Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito;
chiunque crede in lui ha la vita eterna.
(Cf. Gv 3,16)
«Non fate della casa del Padre mio un mercato!». È forse la frase più iconica del brano di Vangelo che la III domenica di Quaresima ci offre. Frase che – unita all’immagine di Gesù che fende aria e cose a suon di frusta e che rovescia banchi e getta a terra denaro – ci mette decisamente spalle al muro. La tentazione è quella di prendere questo atteggiamento del Maestro e di traslarlo a oggi applicandolo ovviamente a chi della Chiesa, o del Vangelo, fa mercato. E ne potremmo davvero dire molte in merito. Ma oggi questa applicazione voglio definirla tentazione, appunto.
Vi chiedo invece di concentrarvi non su ciò che accade fuori di noi, ma su ciò che accade dentro di noi.
Partiamo da una certezza: siamo il tempio di Dio, siamo il luogo per eccellenza in cui la relazione con Dio accade, siamo quel tempo e quello spazio che può accogliere e riconoscere il donarsi di Dio, siamo a sua immagine, a immagine della sua vita (non della sua onnipotenza!), immagine della sua prossimità, della sua pluralità. Siamo il tempio di Dio, e lo Spirito di Dio vive in noi, siamo il suo corpo, siamo quelle pietre vive che quotidianamente costruiscono il suo Regno, regno di pace e di giustizia, di misericordia e tenerezza, di beatitudine e partecipazione.
Ora, applichiamo questa certezza, che è al contempo dono e chiamata, al Vangelo di oggi.
Quel tempio siamo noi: di che cosa ci siamo riempiti? Di che cosa ci stiamo svuotando? A che cosa stiamo dando valore? Cosa Gesù di Nazaret oggi rovescerebbe nella nostra vita?
Dio, presente sul Sinai, pronuncia parole di liberazione. E parte da una storia di liberazione. Ricorda al popolo un’esperienza di liberazione. Così, il tempio in cui Gesù entra a Gerusalemme non è altro, o meglio, non dovrebbe essere altro se non memoria vivente del Dio presente che libera, del Dio che continua a pronunciare parole di benedizione, di liberazione, di creazione. E sappiamo che la parola di Dio è parola che crea, che fa accadere la vita, che realizza ciò che pronuncia.
Il tempio che Dio vuole abitare, quello non fatto da muri ma da carne, da storie, da incroci (e scontri) di vite, diventa proprio per la sua presenza luogo e spazio in cui la liberazione è un evento continuo, che lui non si stanca di generare.
La domanda è: lo vogliamo davvero? Vogliamo essere donne e uomini autenticamente liberati? Donne e uomini capaci di liberare? Vogliamo essere tempio in cui la vita accade?
Le dieci parole che Dio pronuncia sono cammino di liberazione. Colui che ha liberato il suo popolo, desidera per il suo popolo la vita autentica, la pienezza di una relazione che non ricada in nuove forme di schiavitù, che non si leghi a nuove idolatrie, che non patteggi con la morte, che non si prostri né prostri altri. Se avete la possibilità di leggere o ascoltare la Prima lettura nella forma lunga scoprirete che al cosiddetto terzo comandamento vengono riservati ben quattro versetti: «Ricordati del giorno di sabato…». Lo dice a noi, e lo dice a me con particolare forza: «Ricordati di santificare il tempo, ricordati che non sei onnipotente, ricordati che hai un limite, ricordati che devi fermarti perché la storia non ti appartiene, ricordati di non legarti alla schiavitù dell’efficienza, del tutto in ordine, del tu e io. Ricordati di santificare il giorno in cui io porto a compimento la creazione, la rendo nuova, e non lo faccio con la forza della parola creatrice, ma con il silenzio e l’impotenza della croce. Ricordati di fermarti, almeno nel giorno della salvezza, e rimettermi al centro della tua vita e del compiersi di tutta la storia umana e universale».
Gesù, oggi, entrando nella nostra vita, con la Parola, con l’Eucaristia, con la vita di chi ci sta accanto non vorrebbe trovarci se non così: non pieni di valute da scambiare, ma preoccupati solo di ricordare chi è colui che muove il mondo e dà luce alla nostra intelligenza, e prospettive alle nostre energie…
Non abbiamo bisogno di altri segni: Cristo crocifisso e risorto è sufficientemente scandaloso per convincerci.
UNA PREGHIERA COME SOSTEGNO
Crocifisso e risorto
Cristo Gesù, la tua croce,
scandalo anche per noi credenti,
ci risollevi dalla nostra stanca impotenza
o ci abbassi dal quel pericoloso senso
di onnipotente efficientismo.
Tu, crocifisso e risorto,
insegnaci a trovare tempi e modi
per fare spazio in noi alla tua parola
che ci nutre e fa vivere;
a sprecare il tempo per accorgerci del mondo;
a riconoscere la silenziosa opera del Creatore
che nella Croce salva.
Convertici a te! Convertici all’amore!
Convertici al Vangelo!
DAL VANGELO DELLA DOMENICA
(Gv 2,13-25)
Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà».
Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo.
Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.
Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo.
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