Archivi categoria: catechisti parrocchiali

RAGAZZI & DINTORNI – Gennaio 2012 – Benevolenza

UNA CASA ACCOGLIENTE

di Alessandra Beltrami

In questo articolo proponiamo un incontro di preghiera per spiegare ai ragazzi il significato della benevolenza.
Al centro della stanza, sul tavolo o su un leggio, porre la Bibbia e, accanto, un cero acceso. Si predispone un cartellone con, al centro, il disegno stilizzato di una casa, e pennarelli colorati. 

Si comincia l’incontro con il canto iniziale La tua dimora (D. Ricci, La tua dimora, Paoline, 2005)

Il catechista può introdurre l’incontro con queste parole: ci siamo riuniti per ringraziare il Padre per il suo amore che si è rivelato in Gesù, è entrato nella nostra vita tramite lo Spirito Santo e agisce in noi, trasformandoci dal di dentro. La benevolenza, la bontà, la benignità sono atteggiamenti del cuore che impariamo da Dio e sperimentiamo come suo dono.
A noi il compito di irraggiare questo amore verso chi ci sta accanto, in un processo di «restituzione» di tutto il bene che abbiamo ricevuto.
Lasciamoci plasmare dalla Parola e contempliamo, negli atteggiamenti indicati da Paolo, il modo di agire di Gesù.

Si procede con l’ascolto della Parola tratta dalla Lettera ai Romani 12,14-21

A questo punto il catechista procede cercando di sottolineare alcuni aspetti importanti: l’Apostolo delle genti ci invita ad essere attenti a chi soffre, a chi è nel bisogno, anche se ci è ostile, perché soltanto l’amore può vincere il male. Seguire Gesù, imitare i suoi gesti di benevolenza ci rende coraggiosi nel donarci e responsabili gli uni degli altri. Si mettono le basi per una costruzione solida e sicura, «la casa sulla roccia» di cui parla Gesù (Mt 7,24-27).

Si continua con un gesto significativo: durante un tempo di silenzio, si invitano i ragazzi a rileggere il brano e a confrontarsi con la Parola. Poi si chiede loro di ricordare un gesto di bontà che hanno ricevuto e per cui desiderano ringraziare il Signore, o un comportamento generoso di cui si sono resi protagonisti nei confronti di qualcuno. Si apre una condivisione, al termine della quale, a turno, i ragazzi completano il disegno della casa, sul cartellone, inserendo: porta d’ingresso, finestre, persone gioiose, a significare il desiderio di apertura agli altri e la volontà di essere dimora accogliente.

Prima della preghiera e del canto finale il catechista può concludere l’incontro con queste parole: la casa e la famiglia sono il luogo dove si impara e si vive il servizio. Dice un antico racconto rabbinico: «Quando compri una casa o la prendi in affitto, fa’ che abbia finestre grandi, a indicare l’apertura della famiglia alla preghiera e agli altri».

Preghiera: Padre nostro

Canto finale: Nella tua presenza (D. Ricci, La tua dimora, Paoline, 2005)

Questo e molti altri suggerimenti per la catechesi dei ragazzi sul numero di Gennaio dell’inserto Ragazzi & Dintorni dossier mensile di Catechisti Parrocchiali.

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CATECHISTI PARROCCHIALI – Gennaio 2012: IN NOVITÀ DI VITA

COSTRUIRE UNA CASA SICURA – LE REGOLE

di Franca Feliziani Kannheiser

Regola proviene dal latino regula (da regere: guidare, governare) una parola che indicava l’asticella diritta o la squadra che si usa per tracciare gli elementi o i margini di un disegno. Ogni geometra, architetto, ingegnere sa che senza questo strumento è impossibile elaborare un progetto. La regola ha un valore strumentale, ma indispensabile.

Le regole sono come «le sponde di un fiume»: hanno la funzione di contenere, di dare forma e struttura all’acqua che scorre, permettendole di raggiungere il suo obiettivo. Come le sponde del fiume non sono fine a se stesse, ma hanno senso nel permettere al fiume di espletare la sua natura e le sue finalità, così le regole sono valide nella misura in cui favoriscono i processi comunicativi e l’esperienza di fede dei ragazzi. Sono strumenti per vivere valori come l’ascolto reciproco, la scoperta condivisa, la riflessione insieme, la costruzione di nuove conoscenze e nuovi atteggiamenti.

Perché le regole svolgano il loro compito di facilitatori della vita e del lavoro del gruppo devono essere riconosciute e condivise.
Stabilire un regolamento di gruppo esercita i fanciulli a esprimere i loro desideri, ad armonizzarli con quelli degli altri, a negoziare in vista del bene del gruppo e non solo del proprio. Si passa pian piano dalla mentalità dell’io a quella del noi, dal ciò che mi piace a ciò che desideriamo costruire insieme.
È bene formulare le regole in positivo: non una sfilza di no, ma una breve lista di traguardi da raggiungere insieme a favore di tutti.
Le nostre saranno «regole per far fiorire l’amicizia, per ascoltare chi chiede la parola, per renderci attenti alla parola di Gesù, ecc.».

