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RAGAZZI & DINTORNI – Febbraio 2013 – “… la comunione dei santi”

Dossier Feb13

SIAMO UNA GRANDE FAMIGLIA

di Cecilia Salizzoni

«Oggi le categorie culturali e i linguaggi con cui si esprime la comunità cristiana sono incomprensibili per le nuove generazioni e irrilevanti per le generazioni adulte. Parole e concetti – come quelli di salvezza, peccato, redenzione… – sono completamente estranee a persone che sono cresciute in un clima culturale in cui tali idee sono sparite e sono diventate estranee al modo comune di pensare la vita e di esprimerla». football
Lo diceva Paola Bignardi, parlando della Fede alla prova del tempo, a Trento nel settembre scorso, ed è l’esperienza quotidiana dei catechisti.
Vogliamo verificare con «comunione dei santi»?
Per mettere a fuoco tale realtà, proveremo a puntare sul primo livello di significato: la comunione e la santità a cui sono chiamati coloro che si dicono cristiani, qui sulla terra. Una comunione che ha il proprio modello nella famiglia; la famiglia in cui ci si vuole bene, con un amore che non è esclusivo, ma aperto al mondo circostante.
Si accorge del bisogno di chi le passa accanto e copre la mancanza con il suo amore; mette in comune ciò che ha, fa posto all’altro; in questo modo si accresce ed espande, crea felicità.

the-blind-sideIl film The Blind Side, che ci viene in aiuto, appartiene al genere «storia vera di ragazzo afro-americano che trova riscatto».
L’ambito in cui il protagonista (adolescente di colore di stazza imponente), nato a Memphis, Tennesse, nel 1986, da madre tossicodipendente) troverà la sua realizzazione è quello sportivo. In questo, il film, per quanto ispirato a un personaggio reale – Michael Oher, oggi professionista di football – non fa che ricalcare uno stereotipo abusato dal cinema.

Il racconto filmico è semplice, giocato sui carattthe blind side2eri dei personaggi e sull’analogia tra famiglia e squadra di football. Proprio questa analogia, che nella vita reale ha fatto la fortuna del protagonista, deve essere maneggiata con cura, perché si presta a fraintendimenti e a giustificare l’uso indiscriminato della violenza per la difesa di chi si ama (non a caso la squadra del liceo cristiano si chiama «Crusaders», crociati).

A noi interessa spostare l’analogia dalla famiglia alla comunione dei santi. Al fatto che Dio chiama ogni persona a diventare «figlio», facendosi suo imitatore nella misericordia, giustizia, verità, e diventando «fratello» degli altri esseri umani. E la santità, a cui ciascuno è chiamato, è una partita che si gioca nella libertà.

famigliaPer questo è opportuno analizzare il film e ragionare su:
• i caratteri dei singoli personaggi, le loro relazioni e reazioni all’arrivo di Michael;
• il «fare posto in casa»: cosa richiede e comporta;
• il carattere forte della madre, ma anche la sua attenzione all’identità del ragazzo;
• il tema della libertà che il film sottolinea fin dalla prima scena;
• il «lato cieco» nella vita di ognuno e la relazione con la santità;
• la scritta sul portale della scuola «Grazie agli uomini, questo è possibile. Grazie a Dio, tutto è possibile»;
• il «Giorno del ringraziamento», come metafora della trasformazione che Michael porta alla famiglia Tuohy e come metafora eucaristica della comunione dei santi;
• la relazione tra santità e felicità.

Questo e molti altri suggerimenti per la catechesi dei ragazzi sul numero di Febbraio dell’inserto Ragazzi & D’intorni dossier mensile di Catechisti Parrocchiali.

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Testimoni ieri e oggi_ “Se mi convertissi sarei libera, preferisco morire cristiana” – Asia Bibi

Asia Bibi

Anche noi di “cantalavita” ci uniamo all’appello internazionale per la liberazione di Asia Noreen Bibi, una quarantasettenne pakistana incarcerata dal giugno del 2009 e condannata a morte perché cristiana in un paese a maggioranza mussulmana.

La sua è la storia di una donna semplice, una contadina e madre di 5 figli, di cui uno disabile. La ragione giustificante l’incarcerazione ha origine da un’accusa di blasfemia contro il profeta Maometto, in virtù di una “legge sulla blasfemia” che condiziona ogni cittadino e in particolare la minoranza cristiana. Anche Benedetto XVI si è associato all’appello della comunità internazionale per la liberazione di Asia e, nel sottolineare la difficile situazione di molti cristiani nel mondo, ha spiegato che letteralmente Pakistan significa “terra dei puri” e che non è sempre stata una terra ostile ai cristiani. E citando un importante discorso del 1947, fatto da Ali Jinnah, il principale tra i fondatori del Pakistan, uno dei beni primari del popolo pakistano doveva essere la libertà di culto:

«Voi siete liberi; siete liberi di frequentare i vostri templi, siete liberi di andare nelle vostre moschee o in qualsiasi altro luogo di culto dello Stato del Pakistan. Voi potete appartenere a qualsiasi religione, casta o credo, questo non ha nulla a che vedere con gli affari dello Stato… Vogliamo partire da questo principio fondamentale: che siamo tutti cittadini e cittadini con pari diritti».

Purtroppo però da questo bellissimo discorso qualcosa in terra pakistana ha preso un’altra direzione, anche se, come precisa il Mani coloriSanto Padre, l’Islam non è una religione di fondamentalisti o di torturatori, ma una religione pacifica e tollerante. Tuttavia, ad oggi, il Pakistan agli occhi della comunità internazionale si trova a gestire una difficile situazione e la storia di Asia Bibi è certamente un caso simbolo.

