma restare o non restare connessi con lui non è che una scelta. Permettere alla vita di Dio di attraversarci non è frutto di casualità, destino, fortuna, semplice e non voluta predilezione. La vite c’è, ed è rigogliosa, anche quando le tempeste della vita la sferzano. Ha affondato le radici in noi e nulla la sradica dalla nostra umanità. Ma noi dovremmo smetterla di sentirci sempre e solo rametti spezzati dai venti. E se anche fosse, noi possiamo comunque rimanere agganciati alla vite, qualsiasi sia il vento che ci colpisce. Purché lo vogliamo!
La potatura non è un’eliminazione forzata di un “rametto” ribelle, non rispettoso, non allineato con il Catechismo. Chi è agricoltore sa che la vite viene curata, accompagnata, non trascurata. La potatura elimina ciò che è già morto, non ciò che è solo ferito. Ma noi, “rametti feriti”, dobbiamo metterci del nostro perché la morte non ci travolga, perché l’odio, i germi di vendetta, la voglia di farsi i fatti propri – sempre capace di fare capolino quando il mondo ci ha deluso e continua a farlo… – la superficialità, l’autodifesa da relazioni impegnative non diventi il nostro stile di vita. Tutto questo genera non-vita e poi morte. E potatura diventa null’altro se non la ratifica di quanto abbiamo scelto e provocato con le nostre stesse mani.
Rimanere in lui invece è la nostra possibilità di amare, e amare con i fatti, amare tutte le volte in cui l’amore può essere la sola risposta che il mondo vorrebbe ricevere.
L’amore che il Vangelo chiede non è possibile se non ti scorre dentro la vita di Dio.
L’amore che salva tutto e tutti, l’amore che può aprire uno spiraglio di pace anche quando tutto sembra orientato alla guerra, l’amore che credi possa far rifiorire anche il cuore più gelido, l’amore gratuito e liberante è davvero possibile; è, sì, proprio di Dio, ma lui lo ha reso possibile anche per noi… se stretti a lui, alla sua parola, alla sua vita.
Rimanere in te
Rimanere in te, Signore Gesù,
legati alla tua vita come un tralcio alla vite.
Rimanere in te per vivere,
rimanere in te per non morire.
Rimanere in te per portare vita,
rimanere in te per imparare ad amare.
Siamo tralci, Signore, fragili e delicati,
a volte spezzati, spesso carichi,
o forse più volte svuotati.
Ma sappiamo di non essere soli.
Sappiamo che la tua vita ci scorre dentro.
Sappiamo di poter fare la differenza perché amati.
Signore, insegnaci ad amare, non a parole,
ma con i fatti e nella verità.
Amen, Alleluia!
DAL VANGELO DELLA DOMENICA
(Gv 15,1-8)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».
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