Le buone regole sono come frecce che indicano la giusta direzione; possono anche essere discusse e modificate:
«Ci sono regole nel nostro gruppo che vorremmo cambiare? Perché? Come?».

Di seguito riportiamo un racconto che si può leggere ai ragazzi per meglio far comprendere l’importanza delle regole:
Gli abitanti del paese Chissàdove si erano stancati di obbedire alle regole: «Da ora in avanti non ci sono più regole!», decisero. «Che bello!». La scuola si chiuse perché i bambini preferivano giocare. La gente metteva tavoli e sedie in mezzo alla strada per prendere il sole. I giovani alzavano gli stereo al massimo volume ventiquattro ore su ventiquattro. Quando Piero uscì dalla piscina non ritrovò più la sua maglietta preferita, perché l’aveva presa Nicola. «Non ci sono più regole!», gridò Nicola ridendo e se ne andò. Maria trovò Lucia con la sua bambola preferita: «Ma che cosa stai facendo con la mia bambola?». «Non ci sono più regole!», esclamò Lucia e raccolse tutte le bambole di Maria, e se le portò via. Quando la gente voleva andare a dormire, gli altoparlanti continuavano a trasmettere musica a tutta birra. Molti non trovavano più i loro soldi. I bambini si mettevano a dormire dove capitava. Le macchine urtavano contro i tavoli messi in mezzo alla strada e gli autisti erano disperati perché nessuno dava retta ai clacson. «No, così non possiamo vivere!», dissero tutti. «Dobbiamo avere regole».
E insieme ne fissarono alcune:

• i bambini devono obbedire ai genitori;
• i genitori devono amare i figli;
• ognuno deve fare del bene e non del male all’altro;
• nessuno deve prendere ciò che è di un altro;
• bisogna dire la verità.
«Sì, queste regole ci vanno bene», dicevano tutti, e se ne tornarono nelle loro case, finalmente tranquilli.

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RAGAZZI & DINTORNI – Gennaio 2012 – Benevolenza

FILANTROPIA E BENIGNITÀ

di Cecilia Salizzoni

Il film nasce da un’esperienza reale, raccontata dai protagonisti in un libro uscito in America nel 1999 con il titolo The Freedom Writers Diary: How a Teacher and 150 Teens Used Writing to Change Themselves and the World Around Them e cioè «Il diario dei Freedom Writers (scrittori della libertà): come un’insegnante e 150 adolescenti usarono la scrittura per cambiare se stessi e il mondo intorno a loro».
È la storia di Erin Gruwell, insegnante di lettere al suo primo incarico alla «Woodrow Wilson» High School di Long Beach (Los Angeles), nel 1994; un liceo messo a dura prova dal programma di integrazione razziale, seguito agli scontri di Los Angeles del 1992 per la morte di Rodney King.
L’inserimento massiccio di ragazzi di colore con gravi problemi sociali avrebbe compromesso la qualità dell’insegnamento e i risultati scolastici.
Di fatto ciò che la giovane Gruwell trova, entrando in classe, è la riproduzione dei ghetti etnici esterni alla scuola: l’aula come territorio spartito tra ispanici, afro, asiatici, che si guardano in cagnesco,  pronti alla mischia armata e che guardano con odio i bianchi.
Un impatto da shock anafilattico, che dovrebbe far crollare l’idealismo entusiastico della professoressa, che non trova supporto nei colleghi e neppure nel marito.
Invece «la Gruwell» – come la chiamano i ragazzi – tiene la posizione senza lasciarsi intimorire.
Ascolta, si fa carico del punto di vista degli studenti, e rilancia. Ottiene di sovvertire le frontiere non scritte che attraversano la classe; dimostra che sono numerose le cose che accomunano i «diversi»; li mette di fronte all’operato e ai risultati di una «gang» di portata grandemente superiore alle loro, com’è stato il Nazismo e la guerra alle Nazioni, e riesce, così, ad entrare in contatto con questi quattordicenni induriti, che si difendono facendo guerra a tutto e a tutti.
Per farlo, paga di persona, perché la Scuola non intende mettere a repentaglio l’equilibrio precario: rifiuta i libri che «finirebbero distrutti», rifiuta le uscite didattiche. E la Gruwell sopperisce di suo, fa secondi e terzi lavori per pagare libri e uscite, cerca sponsor per organizzare una cena in cui i ragazzi incontrano i sopravvissuti all’Olocausto.
Si scontra con le autorità didattiche, si gioca perfino il matrimonio nell’impresa, perché il marito la ritiene nobile, ma non intende condividerla.
I ragazzi, però, «sentono» quello che fa per loro; sentono il rispetto, un altro tipo di rispetto, un interesse vero per le loro vite. E, per la prima volta, «sentono» il dolore di altri, l’oppressione di altri come loro.
La Gruwell si serve del diario quotidiano, personale e segreto, come strumento per dilatare la sensibilità e sostenere il cammino di cambiamento. Inaspettatamente i ragazzi scrivono e chiedono di essere letti. Arrivano a «tradire» in tribunale la logica della gang, per affermare la verità e la giustizia.
Contro ogni speranza, arriverann al diploma e, perfino, al college.
Ma soprattutto si riconoscono «una famiglia» e la loro aula – la classe 203 – diventa «casa», quella in cui costruire un mondo migliore di quello che è fuori.