Asia è entrata alla ribalta internazionale perché dalla sua cella senza finestra nel modulo della prigione di Sheikhupura, ha scritto una lettera in cui racconta le sue preoccupazioni di mamma e di donna cristiana. Ci sono diversi passi nella lettera che toccano il lettore e altri che indignano, tra cui quello in cui racconta di come un giudice, Naveed Iqbal, entrando un giorno nella sua cella le ha detto che le avrebbe revocato la condanna a morte se si fosse convertita all’Islam:

“Sono stata condannata perché cristiana – gli ho detto – . Credo in Dio e nel suo grande amore. Se lei mi ha condannata a morte perché amo Dio, sarò orgogliosa di sacrificare la mia vita per Lui”.

Non ci sono parole da aggiungere all’immensità di questa risposta, forse la domanda è: risponderei anche io così? E tutti noi cristiani che viviamo “liberamente” la nostra fede avremmo il coraggio di donare la nostra vita per Cristo?occhi2 Oppure nella nostra piccola vita tranquilla, per non sentirci troppo “cattolici”, evitiamo di esprimere il nostro credo?! Non è che forse il cristianesimo per noi è fin troppo scontato addirittura banalizzato?

Eppure il fondamento della nostra fede è che Dio è Amore. Dunque perché avere paura! Naturalmente questo non significa che dobbiamo diventare martiri, ma testimoni di questa Grazia irrinunciabile. Ed è per questo che dobbiamo difendere Asia e la nostra fede affinché non sia motivo di discriminazione e morte, perché in nome di Dio non si uccida più!

“Gesù, nostro Signore e Salvatore ci ama come esseri liberi – scrive Asia – e credo che la libertà di coscienza sia uno dei tesori più preziosi che il nostro Creatore ci ha dato, un tesoro che dobbiamo proteggere”.

Maria Grazia Meloni

Puoi leggere la lettera di Asia Bibi su —> Avvenire <—

La storia di Asia Bibi ci riporta alla Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani (18-25 Gennaio 2013). Per l’occasione ti proponiamo un cammino in quattro tappe, con preghiere, attività e gesti simbolici, per ragazzi e i loro animatori. Clikka sull’immagine!

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RAGAZZI & DINTORNI – Gennaio 2013 – “… la Chiesa”

Dossier Gen13

«UNIVERSALE» È SOLO INTERNET?

di Fausto Negri

La Chiesa è cattolica, cioè universale. Oggi di universale c’è internet, il telefonino, la tvcellulari satellitare… Grazie alla tecnologia abbiamo, dunque, enormi opportunità, ma esistono anche grandi rischi.
Ne citiamo uno solo evidente: ogni giorno nel Regno Unito si inviano 93,5 milioni di messaggini: il 10% della popolazione ne invia giornalmente addirittura 100. Questa frenesia ha provocato negli ultimi cinque anni un’impennata nelle lesioni al polso o alle dita.
Secondo gli psicologi, usare troppo sms e posta elettronica rende sempre più difficile avere una conversazione rilassata, di persona. 

I vantaggi prodotti dall’attuale tecnologia sono tanti: in positivo, permette di comunicare, in tempo reale, in tutto il pianinternet-bambini-ragazzieta.
Ma non è soltanto l’utente a usare la tecnologia; anche la tecnologia può «usu
rare» l’utente.
Il negativo è che, se i nuovi mezzi assorbono troppo la nostra attenzione e le nostre energie, ci rendono «cyber-dipendenti».
L’elettronica, inoltre, porta con sé un cambiamento del nostro rapporto con il mondo.
Se, infatti, il mondo entra in casa mia quando voglio, che bisogno ho di fare esperienza del mondo?
Se, poi, mi raggiunge soprattutto tramite le immagini, ciò che consumo è solo «rappresentazione della realtà».

Il linguaggio dell’amore richiede la comunicazione personale e corporale. Ci si può fidare di una persona, non di «un messaggino». Nel corpo (parole e silenzi, sguardi che si incrociano, mani che si toccano) sperimentiamo la bellezza della relazione.tecnologia
I rapporti online sono validi e costruttivi quando hanno un prolungamento nella vita. Come si può vivere, infatti, costantemente in un mondo virtuale, con «una faccia» che ci si è costruiti da soli?
Noi abbiamo la fortuna e la grazia di essere parte di una comunità, la Chiesa. Questo termine, che deriva dal greco ecclesia, significa «assemblea di persone chiamate da qualcuno». La comunità fondata da Gesù, la Chiesa, è nata e sempre si rinnova attorno a una mensa, in ambito di condivisione, quindi. La nostra è la religione dei volti. La nostra fede è «cattolica», se sa tradursi in piccoli, quotidiani e concreti gesti di bontà.

ATTIVITÀ

Riflettete in gruppo: se un ragazzo ha settecento amici su Facebook e se ne sta tutto il giorno a chattare in camera davanti a uno schermo, è davvero amico di qualcuno?
Igruppompegno:  proponiamo il digiuno tecnologico, facendo a meno di tv, telefonino e computer per un certo tempo (da un minimo di un giorno, a un massimo di una settimana).
Si può dedicare questo tempo a giocare con gli amici all’aperto, allo studio e alla lettura, a intrattenere rapporti «vivi» con le persone. Questa scelta aiuterà a rendere, poi, più significativa la comunicazione tramite gli strumenti elettronici.

Questo e molti altri suggerimenti per la catechesi dei ragazzi sul numero di Gennaio dell’inserto Ragazzi & D’intorni dossier mensile di Catechisti Parrocchiali.

