Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce
(Gv1,8)
Una è la parola d’ordine di questa terza domenica di Avvento: gioia! Non letizia, non serenità… ma gioia. È a questo che invitano e spingono le letture. Gioia… quella che cerchiamo con tutti i mezzi, quella per cui pagheremmo tutto l’oro del mondo, quella per cui siamo disposti perfino a compromettere la vita altrui.
La terza domenica di Avvento ce la mette lì come possibilità, come meta e come dono, ma sposta la sorgente dalla terra al cielo. Noi gioiremmo di cose che non possiamo oggettivamente trattenere, mentre le Scritture ci spingono a cercare la sorgente della gioia in un Oltre che ci raggiunge, in un Dio che si fa presenza, in un Cielo che tocca la Terra, e la tocca veramente, al punto da farsi terra.
Ma non si tratta di accontentarci, di fare di Dio un surrogato di una gioia impossibile qui in questa vita. Tutt’altro! Noi non abbiamo semplicemente bisogno di Dio, di un dio qualunque. Non abbiamo bisogno di qualcuno o qualcosa che riempia il nostro vuoto, che diventi la causa di tutti quei perché a cui non sappiamo dare una risposta. Non abbiamo bisogno di un dio strozzino, sempre pronto a chiedere un riscatto per ogni dono concesso. Lasciatemelo dire: non abbiamo bisogno di un dio onnipotente, intoccabile, inguardabile, giustiziere e iracondo. La storia ha già pagato (e sta ancora pagando) oboli altissimi per questi bisogni troppo umani, ma forse troppo poco umanizzanti. Gli dei onnipotenti non ci hanno resi migliori… ci hanno solo consentito di essere più violenti. Nel senso che abbiamo usato la loro presunta volontà come alibi per i nostri atteggiamenti…
Il Dio necessario alla storia e all’umanità è quel Dio di cui Giovanni dice: «Io sono voce…». Lui invece è la luce, lui l’atteso, lui il compimento delle promesse antiche, lui la manifestazione di quella preziosa e inaudita volontà di Dio: la nostra salvezza. Lui è l’atteso di cui i profeti hanno parlato e che Isaia descrive in modo straordinario: lui è la persona (carne, ossa, storia, spirito, materia) in cui vive lo Spirito di Dio e in cui l’umanità raggiunge il suo apice, la forma perfetta. In lui, pienezza di un’umanità realizzata, non vediamo solo Dio, ma vediamo anche ciò che tutte e tutti noi potremmo essere.
L’atteso, il Messia, il Cristo svetta nelle parole di Isaia come capolavoro di umanità: portatore di lieti annunci a chi sembra aver mollato la presa; paziente “curatore” di cuori segnati dal dolore e spezzati; audace voce di liberazione; donatore di seconde e infinite possibilità. È questo il Dio fatto carne che i Vangeli ci hanno insegnato a scoprire, il Dio prossimo, il Pastore buono, il padre prodigo di amore. In Gesù di Nazaret si fa carne l’amore di Dio per noi, si fa storia il suo desiderio di seminare di bene la nostra terra, accompagnando i piccoli germogli perché diventino frutti buoni.
In tutto questo è la sorgente della nostra gioia. In tutto questo è la possibilità di un futuro di gioia per il mondo. Se solo smettessimo da subito di pensare che lui sia un ideale e iniziassimo a vivere come lui ha vissuto… La gioia sarebbe oggi… e sarebbe per tutti. Non spegniamo lo Spirito, non disprezziamo i semi di novità che Dio sta seminando. Il Natale ce lo ripete instancabilmente: io nasco perché voi viviate!
UNA PREGHIERA COME SOSTEGNO
Vieni tra noi!
Vieni tra noi, Signore Gesù,
volto del Dio che possiamo guardare.
Vieni tra noi, Signore Gesù,
mani di Dio che possiamo toccare.
Vieni tra noi, Signore Gesù,
voce di Dio che possiamo ascoltare.
Vieni tra noi, Signore Gesù,
passi di Dio che possiamo seguire.
Vieni tra noi, Signore Gesù,
vita di Dio che possiamo vivere.
Abbiamo bisogno di te, Gesù di Nazaret,
e della tua autentica umanità:
vieni, e aprici a una pienezza
che ancora ci sfugge;
vieni, e convincici che l’amore
non è teoria ma scelte.
Vieni, Signore, in te la nostra gioia.
Vieni, maranatha!
DAL VANGELO DELLA DOMENICA
(Gv 1,6-8.19-28)
Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Questa è la testimonianza di Giovanni,
quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo:
«Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?».
Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa».
Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei.
Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo».
Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.
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