Il film è strutturato sulla «visione» contrapposta dei ragazzi e della professoressa, e sul progressivo cambiamento dei ragazzi:
• che idea hanno della città, della scuola, della vita, i ragazzi immigrati di Long Beach? Quale via hanno scelto per ottenere la liberazione? Quale idea di famiglia coltivano? Dove li porta la «guerra tribale» che stanno combattendo?
• Quale via di liberazione propone, invece, Erin Gruwell? Con quali armi combatte la sua battaglia? Quale tipo di famiglia propone ai ragazzi? E soprattutto che cosa la anima? Perché fa quello che fa? Quale prezzo paga?
• In che modo è paragonabile a quello che ci propone Gesù?
• La canzone A dream è ispirata al discorso I have a dream di Martin Luther King: cosa c’entra con questa storia? Che cosa proponeva MLK?
• Nel film Miep Gies afferma: «Io non sono un eroe». Ho fatto quello che dovevo fare perché era la cosa giusta da fare. Noi siamo persone comuni, ma anche una comune casalinga… o un adolescente, possono riuscire ad accendere una piccola luce in una stanza buia. Voi siete eroi tutti i giorni». Che cosa potete fare voi per essere portatori di libertà e di pace?

Abbi fiducia nei tuoi sogni e un giorno,
il tuo arcobaleno sorriderà attraverso te.
Non importa quanto il tuo cuore sia afflitto,
se continui a credere, il sogno che coltivi si avvererà.

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CATECHISTI PARROCCHIALI – Gennaio 2012: IN NOVITÀ DI VITA

SANDALI PER SEGUIRE GESÙ

di F. Carletti – A.M. D’Angelo

La natura dell’uomo è quella del pellegrino, che si incammina lungo la storia della salvezza alla ricerca della verità e della felicità.
Ma Dio non lo lascia solo: si affianca al cammino di ogni persona per farsi conoscere gradualmente, fino alla sua piena rivelazione in Gesù.
I sandali costituiscono un simbolo per rappresentare per i fanciulli l’incamminarsi di ogni uomo e donna a fianco di Gesù, l’accettare il suo invito per giungere alla felicità piena. I sandali, inoltre, sono una calzatura semplice: come il cuore del fedele che si affida a Dio; come il cuore di Bartimeo che con slancio si affida a Gesù, abbandonando il mantello, perché in lui vede la sua ricchezza e il suo futuro.
Si propone ai fanciulli di realizzare sandali speciali: un segnalibro da usare per la Bibbia che si ha in casa, per camminare con Gesù lungo la storia della salvezza. Si ricorderà al fanciullo e a suoi genitori  come la Parola sia la via da percorrere per affiancare Gesù lungo una strada di gioia e comunione.
Materiale: 1 foglio di carta bianca di almeno 220 grammi, 1 stringa per scarpe di colore marrone larga massimo 1 cm, cartone, colla da calzolai, pennarello marrone, mollette per panni, forbici.
Al lavoro:
• Si ritagliano due sagome di piedi come quelle riportate nel disegno (una con le bordature per incollarci le strisce di stringa); le sagome dovranno avere un’altezza di almeno 7 cm e una larghezza di 3 cm.
• Si colorano le sagome di marrone.
• Si ritaglia, poi, la stringa per scarpe ottenendo 3 pezzi da applicare sulla sagoma che ha le opportune alette per il fissaggio. Si incollano le stringhe e si lasciano asciugare stringendole con le mollette per panni.
• Si disegnano due altre sagome di piede e si ritagliano.
• Ritagliare un altro pezzo di stringa più lungo, almeno 15 cm, che servirà da collegamento tra i due sandali per usarli da segnalibro.
• Si applica sulla sagoma semplice la scritta «Vieni e seguimi» e si incolla sulla corrispondente sagoma in cartone, avendo l’accortezza di incollare in mezzo ai due strati un pezzo della stringa tagliata prima.
• Applicare le mollette alla sagoma per fissare meglio la colla.
• Incollare l’altra parte della stringa più lunga dietro al sandalo prima costruito.
Tutti riuniti e seduti. I genitori chiedono al figlio di raccontare l’esperienza di Bartimeo. La mamma accende la lampada al centro della tavola, dove è deposta la Bibbia o il Vangelo, con il sandalo-segnalibro alla pagina di Mc 10,46-52, e invita ad ascoltare il brano del cieco di Gerico: «Cerchiamo di comprendere cosa è avvenuto e quale messaggio ha per noi, oggi». Il papà legge lentamente il brano e depone la Bibbia accanto alla lampada, invitando tutti ad un momento di riflessione su quanto annunciato.

Questi e molti altri suggerimenti per la catechesi dei ragazzi nel numero di Gennaio di Catechisti Parrocchiali, dove è anche possibile vedere le foto del lavoro finito.