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Testimoni ieri e oggi_ “Francesco e il presepe” – San Francesco D’Assisi

San Francesco e il lupoCiao ragazzi! Eccoci di nuovo a parlare di santità. E in questo periodo di Avvento che ci prepara al Natale di Gesù, il pensiero non può che andare a Betlemme e alla mangiatoia che ha accolto l’incarnazione del Figlio di Dio. Se penso a questo evento straordinario, mi viene in mente la figura di Francesco d’Assisi e il suo desiderio di ricreare la scena di Betlemme.

Francesco nato ad Assisi nel 1181 da una ricca famiglia, dopo una giovinezza sregolata, nel 1205 si era convertito al messaggio di Cristo, tanto da rinunciare a tutte le sue ricchezze, dando vita, assieme ad alcuni amici, allOrdine dei Frati Minori e assieme a Chiara, la sua “pianticella”, il secondo ordine delle Clarisse.

La sua fu una vita dedicata al Vangelo, e il suo un messaggio di gioia che coinvolse la natura tutta. Tanto che alla fine della sua vita, il suo amore per il creato lo portò a comporre:il Cantico delle creature”, perché Francesco,San Francesco_1 nonostante le molte rinunce e sofferenze, quasi completamente cieco, con le stigmate alle mani e ai piedi e ormai vicino alla morte, sentiva forte il desiderio di lodare Dio per il Suo infinito Amore e per le tante meraviglie da Lui create! Morì ad Assisi nella notte tra il 3 e il 4 ottobre 1226. Canonizzato due anni dopo da Papa Gregorio IX venne tumulato nella basilica di Assisi a lui dedicata, dove è venerato come patrono d’Italia e d’Europa.

Come ci racconta il suo biografo Tommaso da Celano nella “Vita prima” (84-85; FF 467-469) per Francesco la festa del Natale era la più bella! Egli sentiva talmente forte questo evento che un giorno a mensa, ascoltando la rievocazione della povertà estrema provata dalla Madonna e da suo Figlio nella stalla di Betlemme, si alzò da tavola e finì il suo pasto per terra in onore della “regale povertà” di Maria e di Gesù. Ma Francesco desiderava che ogni credente a Natale gioisse nel Signore, anche per questo sentiva forte il desiderio di rievocare la natività. E per questo tornato da poco dal sultanato d’Egitto, ispirato dalla valle reatina e da Greccio, ritrovando in presepe ad Assisiquella zona rocciosa un po’ di Terra Santa, nella notte del 25 Dicembre 1223 diede vita al primo Presepe vivente! Tommaso racconta: “C’era in quella contrada un uomo di nome Giovanni… molto caro al beato Francesco… Circa due settimane prima della festa della Natività, il beato Francesco lo chiamò a sé e gli disse: ‘Se vuoi che celebriamo a Greccio il Natale di Gesù, precedimi e prepara quanto ti dico, vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello’…”. Finalmente giunto il giorno della festa, tempo di esultante letizia, uomini e donne festanti arrivarono da tutta la regione, portando con sé ceri natività betlemmee fiaccole per illuminare quella notte, nella quale si è accesa splendente nel cielo la Stella che fa brillare tutti i giorni e i tempi! Giunto anche Francesco, vide che tutto era disposto secondo il suo desiderio. E quando venne posta la greppia col fieno e introdotti il bue e l’asinello, vide rispendere in quella scena commovente tutta la semplicità e la povertà evangelica. Greccio divenne così la nuova Betlemme. E Francesco estasiato di fronte alla scena, durante la celebrazione Eucaristica incorniciata nel Presepe, sperimentò una consolazione mai gustata prima!

Dunque anche noi, con questo spirito di festa, assieme a Santo Francesco, gioiamo assieme per il Santo Natale di Gesù!

 Maria Grazia Meloni

Vi suggeriamo: L’amore quello vero. Chiara e Francesco. Il Musical

…inoltre un piccolo ma significativo libricino:

“Il presepe di San Francesco”

di Tommaso da Celano

Paoline Editoriale libri, Milano 2009

Il presepe di San Francesco

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CATECHISTI PARROCCHIALI – Dicembre 2012 – L’AMORE HA PRESO DIMORA FRA NOI

Catechisti Dic12

IL BAMBINO ESCLUSO
Perché nessuno gioca con me?

di Franca Feliziani Kannheiser

«No, tu non giochi con noi!», dice Mauro, spingendo via Simone dalla fila. «Non ti voglio vicino a me», sussurra Laura alla compagna, ben attenta a non farsi sentire dal catechista. Anche nel nostro gruppo può accadere che un bambino sia escluso dai compagni, per motivi che spesso sfuggono al catechista. A volte il meccanismo di esclusione si è già instaurato prima dell’inizio della catechesi, a volte si genera nel gruppo stesso, dove il bambino è preso di mira da un compagno, che ha maggior influenza sugli altri, o dove lui stesso manifesta comportamenti giudicati «strani» dagli altri.
bambino

Il bambino impopolare è escluso dai giochi, non è scelto nella formazione delle squadre, nessuno vuole sedersi vicino a lui o lavorare in coppia con lui. Spesso è considerato «diverso», per l’aspetto fisico, ma anche per il suo modo di fare. Questo meccanismo di rigetto provoca in chi lo subisce chiusura ed eccessiva dipendenza dall’adulto, oppure aggressività e azioni violente. Il bambino escluso diventa allora il bambino che picchia i compagni spesso senza un’apparente ragione, il bambino ribelle che «merita» di essere escluso.