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RAGAZZI & DINTORNI – Dicembre 2011 – Magnanimità

L’IMPAZIENZA DI GESÙ

di Tonino Lasconi

«Il troppo stroppia», recita il proverbio. Essere troppo magnanimi come Gesù non fa correre il rischio di passare per tonti? Un momento, però! Anche Gesù qualche volta ha perso la pazienza…

Con i farisei. Per chiamarli: «serpenti, razza di vipere» (Mt 23,33), doveva proprio averla persa tutta la pazienza.

Con i mercanti del tempio addirittura: «Fece una frusta di cordicelle e li scacciò fuori dal tempio; gettò a terra il denaro dei cambiavalute e ne rovesciò i banchi» (Gv 2,15). Una scena da film western!

Pietro, che gli suggerì di non andare a Gerusalemme dove avrebbe dovuto soffrire, fu apostrofato con un terribile: «Va’ dietro a me, Satana!» (Mt 16,23).

Con la pianta di fico. Gesù si comporta in modo contrario rispetto a ciò che aveva insegnato con una parabola. Sì! Una mattina, uscendo da Betania, paesetto vicino a Gerusalemme, egli, avendo fame, si accostò a un fico per vedere se ci fossero frutti, ma non trovandovi che foglie – e non era la stagione dei fichi – lo maledisse: «Nessuno mai più in eterno mangi i tuoi frutti». La mattina dopo l’albero era seccato dalle radici (Mc 11,12- 14;20). Eppure, nella parabola (Lc 13,6-9), il contadino invita il padrone di un albero di fichi a non tagliarlo, ad avere pazienza, a zappargli intorno e a concimarlo, anche se da tre anni non dava frutti.

La magnanimità e la pazienza non devono essere confuse con la rassegnazione di fronte al male e a coloro che si comportano male; tanto meno, possono significare la rinuncia alla verità e ai propri principi.

Con i farisei Gesù è deciso e netto. Essi si contrappongono al suo messaggio di una fede fondata sulla fiducia in Dio e non sulle pratiche esteriori, e caparbiamente sono sordi a ogni ripensamento. Anzi! Cercano di impedirgli di annunciare la misericordia di Dio: «Se aveste compreso che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrifici, non avreste condannato persone senza colpa» (Mt 12,7).

Con Pietro. Gli apostoli, a cominciare da Pietro, devono superare la convinzione di evitare la croce, fondamento del suo progetto di salvezza e del suo messaggio. Infatti, nonostante la rispostaccia data, Pietro, durante l’Ultima Cena, non voleva farsi lavare i piedi: «Tu non mi laverai i piedi in eterno». Gesù dovette di nuovo essere forte: «Se non ti laverò, non avrai parte con me» (Gv 13,8).

Contro i mercanti del tempio, era necessario un gesto forte, perché il loro commercio annullava la natura di quel luogo: «Non sta forse scritto: La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le nazioni? Voi invece ne avete fatto un covo di ladri» (Mc 12,17).

L’impazienza contro il fico è spiegata da Gesù: è un gesto per far comprendere ai discepoli che con la preghiera si può ottenere tutto, anche spostare le montagne (Mc 12,20-24).

Gli scatti di impazienza di Gesù esprimono il coraggio di contrapporsi al male e di portare avanti le proprie convinzioni.
Di questi scatti dovremmo averne anche noi discepoli.

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—> I confini dell’amore <—

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CATECHISTI PARROCCHIALI – Dicembre 2011: NOI CREDIAMO ALL’AMORE

È NATO IL SALVATORE

di F. Carletti – A.M. D’Angelo

La rappresentazione in ogni casa della venuta di Gesù, è incentrata sulla statuetta del bambino Gesù nel presepe, posta sulla mangiatoia, circondata da Maria e Giuseppe, oltre che dal bue e dall’asinello. Un Dio che si affida a persone umane, che appare fragile, che suscita in noi tenerezza, che ha bisogno di noi per realizzare il suo progetto di salvezza… e non lo compie mai senza l’uomo!
Possiamo accostarci al Figlio di Dio con questo atteggiamento di tenerezza e ammirazione, stupore e curiosità.
Sarà bello allora realizzare la nostra statuetta del bambino Gesù per vivere momenti di raccoglimento durante questo speciale periodo di Natale.

In continuità con il numero di novembre, dove si proponeva la costruzione di una mangiatoia, in questa scheda operativa si descrive come realizzare con i fanciulli la statuetta del bambino Gesù, usando sagome di polistirolo. La statuetta potrà essere posta, poi, sopra la mangiatoia e tenuta in camera o in altre parti della casa come simbolo del Natale, per vivere in famiglia brevi momenti di preghiera. Materiale: una pallina di polistirolo del diametro di 4 cm, un ovetto di polistirolo di 6 cm di altezza, stuzzicadenti, un pennellino, colori a tempera.
Al lavoro:
Si uniscono le due sagome di polistirolo attraverso un normale stuzzicadenti.
Si dipingono le due sagome con i colori a tempera come nella foto.
Si attende che la tempera si asciughi (per velocizzare si può lasciare per qualche minuto all’aperto).
A questo punto con un pennarello si possono disegnare gli occhi e la bocca, le braccia e decorare a piacimento.