Come si può intervenire per interrompere queste dinamiche?
È evidente che i rimproveri e le esortazioni, anche quelle che si riferiscono al Vangelo («Gesù vuole che ci amiamo tutti come fratelli», ecc.), sortiscono scarso effetto perché operano a livello razionale, ma non toccano le emozioni e non portano, quindi, modificazioni profonde nel modo di ragionare del bambino. Il catechista come può operare perché ogni bambino possa sperimentare l’appartenenza albambino solo gruppo dei pari, esperienza indispensabile per la crescita? Come può aiutare il bambino a sviluppare le abilità sociali necessarie per comunicare con gli altri, per confrontarsi, per condividere pensieri e progetti?
Se essere Chiesa significa anche vivere una qualità nuova di essere insieme, fondata sull’appartenenza a Cristo da cui ciascuno è cercato, amato, accolto, il gruppo della catechesi deve costituire uno spazio concreto dove tutto questo diventa percepibile e realizzabile, prima di tutto attraverso la persona del catechista che rappresenta per il bambino l’intera comunità cristiana nella sua capacità di accoglienza, poi attraverso l’interazione con i compagni con cui gustare quanto afferma il Salmo 132: «Ecco, com’è bello e com’è dolce che i fratelli vivano insieme!».

Molto spesso la strategia del catechista si esaurisce nel fare discorsi «persuasivi » che, tuttavia, il più delle volte non convincono, anzi annoiano i piccoli «persecutori» e non incoraggiano «le vittime».

differenze

La strada passa invece attraverso piccole modifiche nella struttura del gruppo: saranno i bambini stessi a diventare agenti di cambiamento. Come?
Prima di tutto il catechista deve sviluppare una capacità di osservazione, per cogliere i segnali della presenza di processi di esclusione che avvengono nel gruppo: bambini che sono fatti oggetto di scherzi, allontanati dal gioco o costretti ad assumere sempre gli stessi ruoli di «perdenti», presi in giro per il loro modo di parlare, di muoversi, ecc. Anche se non sempre è opportuno l’intervento diretto, l’educatore deve però essere consapevole di ciò che avviene, così che ogni bambino senta di essere visto e protetto da lui.
Questo atteggiamento generale di vigilanza e di cura condurrà, poi, ad adottare alcune modalità concrete che favoriscano l’integrazione di tutti, come lavorare a coppie o a piccoli gruppi di tre o quattro bambini. Proporre attività come la drammatizzazione, lo scambio dei ruoli nel gioco. Narrare piccole storie (e inventarne insieme altre) che abbiano come tema l’amicizia. Spesso i bambini impopolari sono figli unici che hanno poche occasioni di incontrarsi con altri bambini.

bambino gruppo

È importante suggerire ai genitori, dove è possibile e con la dovuta discrezione, di trovare momenti in cui i loro figli possano socializzare con bambini più grandi e più piccoli di loro, invitandoli i casa oppure trovandosi al parco-giochi, ecc.
Un bambino impopolare è un bambino con scarsa autostima, proprio perché non trova nell’ambiente il riconoscimento del suo valore.
Sarà necessario incoraggiarlo a esprimere i suoi talenti che spesso lui stesso non riconosce. A causa della sua insicurezza ha bisogno di regole chiare e motivate, perché l’incertezza lo spaventa e lo spinge a ritirarsi per paura di essere deriso.
Più è chiaro e definito il compito che gli è affidato e più si sente sicuro, soprattutto se può svolgerlo con l’aiuto di un compagno più estroverso e socievole, ma anche capace di empatia.
Nel gruppo, poi, bisogna favorire quegli atteggiamenti che dimostrano capacità di ascolto, comprensione, condivisione, che sono più importanti del compito fatto bene o della verifica ben riuscita.

Questi e molti altri suggerimenti per la catechesi dei ragazzi nel numero di Dicembre di Catechisti Parrocchiali.

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Buona domenica! – I di Avvento – Anno C

… risollevatevi e alzate il capo …

Dal Vangelo di Luca (Lc 21, 25-28.34-36)
I DOMENICA DI AVVENTO – Anno C

Sono le immagini in tempo reale che scuotono nel profondo. Quelle che la rete manda in giro da giorni, soprattutto quelle non filtrate, insostenibili per la loro crudezza. Come quella che stamani, prima di iniziare la giornata, mi ha colpito in pieno volto leggendo i giornali internazionali on-line. Una foto che inquadra un cumulo di macerie, ciò che resta di una casa sbriciolata da un razzo, da cui spunta per intero la testa di un bambino di sette, otto anni, il volto indurito nell’ultimo sguardo di paura. Danni collaterali, li chiamano.
E tutti a spiegare la necessità dell’intervento, l’inevitabilità di tali danni, e tutti che si schierano, discutono, si accusano… L’azione scatenata nella striscia di Gaza è solo uno dei tanti conflitti presenti al mondo, più vicino al cuore di chi ama la terra che vide nascere il Nazareno. Che oggi avrebbe il volto di quel piccolo cadavere sepolto dalle macerie a causa di una delle tante folli guerre che continuiamo a combattere.

Così, oggi, inizia un ennesimo Avvento.

NATALI E SANGUE
A che è servita la presenza di Cristo?
A che serve iniziare un ennesimo avvento, prepararci a celebrare un Natale sempre meno cristiano, cercare di scuoterci dalla crisi economica e di valori che ci ha travolti? A che serve ridire e ribadire, scrutare e pregare se l’impressione che abbiamo è quella di una morte infinita?
È Luca che ci viene in soccorso, nel mesto inizio di questo cammino. Per scuoterci, per incoraggiarci. Le immagini che usa, tratte da un vocabolario preciso, chiamato apocalittico, dalle tinte forti e tremende affermano, al contrario, una realtà più dolce e serena, descrivono il dissolvimento degli astri. Nulla a che vedere con profezie Maia o amenità del genere, né con la temuta fine del mondo descritta da qualche film di serie B. Luca descrive il dissolvimento della creazione ripercorrendo a ritroso il racconto della Genesi. Se, ai primordi, Dio aveva tolto dal caos il creato per dargli ordine e misura, Luca, ora, descrive il passaggio dall’ordine al caos. Esattamente ciò che stiamo vivendo. E lo fa per fare un’affermazione forte, di speranza, di gioia: alzando lo sguardo possiamo vedere venire il Cristo che ricompone il Creato.

PAURE
Non viviamo tempi facili, lo scoraggiamento è alle stelle, la violenza pure. Tra finanziarie, lavori saltuari e una dilagante povertà, tra affetti frantumati e paure di amare rischiamo di crollare e di arrenderci. La paura e l’apatia a volte inquinano le nostre vite e le nostre comunità: sembra prevalere il forte e l’arrogante, ci sentiamo come pesci fuor d’acqua. E Gesù (tenero!) ci dice: quando accade tutto questo, alzate lo sguardo. Le fatiche e le prove della vita, sembra dirci il Signore, sono lì apposta per farci crescere, possono diventare un trampolino di lancio, devono aiutarci a conoscere il senso segreto delle cose, il mistero nascosto nei secoli. Come il grano caduto in terra feconda la terra, così l’Avvento feconda la nostra vita per sbocciare a Natale in una festa di luce.

PERICOLI
Ma occorre vigilare, ammonisce Gesù nel Vangelo di oggi. Le dissipazioni, le ubriachezze e gli affanni della vita possono impedirci di vedere, impedirci di vivere. Le dissipazioni: in un mondo in cui siamo costretti alla frenesia, ritrovare un ritmo di interiorità richiede una forza di carattere notevole. Perché non approfittare di questi giorni per riprendere un quotidiano ritmo di preghiera? Le ubriachezze: il nostro mondo ci invita a fare esperienza di tutto, a osare, a sperimentare. E alla fine ci ritroviamo a pezzi. Attenti, amici, a non cadere nell’inganno che le sirene del nichilismo ci propongono: abbiamo bisogno di unità, non di frantumazione. E questa scelta compiamola non in rispetto ad una ipotetica scelta morale, ma nella consapevolezza che Dio solo conosce la verità dell’essere. Gli affanni della vita che esistono e non possiamo eliminare possiamo però controllarli mettendo al centro la ricerca di Dio e del mio vero io.

TENACI
No, il mondo non sta precipitando nel caos, come dicevano domenica scorsa, ma fra le braccia di Dio. Lo credo, lo vivo con fatica, combatto per costruire spazi di Regno nel caos, occasioni di luce nelle tenebre, ordine in me e dove vivo. La preghiera e la meditazione della Parola, quella stessa Parola che creò dal nulla le cose che sono, ancora ricreano l’oggi di Dio. Possiamo farcela, Dio ci sostiene, buon percorso di conversione al Natale.

(PAOLO CURTAZ)

Testimoni ieri e oggi_ “Una vita per il Vangelo” – Maestra Tecla Merlo

Santità… è una “realtà” che dobbiamo comprendere come una “chiamata” a cui l’uomo può e deve rispondere, “semplicemente”, perché sceglie di vivere la propria vita lasciandosi ammaliare dal mistero dell’infinito, in una continua meraviglia nella scoperta della bellezza dell’umanità, sebbene nelle sue piccolezze. In questa realtà l’essere umano gioisce pienamente della propria storia e può lasciare al mondo, seppure solo come un piccolo granello o una goccia nel mare, il meglio di sé che può donare agli altri affinché fiorisca una sempre nuova umanità.

In questa prospettiva oggi vogliamo entrare nella vita di una grande donna: Maestra Tecla Merlo. Lei, che nella sua statura profetica ha lasciato nel panorama dello scorso novecento un ideale femminile a cui ispirarsi fino ai nostri giorni,  è colei che accanto a don Giacomo Alberione, fondatore e padre della Famiglia Paolina, di cui il prossimo 26 novembre ricorre la festa, è diventata  “madre” della congregazione delle Figlie di San Paolo. Ed è in questo legame incrociato tra due vite donate all’umanità che vogliamo addentrarci nella straordinaria e tuttavia ordinaria vita di Teresa che in Cristo diventerà Tecla, per conoscerla nella sua grandezza celata nel totale abbandono all’amore di Dio.

La prima volta che sono entrata nella stanza/studio di Maestra Tecla a Roma, nel quartiere San Paolo, dove tutto è rimasto come un tempo, ho provato una forte emozione nel riconoscere la semplicità che le apparteneva come donna fattasi dono agli altri, ma in una efficace cornice rappresentata da tutti gli strumenti della comunicazione di cui poteva usufruire all’epoca e che testimonia l’importanza della sua chiamata all’annuncio evangelico, proprio attraverso la comunicazione. Ricordo che in quella stanza ho letto una sua frase che porto sempre nel mio cuore e che cerco di concretizzare ogni giorno: “il Signore non ti dà ciò che chiedi, ma ciò che credi”. Ogni volta che ripeto questa frase nella mia mente e nel mio cuore ne sento la profondità, il suo senso più grande, la sua onestà. Non è così scontato chiedere qualcosa credendoci davvero, figuriamoci chiederlo a Dio. Infatti, a volte, o forse spesso, lo facciamo senza esserne davvero motivati. Maestra Tecla, con l’esempio della sua vita, mi ha insegnato a crederci con più consapevolezza, a crederci davvero! E in queste poche righe, raccontare a tanti giovani di una suora, ma anzitutto di una donna, che ha vissuto tra il 1894 e il 1964 una vita donata al Vangelo, non può essere scontato. Perché la sua vita è stata vissuta in un modo “nuovo” per il suo tempo, anche rispetto al mondo dei religiosi, giacché la sua vita è stata espressione del suo rapporto con la madre e nel profondo legame con don Alberione, in un’evidente relazione tra il maschile e il femminile, anche rispetto ad una famiglia religiosa, cosa che nel suo tempo non era certamente scontata. Dunque, Maestra Tecla è stata anzitutto una comunicatrice eccellente e una viaggiatrice inesauribile, ma soprattutto una donna innamorata di Cristo.