Un consiglio importante: per motivare fanciulli e ragazzi nella realizzazione di questi oggetti, è bene mostrare, prima d’iniziare l’attività, un esempio di prodotto finito. I fanciulli hanno bisogno di vedere, per entusiasmarsi e impegnarsi, cosa realizzeranno, altrimenti è più facile che si perdano d’animo o sbuffino prima ancora di mettersi all’opera.

La sera, durante le feste di Natale, ci si ritrova davanti alla mangiatoia con il Bambino e il lumino acceso, comodamente seduti. Un tenue sottofondo musicale. Il papà o la mamma legge lentamente il brano della nascita di Gesù (Mt 1,18-24).
Si posa lo sguardo sul Bambino per qualche minuto, rimanendo in silenzio, poi si prega:

Gesù, sei solo un bambino nella
culla, eppure sei già capace di parlarmi.
Sì, davanti a te, non è possibile far tacere
sentimenti ed emozioni, messaggi
che ci dicono semplicemente quanto
tu e il Padre ci amate!
Tu, Figlio di Dio, che non ti dimentichi di noi!
Tu, Figlio di Dio,
che hai scelto di stare con noi!
E tu, Dio Padre, che in Gesù
sei stato fedele alle tue promesse!
Gesù, sei solo un bambino
nella culla, ma sei Dio vicino a noi!
Se teniamo la tua luce accesa,
possiamo vederti sempre.
Aiutaci a riempire il nostro lume
con l’olio dell’amore, perché tu risplenda
nei nostri cuori e nei nostri gesti.
Grazie, Gesù!

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RAGAZZI & DINTORNI – Novembre 2011 – Pace

DIVENTA UN CANALE DI PACE

di Fausto Negri

Il contrario di pace non è soltanto «guerra», ma anche divisione, violenza, aggressione, disprezzo, razzismo, indifferenza. La pace è dono e compito. Noi non possiamo essere sorgenti della pace ma solo canali.
È Gesù la sorgente della pace, noi siamo il fiume che deve trasportare la pace sua, quella «che supera ogni intelligenza». Dio stesso è il vero e supremo «operatore di pace». Questa pace «frutto dello Spirito» (Gal 5,22) si traduce, per il credente, nel diventare un canale di pace. La somiglianza con il Padre si ha mediante la costante attività a favore della pace. Gesù chiama «beati» i costruttori di pace, cioè coloro che lavorano per la felicità degli altri, perché Dio li riconosce come suoi figli. Figlio, nel mondo semitico, è colui che nella condotta assomiglia al padre. L’uomo di pace fa la pace sino ad essere lui stesso pace. A lui «appartiene il futuro» (Sal 37,37).
La pace deve iniziare da me. Come l’amore, essa non potrà mai regnare nel mondo se prima non trova posto nel nostro cuore. Devo curare la mia pace interiore. Disarmare il mio cuore. Non posso lasciarmi schiacciare dai mali e dalle divisioni che vi sono intorno a me e nel mondo. Non devo nemmeno essere indifferente o, peggio, cinico di fronte alle tante tragedie odierne. Quando una persona è in pace con se stessa, la gente se ne accorge, perché possiede come un’energia divina che fa stare bene chi la accosta.
La pace è frutto di serenità interiore e diffonde gioia. L’uomo di pace è attraente.
La pace è possibile ed è da vivere in famiglia, con i vicini di casa, a scuola, per strada, in parrocchia…
Soprattutto nella comunità cristiana dovrebbe splendere la fiaccola della pace e della fraternità. San Cipriano scriveva: «Dio ci ha prescritto di essere operatori di pace, concordi e unanimi nella sua casa. Se siamo figli di Dio, rimaniamo nella pace di Dio. Coloro che hanno ricevuto un unico Spirito, abbiano un cuor solo e un’anima sola. Dio non accoglie il sacrificio di chi è in discordia, anzi comanda di lasciare l’altare e riconciliarsi prima con il fratello. Soltanto così le nostre preghiere saranno ispirate alla pace e gradite a Dio. Il sacrificio più grande da offrire a Dio è la nostra pace e la concordia fraterna».
Diceva don Primo Mazzolari: «Il cristiano è una persona «di pace», non «in pace». Mentre gli apatici, per la propria tranquillità, evitano ogni situazione di conflitto, «i portatori di pace» non sono soltanto persone in pace con se stesse, ma sanno creare pace attorno a sé. La pace di cui parla Gesù non è la rassegnazione di quanti, per il quieto vivere, lasciano che le cose vadano come vadano.
Mettere pace è un’arte che comporta una grande fatica: si tratta di ascoltare, di parlare nel modo giusto, di pazientare… Gesù dice di amare i propri nemici.
Non significa lasciarsi fare tutto, ma vedere in chi è ostile verso di noi una persona incapace di vivere in pace con sé. Il pastore protestante Dietrich Bonhoeffer, ucciso in campo di sterminio tedesco, affermava che «i discepoli di Gesù mantengono la pace, preferendo patire piuttosto che infliggere sofferenza a un altro, conservano la comunione dove altri la infrangono, rinunciano all’affermazione di sé e tengono a freno l’odio e l’ingiustizia. Essendo coinvolti nell’opera di pace di Cristo, anch’essi saranno chiamati figli di Dio».
Nel mondo ci sono tante guerre, tanto odio, tante ingiustizie: la responsabilità è anche tua, perché neanche tu sai costruire e seminare pace dentro e intorno a te. Quante volte pure tu sei uno dei milioni di piccoli sassi che generano quella frana, imprevedibile e inarrestabile che sconvolge la terra: con le tue antipatie, ostinazioni, vendette, con il tuo orgoglio, egoismo, razzismo, con la tua indifferenza.