“Imprestiamo i piedi al Vangelo: che corra e si estenda. Vorrei avere mille vite per dedicarle a questo nobile apostolato”.

È questa Maestra Tecla. Queste parole la raccontano. Parlano della sua sete di comunicare a tutti, anche ai più lontani, la meraviglia della parola di Dio.

Maria Grazia Meloni

A conclusione del post vi consigliamo di cuore il seguente video, un ricordo di sr. Tecla Merlo: Donne nuove sui passi di Tecla

Per conoscere meglio Maestra Tecla Merlo:

“Il mio nome è Tecla”

di Maria Luisa Di Blasi

Paoline Editoriale libri, Milano 2008

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Buona domenica! – XXXII del T.O. – Anno B

… Guardatevi dagli scribi …

Dal Vangelo di Marco (Mc 12, 38-44)
  XXXII Domenica del Tempo Ordinario – Anno B

Guardatevi dagli scribi! Alla fine dell’anno liturgico e del commento di Marco stiamo inanellando una serie di pagine centrali, sconcertanti, urticanti, di quelle che sarebbe tanto bello togliere dal nostro cristianesimo “ fai da te” e che, invece, ci sono donate come perle preziose, come occasione per ripartire dalla fede e incarnare le riflessioni dei Padri sinodali.
L’invito di Gesù è una inquietante staffilata, ci lascia interdetti: poche volte, nei vangeli, il Signore esplicita in maniera così diretta la sua preoccupazione. I discepoli possono diventare come gli scribi, questa è la preoccupazione del Maestro. Aveva di che preoccuparsi.

SCRIBI
In origine erano semplicemente persone che sapevano scrivere e leggere e che, quindi assumevano un ruolo importante per la trasmissione dei documenti importanti. Poi, con la riforma del devoto Giosia, qualche secolo prima di Cristo, la loro importanza era accresciuta a dismisura: erano loro a custodire la Legge, loro a interpretarla, loro a giudicare chi la violava. Gesù li accusa pesantemente, senza mezze misure.
Sono vanitosi e fanno del loro servizio una smisurata ricerca di potere. Amano indossare una divisa per farsi riconoscere, amano il rispetto timoroso dei poveri cittadini, amano essere considerati come delle autorità, sono sempre presenti agli eventi sociali, godono della loro posizione e non perdono l’occasione per mettersi in mostra.
Penso a quanto successo in Campania qualche settimana fa e della sfuriata di un questore che ha rimproverato un povero prete intervenuto ad un dibattito pubblico per denunciare discariche abusive di amianto. Tema della sfuriata? La presunta mancanza di rispetto del reverendo che continuava a indirizzarsi alla collega del questore chiamandola “signora”. Sconcertante, ma è così: oggi ancora molti tengono più alla forma che alla sostanza… Ma penso anche, purtroppo, alla denuncia fatta dal cardinale di Napoli che parla di carrierismo all’interno della Chiesa. I primi posti, le divise, gli applausi e gli inviti ufficiali purtroppo esercitano ancora un fascino demoniaco su molti pastori che, con dichiarata umiltà che accogliamo con benevolenza, non si rendono conto di diventare uno spettacolo che allontana dal Vangelo. Vedere girare un ecclesiastico in auto di grossa cilindrata, magari con autista, in questi tempo non rende certo onore al ruolo ma, al contrario, diventa una grossa contro testimonianza. Ma anche nel piccolo possiamo sognare di diventare come gli scribi: in parrocchia, in una diocesi, a volte si assiste, allibiti, alla ricerca della visibilità e dell’onore. Dobbiamo davvero giudicare noi stessi con severità.

PEGGIO
Gli scribi divorano i denari delle vedove. Se la vedovanza già rappresenta uno stato di grande dolore, di lacerazione interiore, di frantumazione di affetti, restare vedove al tempo di Gesù, era una vera e propria tragedia. Senza servizi sociali, senza appoggio dalla famiglia, spesso la vedova si vedeva costretta, per vivere, a mendicare o, peggio, a prostituirsi. La condizione della vedova, perciò, era la peggiore che si potesse immaginare: sola, senza sussistenza economica, disprezzata perché mendicante o prostituta. Ma ricercata dagli scribi che riuscivano a ricevere donazioni od elemosine da donne rimaste sole e plagiate in nome di Dio.
Non posso non pensare alla situazione drammatica che stiamo vivendo, alle scene degli scontri in piazza in Grecia, ai disoccupati che crescono, tutti vittime di un sistema che non abbiamo scelto, tutti storditi dal nuovo Verbo che è l’economia, tutti succubi di meccanismi che ci sono venduti come indispensabili ed inevitabili, come se non fossimo noi ad avere creato le leggi di mercato!

ALLORA
Di fronte a questi atteggiamenti ancora così diffusi, ahimé anche nella Chiesa che siamo noi, Gesù propone, a sorpresa, il modello di una vedova che, umilmente, vede entrare nel tempio. Così la vedova del Vangelo getta nel tesoro del Tempio qualche euro, mentre i notabili della città e i devoti si spintonano per far notare le somme considerevoli che versano nelle casse del Tempio appena ricostruito. Gesù loda la generosità di questa donna che ha dato il suo necessario come offerta a Dio, e ignora le generose offerte pubblicate e titoli cubitali del miliardario di turno.
Ci sono momenti nella vita in cui perdiamo tutto: salute, lavoro, una persona cara (non necessariamente perché muore), voglia di vivere. Momenti faticosi, terribili, in cui abbiamo l’impressione di non sopravvivere. Come la vedova di Elia, trasciniamo un passo dopo l’altro, tenuti in vita da qualche affetto (il figlio per la vedova) ma rassegnati a veder consumare ogni forza, ogni energia. Quante persone in questo stato ho conosciuto nella mia vita!
La vedova del Vangelo – ingenua – mette quel poco che ha per il Tempio, per Dio. Non sa dove finiranno i soldi, forse saranno disprezzati dal sacrestano del Tempio, forse serviranno a comperare detersivo per i pavimenti… poco importa, il suo gesto è assoluto, profetico, colmo di una tenerezza infinita.

LUCE
Anche quando siamo incapaci di provare emozioni, o di desiderio di vita, possiamo diventare luce, totalità, dono, speranza. Non ce ne accorgiamo, ovvio, e forse neppure ce ne importa. E noi discepoli, fragile popolo di Dio, impariamo dalle vedove, dai poveri a contare sull’Assoluto, ad abbandonarci – sul serio – nelle mani di Colui che tutto può.
Non la gloria, non la devozione, non l’apparenza (anche clericale e cattolica!) ci salvano, ma l’essere medicanti di luce.

(PAOLO CURTAZ)


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Musical °°
Ascoltate o scaricate il canto Le miserie della vita
per riflettere, in musica, sul Vangelo di oggi e sullo stato d’animo
che provocano le miserie della vita…
senza dimenticare di levare lo sguardo al sole che sorge. Sempre.

Testimoni ieri e oggi_ “Vivere è agire, Yalla!” – Suor Emmanuelle del Cairo

Lo scorso 11 ottobre il Santo Padre Benedetto XVI ha indetto un anno della fede che si concluderà il 24 novembre 2013. La scelta di questa riflessione sulla fede non è assolutamente scontata e tanto meno voluta come se fosse un compito a casa per noi tutti. La fede è una grazia donata da Dio che accompagna ogni sua creatura lungo il cammino della vita e ne testimonia la vigoria. Essere consapevolmente testimoni della fede in colui che è puro Amore è ciò che di più affascinante, bello, complesso e dunque mai scontato possa accadere ad un essere umano. Lungo i secoli il cristianesimo e le religioni tutte hanno testimoniato, attraverso la vita di uomini e donne di tutte le età, la forza della fede, che è capace di far cambiare rotta, di convertire, di dare una nuovo inizio senza limitazioni di colore, razza o condizione sociale e con una particolare predilezione di Dio verso gli ultimi. Perché la santità si trova nelle piccole cose, nelle vite comuni e semplici che in Dio diventano straordinarie.

In questa nuova rubrica di Cantalavita, “Testimoni ieri e oggi”,  diamo inizio ad una breve riflessione mensile sulla testimonianza di fede di persone “speciali” che non dobbiamo sentire “lontane da noi”, ma “come noi”, e che in Dio hanno compiuto grandi cose. Lasciamoci interrogare dalle loro vite, nella speranza di rileggere la nostra storia e il nostro incontro personale con Dio.

Ricordo bene l’emozione quando per la prima volta mi sono trovata di fronte sr Emmanuelle, una donna speciale che emanava luce e gioia e che con la sua lunghissima vita ha testimoniato al mondo l’Amore di Dio, sempre in un dialogo interreligioso e nel preciso intento di privilegiare “gli ultimi”.

Ribaltando una celebre frase di Sartre per cui l’inferno si trova nel prossimo, Madeleine Cinquin, conosciuta come Suor Emmanuelle del Cairo, ha affermato che “il paradiso sono gli altri” e questa sua certezza l’ha testimoniata attraverso una scelta difficile e definitiva, vivere la sua vecchiaia, dai 62 agli 83 anni, (è morta a 99 anni nel 2008) povera coi poveri nelle bidonville egiziane, perché in loro ella ha visto il volto di Cristo che echeggia nelle parole dell’Evangelista Matteo: “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero forestiero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, prigioniero e siete venuti a trovarmi” (25,36). Per Sr Emmanuelle, così come afferma San Paolo, l’amore è il dono più grande che ci possa capitare e che supera tutto e tutti. Un amore che Dio stesso ci manifesta chiedendoci di viverlo vicendevolmente e senza il quale non saremmo nulla. Sr Emmanuelle ha scelto di amare i poveri lasciando una vita agiata e sicura perché si era lasciata “aspirare”, come diceva lei, dalla sofferenza per la sollecitudine e la denuncia dell’ingiustizia del mondo verso i più deboli. Lei, professoressa di filosofia, laureata alla Sorbona, sentiva forte il richiamo dei suoi “straccivendoli” delle viuzze periferiche del Cairo, laddove ha trovato la sorgente dell’amore. E come diceva sempre, fissando gli occhi dei suoi interlocutori: “Vivere è agire, Yalla!” (Avanti! In arabo) Allora diciamo assieme Yalla! E lasciamoci interrogare da questa donna straordinaria e viviamo la nostra vita con intensità, facendo piccoli passi verso la sorgente dell’amore.