Vuoi davvero la pace?
Sii sempre grato.
Sii distaccato dalle cose e dal possesso.
  Impara a chiedere perdono a Dio e a offrire il perdono ai fratelli in ogni occasione.
  Non giudicare nessuno, in cuor tuo, meritevole di condanna.
  Mantieni un po’ di ordine nella tua vita.
Cerca, con regolarità, tranquillità e silenzio.
 Appena puoi, dopo una lite, tenta un minimo di accordo e di dialogo.
Costruiscila, non chiudendo il tuo cuore, ma dicendo una buona parola per scusare e conciliare.
  Non tacere di fronte alla menzogna, all’ingiustizia, alla maldicenza, alla disonestà.
  Mettiti in ginocchio per invocarla e per ottenerla per te e per tutto il mondo.

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Novembre 2011 – Per i lettori di Catechisti Parrocchiali Dossier Ragazzi&Dintorni/ – rubrica Musica


Carissimi Catechisti,

Noi: in guerra o in pace?

E’ la PACE, il frutto con cui vi state confrontando nel percorso sui frutti dello Spirito, ed è quindi il tema che anche su questa pagina ci chiede un ulteriore approfondimento e una possibile integrazione del percorso proposto sull’articolo.

Come avrete già visto, il percorso è già notevolmente ricco di passaggi, di proposte e spunti su cui lavorare. Pertanto qui scelgo di mettere in evidenza solo alcuni punti e del materiale che potrebbe esservi utile.

Zoomiamo come sempre allora sulle tre tappe che fanno sintesi di tutto il percorso:

  1. Scoprire il dono di Dio!
    La pace è frutto, ma come sempre è necessario chiederci: qual è il dono che la genera? Cosa Dio semina in noi per permettere alla pace di crescere in noi e diventare forte? Mi sento di poter dire che in questo caso il vero e proprio dono è la vita stessa di Gesù, il suo modo di scegliere, di costruire relazioni, di parlare, insegnare, camminare… vivere! Gesù, dovrebbe poter diventare per i ragazzi un modello, un riferimento forte, “UNO” da imitare.
  2. Predisporci per accogliere il dono.
    Se vogliamo che i ragazzi prendano Gesù in considerazione, allora noi dobbiamo imparare a non chiamarlo modello o esempio, perchè ai ragazzi dà la sensazione di uno fuori dalla portata. Lui è “UN GRANDE”: ci ha creduto fino in fondo in quello che ha detto, e si è visto. Avviciniamo la vita del Signore Gesù alla vita dei ragazzi… per questo sono stati scritti i Vangeli! Al di là delle singole storielle, facciamo vedere i contrasti, le provocazioni, la radicalità, la forza del messaggio… in fondo Gesù parla di pace, ma parla soprattutto dei costruttori di pace (ricordate le beatitudini!!)
  3. Fare passi veri e propri nella vita quotidiana e questo è estremamente necessario.
    “Sii strumento della pace, dove vivi tu”: questo canteranno i ragazzi se sceglierete di vivere con loro l’ultima dinamica proposta nell’articolo. E questo è il vero punto di svolta.

    Aiutateli a mettersi davanti a una pace che non è solo un ideale e non può essere solo una preghiera. La Pace non è solo dono di Dio, ma frutto di una risposta data a Dio.Vi suggerisco, proprio rispetto a questa terza tappa, di valorizzare il video che vi proponiamo; video che abbiamo preparato in stretta connessione con il cammino proposto.

PRIMA DELLA VISIONE

La proiezione sarebbe molto buono farla seguire alla dinamica proposta a p.8 (l’ultima del paragrafo “La Pace nel mondo”). Aiutate i ragazzi a immaginare realisticamente il mondo che vorrebbero, immaginarlo anche spingendoli a sognare, a volare un po’ più alto. Sollecitateli a ideali grandi, anche se apparentemente irraggiungibili (hanno bisogno che qualcuno li aiuti anche in questo!!!)

VISUALIZZAZIONEIl mondo che vorrei, Laura Pausini

SUCCESSIVAMENTE…

…aiutate i ragazzi a fare zoom su un aspetto del canto: chi può far sì che il mondo diventi migliore? Io o Dio? Di chi Gesù dice: “beati i costruttori di pace”? Dell’uomo o di Dio? Strano a dirsi, noi chiediamo a Dio di mettere pace nel mondo e non pensiamo che Dio chiede a noi di farlo.
E’ necessario riflettere insieme sul testo di Laura Pausini:

“Come si fa a rimanere immobili, indifferenti…
ma che senso ha ascoltare e non cambiare…”

Il mondo aspetta una risposta di pace che parte dal cuore di ognuno, per questo è importante fermarsi, aiutare i ragazzi a entrare nelle tante situazioni di guerra che creano o che subiscono direttamente o indirettamente.
Il dono della Pace può chiederlo solo chi ha fatto di tutto non solo per ottenerlo, ma soprattutto per costruirlo.

Ve lo richiedo allora e, ognuno, prima di chiederlo ai ragazzi, lo chieda a se stesso: “In me c’è guerra o pace?”, “Nelle cose che vivo, nelle relazioni che vivo: sono in guerra o sono in pace”?

Vi riporto qui di seguito alcuni titoli che potreste trovare ugualmente interessanti, anche se vanno oltre il percorso proposto.

  1. Il mio nome è mai più di Ligabue & Piero Pelù
  2. Generale di Stefano Picchi
  3. La pace sia con te di Renato Zero

E vi rendo inoltre scaricabile il testo del canto Alti e bassi di Maria Lacquaniti, che come già suggerito nell’articolo, potrebbe essere molto interessante, per aiutare i ragazzi a entrare in se stessi e nel proprio cuore… nelle loro continue guerre con i loro sentimenti.

A questo punto non mi resta che augurarvi Buon tutto a tutti e buon lavoro!!!


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Catechisti Parrocchiali
suor Mariangela – paoline

CATECHISTI PARROCCHIALI – Novembre 2011: NEL DESIDERIO DI COLUI CHE VIENE

UN CUORE UMILE E SEMPLICE…

di F. Carletti – A.M. D’Angelo

In Avvento, durante la preparazione del presepe, tra tutti gli elementi che lo compongono ve n’è uno che spesso passa inosservato: la mangiatoia. Ci sono Maria e Giuseppe in attesa di Gesù, i pastori che si avviano alla capanna, case e casette, angeli e greggi… e la mangiatoia resta nell’ombra della stalla di Betlemme.
Eppure è interessante soffermarci su questo oggetto che ha avuto la fortuna di accogliere il Figlio di Dio. Prima, in realtà, Gesù è stato accolto dal grembo di Maria, ma possiamo dire che il cuore della Madonna era umile e semplice come una mangiatoia.
L’attività proposta, è quella di realizzare con i fanciulli le mangiatoie, utilizzando materiali semplici ed economici.
La mangiatoia vuota potrà poi essere portata a casa e tenuta in camera per diversi motivi:
• come simbolo dell’Avvento e, quindi, dell’attesa della nascita di Gesù;
• per ricordarci che, per accogliere Gesù, occorre avere un cuore semplice e umile come quello di Maria. Durante l’Avvento, la mangiatoia potrà essere usata anche come porta lumino: del resto siamo in attesa di una luce (Gv 1,4-5) in grado di illuminare il mondo, la nostra vita;
• potrà costituire un simbolo per la preghiera personale o in famiglia.

Il materiale che si può utilizzare per la costruzione della mangiatoia è: un panetto di Das, colori a tempera, un pennellino, un coltello di plastica e paglia artificiale.
Per costruire la mangiatoia basta seguire i passaggi illustrati dalle figure a pagina 15 della rivista e cioè:
– bisogna prendere alcune strisce di Das, appallottolarle e, poi con le mani, stenderle su un piano formando strisce affusolate (passaggio 1);
– tagliare con il coltello di plastica 12 strisce di Das della lunghezza di circa 8 cm (passaggio 2);
– disporre parallelamente due strisce alla distanza di 2 cm, si tratta delle basi della mangiatoia (passaggio 3);
– stendere tre strisce di Das sui due assi, incurvandole, formando gli elementi portanti su cui disporre orizzontalmente le altre strisce rimaste (passaggio 4);
– mettere le restanti strisce sulla base così formata, creando il piano d’appoggio della mangiatoia;
– lasciare seccare il Das;
– pitturare con le tempere e quando la tempera è asciutta mettere la paglia sopra.

In casa predisporre un angolo per la preghiera in cui collocare il Vangelo aperto e la mangiatoia porta lumino, per accenderlo e sedersi intorno.
Si propone ai ragazzi di trovare un momento tranquillo della giornata dove porsi davanti alla mangiatoia, con il lumino acceso per intrattenersi in un breve dialogo con Dio.
Si può, poi, suggerire ai ragazzi di leggere insieme ai genitori, alla sera, un brano del vangelo per tutto il periodo di avvento.