Maria Grazia Meloni

 Per conoscere meglio Sr Emmanuelle vi propongo

questo libro edito dalla san Paolo:

“Sono una delle donne più felici della terra”,
colloqui con Angela Silvestrini

Clikka qui :-)

Clikka sull’immagine 🙂

ALTRI TESTIMONI DI FEDE SULLA PAGINA —> TESTIMONI IERI E OGGI

Buona domenica! – XXIX del T.O. – Anno B

«Concedici di sedere, nella tua gloria,
uno alla tua destra e uno alla tua sinistra»

Dal Vangelo di Marco (Mc 10, 35-45)
  XXIX Domenica del Tempo Ordinario – Anno B

Non hanno capito molto, gli apostoli. La scena del giovane ricco si era chiusa con la pressante domanda dei Dodici, fatta da Pietro a nome di tutti: e noi che abbiamo lasciato tutto? Gesù li aveva rassicurati: lasciare tutto per il Regno significa trovare cose nuove. Fine, applauso. Poi, continua il vangelo di Marco. Il terzo annuncio della Passione. Con un Gesù visibilmente scosso che racconta ai suoi amici di essere disposto a morire pur di non tradire l’immagine di Dio che porta scolpita nel cuore. E il vangelo di oggi. Uno dei più orribili che la storia ci consegni. Certo, fanno notare gli esegeti, quando Marco scrive Giacomo l’arrogante è già stato ucciso e Giovanni passerà la vita a raccontare di Gesù, altro che cariche nel governo. La lezione l’hanno imparata. Un vangelo talmente forte che Luca lo salta piè pari e Matteo lo attenua, attribuendo alla mamma dei boanerghes l’improvvida iniziativa. Certo, i discepoli hanno lasciato tutto. In teoria.

INCOMPRENSIONE
I protagonisti oggi, sono Giovanni e Giacomo. Giovanni il perfetto, il mistico, l’aquila, il profondo, chiede a Gesù una raccomandazione, chiede di sedere alla destra di Gesù nel momento in cui si fosse instaurato il Regno dei cieli, concepito come un regno politico ed immediato. Non basta avere avuto grandi doni mistici e segni della presenza di Dio nella preghiera per evitare di commettere errori madornali: anche i fratelli e le sorelle che, in mezzo a noi, hanno scelto la strada della contemplazione devono sempre vegliare sul rischio della gloria mondana voluta e cercata… Il paradosso è cercato da Marco: non un infervorato giovane scivola così pesantemente, ma due discepoli che hanno appena sentito il terzo annuncio della Passione. Peggio: gli altri dieci se la prenderanno con loro per avere per primi preso l’iniziativa!
Marco sembra rimandare alla tragica situazione di Israele quando, morto Salomone, si dividerà in due parti: dieci tribù al Nord e due al Sud. Gesù è sconcertato, nuovamente. Sa che il suo Regno è servizio, sa che questa sua posizione gli costerà del sangue e questi parlano di privilegi e di cariche, di bonus e di benefit. Sembra di leggere uno degli squallidi resoconti di questi giorni in cui politici meschini e piccini sprecano denari pubblici mentre molte famiglie scivolano nella disperazione. Terribile.

LOGICHE
Una pagina sincera, che ci obbliga a guardare al nostro modo di essere Chiesa. Penso, in particolare, a quanti hanno compiti e responsabilità all’interno della comunità: vescovi, sacerdoti, ma anche catechisti e animatori. Ho visto persone straordinarie, consapevoli dei propri limiti, consumare la propria vita nell’annuncio del Vangelo. Ho visto sacerdoti in età di pensione e pieni di acciacchi portare ancora l’immenso dono del Pane di Vita in piccole comunità sperdute e giovani passare il loro sabato libero a giocare con i ragazzi in un polveroso e improbabile campo di calcio in periferia. Ma ho anche visto (e sento dentro di me), la tentazione dell’applauso e della gloria, del riconoscimento sociale del mio sforzo, del risultato che, in qualche modo, deve essere visibile e quantificabile. Ho visto (e sento dentro di me) rispolverare vecchi titoli e privilegi, giovani preti convinti che basti la loro semplice presenza e simpatia per cambiare le cose. Ho visto (e sento dentro di me) catechisti offendersi per un richiamo, lettori incupirsi per una minore attenzione, educatori stancarsi al primo soffio di vento. E penso che dobbiamo ancora fare tanta strada, stare attenti a non cadere nell’inganno della mondanità, guardare sempre e solo al Maestro che ha amato, senza attendersi dei risultati e ottenendoli proprio dando il meglio di sé, in assoluta umiltà e mitezza.

MAESTRO
Gesù dice di essere come agnelli in mezzo ai lupi. Davanti a tanta piccineria, non si scoraggia. Avrebbe bisogno di conforto, dona conforto. Si siede e insegna, ancora una volta. È naturale che ci sia il desiderio di emergere, di prevalere, di primeggiare, anche nella Chiesa. È da discepoli fare come lui, mettersi a servizio del Regno.
In questo mese in cui la Chiesa tutta, sollecitata dal Papa, riflette su come raccontare il vangelo all’uomo d’oggi, questa domenica ricorda lo stile con cui farlo, senza cedere, anche nel nostro piccole, alle logiche mondane del dominio.

(PAOLO CURTAZ)


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Commedia musicale °°
Ascoltate o scaricate il canto Noi buoni e briganti
per riflettere, in musica, sul Vangelo di oggi e sull’uomo