Questi e molti altri suggerimenti per la catechesi dei ragazzi nel numero di Novembre di Catechisti Parrocchiali

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CATECHISTI PARROCCHIALI – Novembre 2011: NEL DESIDERIO DI COLUI CHE VIENE

ACCOLGO IL SIGNORE CHE VIENE

di Anna Maria D’Angelo

Da Maria, la mamma di Gesù, possiamo imparare come rispondere «» alla chiamata del Signore. Maria è benedetta fra le  donne perché, resa piena di grazia, ha creduto alla parola del Signore ed è diventata la Madre di Dio.
Il tempo libero dei nostri ragazzi diventa sempre più «impegnato»: il lunedì l’inglese, il martedì il tempo prolungato a scuola, il mercoledì in palestra… tante attività, una dopo l’altra. Così essi trascorrono i giorni, i mesi e gli anni senza sapere il «perché» delle loro azioni. È importante educarli a dedicare tempo a riflettere sulla loro vita, a pensare, insieme con papà e mamma, al loro futuro, e a scoprire che cosa il Signore vuole da loro.
Seduti tutti in cerchio si domanda ai ragazzi se di recente hanno accolto in casa un parente o un amico perché ha dovuto lasciare la propria casa. Si lascia dire, poi si racconta una storia di vita: “È sera. Giusy, Teresa, il papà e la mamma, finalmente sono insieme dopo una giornata intensa. Mentre si cena, ecco lo squillo di nonna Luisa che non sentivano da una settimana. La mamma risponde e, dopo i primi secondi, ammutolisce…, poi le ultime parole: «Mamma, adesso su due piedi, non posso dirti niente, ti faremo sapere. Ciao». Stravolta comunica: «La nonna è in ospedale per una frattura del femore, fra alcuni giorni sarà dimessa e non potrà stare da sola, ci chiede di ospitarla». Improvvisamente il silenzio piomba su tutta la famiglia. Poi, uno dopo l’altro, con un filo di voce: «Con il mio lavoro, ho bisogno di tranquillità!» (il papà). «Il poco tempo libero che mi resta, dovrò dedicarlo a lei? E, poi, non abbiamo una camera libera!» (la mamma). «Io non voglio una vecchia malata tra i piedi! Sai che rompi!» (Teresa). «Nella mia cameretta posso fare spazio alla nonna!» (Giusy). Il giorno dopo, i genitori comunicarono alla nonna che sarebbero andati a prenderla in ospedale. Giusy si mette all’opera; raccoglie in uno scatolone le cose che ingombrano e con l’aiuto del papà fa spazio al letto della nonna. Con il suo arrivo la vita di Giusy è totalmente cambiata. Rinunzia ad alcuni impegni per stare con la nonna. In breve tempo è come ammaliata dai suoi racconti di vita e annota su un taccuino le brevi risposte che riceve alle sue tante domande. Non avrebbe mai pensato che rileggendole, dopo qualche anno, vi avrebbe trovato tanta saggezza e luce per la sua vita.

Può seguire una breve riflessione: Giusy e Teresa, due modi diversi di rispondere al bisogno della nonna. Chi delle due ci ha perso? Chi ci ha guadagnato? Come? Anche a una ragazza di Nazaret, villaggio della Palestina, 2000 anni fa è capitato qualcosa come a Giusy.

In seguito ci si sposta verso l’angolo della Parola, prima preparato, con il segno della mangiatoia ben visibile.
Il catechista racconta di Maria di Nazaret, fidanzata di Giuseppe. Come con lui faceva i suoi progetti per il futuro, quando un angelo le annuncia il progetto che Dio ha per lei: «Sei chiamata ad essere la madre di Gesù…». Immaginiamo Maria: «Ma come può succedere una cosa del genere? Io sono solo fidanzata con lui!».
L’angelo la rassicura: «Non temere! È tutto opera dello Spirito Santo… Nulla è impossibile a Dio!». Maria diventa, così, grembo (mangiatoia) che accoglie Gesù: «Eccomi! Sono pronta a fare ciò che Dio vuole» (Lc 1,26-38).

Prendendo spunto dalla Parola può seguire una piccola riflessione: come Dio ha chiamato Abramo, Mosè, Maria, chiama noi oggi a realizzare il suo progetto d’amore.
Si fa presente nella nostra vita, nei bisogni dei poveri e dei sofferenti. Egli vuole costruire con noi il nostro futuro.
Siamo prossimi all’Avvento, il tempo in cui i cristiani si preparano a celebrare il Natale di Gesù. Le nostre città sono illuminate.

Accendiamo anche noi una luce: prepariamo insieme due mangiatoie porta lumino.
Individuiamo una persona che vive da sola e, d’accordo con i genitori, un pomeriggio di catechesi andiamo a farle visita (o facciamo in modo che partecipi al nostro incontro).
Ci interessiamo alla sua giornata e raccontiamo dei nostri incontri di catechesi. Poi promettiamo di pensare spesso a lei e, come segno della nostra amicizia, le facciamo dono della mangiatoia-porta lumino con l’invito di accendere la luce quando si sente maggiormente sola. La luce e il calore della fiamma ci renderà incredibilmente presenti.

Questi e molti altri suggerimenti per la catechesi dei ragazzi nel numero di Novembre di Catechisti Parrocchiali

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