«Ragazzo, dico a te, àlzati!». Lc 7,14
Continua a leggere Vedere è amare – Buona domenica! – X Domenica Tempo Ordinario – anno C
«Ragazzo, dico a te, àlzati!». Lc 7,14
Continua a leggere Vedere è amare – Buona domenica! – X Domenica Tempo Ordinario – anno C
«Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode». Lc 4,14
Gesù di Nazaret: maestro per alcuni e carpentiere per altri; uomo straordinario o scomodo disturbatore; Signore risorto o un perfetto sconosciuto. E questo si ripete ormai da oltre duemila anni. L’alternanza è sempre la stessa: tra chi lo osanna, chi lo condanna, chi lo ignora, chi lo segue. Continua a leggere Amici di Dio – Buona domenica! – III Domenica Tempo Ordinario – anno C
Trinità… quante difficili parole spiegano questo grande mistero.
Eppure c’è una storia, un evento, un incontro che ce lo racconta con grande semplicità e forza: Gesù di Nazaret, la sua vita, le sue parole e i suoi gesti, i suoi incontri, le sue promesse e la sua Risurrezione.
Non c’è mistero, non c’è segreto, non c’è nulla che dica distanza tra noi e quel Dio Trinità.
Non si tratta di inventare nulla… ci è semplicemente chiesto di guardare, ma non come chi lo fa con superficialità e preso dalla fretta.
Ci è chiesto di entrare in profondità in quelle parole e in quei gesti che Gesù, passo dopo passo, ha vissuto e proposto ai suoi, alle folle, ai peccatori, ai cercatori, ai desiderosi di perfezione.
Ci è chiesto di non restare a guardare dall’esterno, ma di comprometterci in quell’esistenza così radicalmente segnata dalla forza di un amore folle, dalla radicalità di una gratuità scomoda, dal perdono offerto a coloro che hanno ucciso, consapevolmente e insensatamente. Continua a leggere Buona domenica! – Trinità – Anno A
Perché stateIl racconto degli Atti, carico della dolente nostalgia che ogni addio porta con sé, descritta mirabilmente dagli occhi dei discepoli rimasti fissi verso il cielo, rafforzato dalle bellissime rappresentazioni degli artisti, può suscitare in noi l’insoddisfazione per la mancanza di una presenza fisica di Gesù che – quella sì! – avrebbe risolto tanti nostri dubbi e problemi. Quante volte abbiamo accarezzato questo desiderio: “Se potessi incontrare Gesù vivo come i suoi discepoli…” In realtà, l’ascensione di Gesù al cielo, cioè il suo entrare con tutta la pienezza della sua esperienza umana nella dimensione divina, è la garanzia della sua presenza accanto a noi. Continua a leggere Buona domenica! – Ascensione del Signore – Anno A
Se mi amate…Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama, afferma Gesù. Le sue parole ci ricordano prima di tutto che non si può essere suoi discepoli a parole, ma soltanto a fatti, perché: Non chi dice: Signore, Signore… (Mt 7,21). Ricordarlo ci fa bene in una società dove le parole fioccano, ma i fatti scarseggiano.
Si pensi a tutte le intemerate contro la corruzione, contro il distacco della politica dalla vita, contro la mostruosa inefficienza della burocrazia… e i fatti che ne sono scaturiti.
Queste parole, però, ci pongono anche un altro problema molto serio: serve ancora accogliere i comandamenti di Gesù – e di conseguenza: servono ancora i cristiani – in una società che ormai sembra averli metabolizzati? Sappiamo infatti che i comandamenti di Gesù si riducono, per sua espressa volontà, in uno soltanto: Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri (Gv 15,17). Bene! Mai come oggi sono numerose le associazioni che si preoccupano degli altri: telefono azzurro e rosa, medici senza frontiere, associazioni contro la fame nel mondo, contro lo sfruttamento dei bambini, contro la pena di morte e la tortura, contro il cancro e le malattie genetiche. Continua a leggere Buona domenica! – VI di Pasqua – Anno A
Del luogoSignore, mostraci il Padre e ci basta, esclama l’apostolo Filippo. Per comprendere il tono e il senso della sua esclamazione è necessario collocarla nel contesto. E’ la sera dell’ultima cena. Prima di uscire dal cenacolo per recarsi nell’orto degli ulivi, Gesù intrattiene i suoi amici con un lungo discorso, carico di tristezza e speranza, di richiami al tempo trascorso insieme, di accenni misteriosi a quello che sta per accadere, e a quello, ancor più misterioso, che per volontà del Padre sarebbe accaduto dopo.
Gli apostoli capiscono che, pur non potendo andare dove il Maestro sta per andare (Gv 13,33), non sarebbero stati lasciati soli, e che la loro tristezza si sarebbe trasformata in gioia (Gv 16.20). Per loro si preparano momenti difficili. Perciò sono preoccupati e frastornati. E’ da questo clima di incertezza che nasce la richiesta quasi perentoria di Filippo: “Mostraci il Padre e ci basta!”. Cioè: faccelo vedere e così capiremo tutto. Continua a leggere Buona domenica! – V di Pasqua – Anno A
Conosco le mie pecoreAl tempo di Gesù le pecore venivano radunate durante la notte e chiuse in un basso recinto fatto di pietre accatastate. A volte, ad aumentare un po’ la sicurezza, di aggiungeva una fila di rovi spinosi, in modo da impedire ai ladri e ai lupi di accedere e di fare scempio del gregge. Il recinto, normalmente, sorgeva nei pressi del villaggio e radunava le pietre di numerosi proprietari. A turno, poi, questi si alternavano per la veglia della notte: si ponevano nell’unica apertura del recinto di pietre e, seduti, si appoggiavano con la schiena ad uno stupite e con le gambe rannicchiate chiudevano il passaggio: diventavano loro stessi la “porta” del recinto.
Impedivano così ai malintenzionati di avvicinarsi. Sul fare del mattino, quando arrivavano i singoli proprietari, bastava una voce per svegliare le proprie pecore che, a questo punto, venivano lasciate passare per andare a pascolare. Avendo ora davanti agli occhi questa immagine capiamo meglio l’allegoria usata da Gesù nel decimo capitolo delvangelo di Giovanni e che leggiamo ogni anno, dividendola in tre parti, durante la quarta domenica di Pasqua.
LA PORTA
Gesù è quel pastore che passa la notte a vegliare, accovacciato all’apertura del recinto di pietre, diventando egli stesso la porta che lascia passare solo chi ha a che fare con le pecore e tiene lontano i nemici, i briganti, i ladri. Le pecore fanno gola a molti, allora come oggi. Noi pecore, spesso, veniamo coinvolte da persone cui non stiamo a cuore. Dai politici che hanno bisogno del voto dei cattolici, come se esistesse un voto dei cattolici! Da alcuni che pensano sempre di coinvolgere i cristiani a diventare gli infermieri della Storia per tamponare le gravi inadempienze di uno Stato ormai allo sbando. Da coloro che pensano di trarre profitto dalla fede, anche economico, ora che il Papa “tira” e sta diventando un personaggio fin troppo amato. Molti, troppi, si avvicinano a noi con seconde intenzioni, a volte, purtroppo, all’interno della stessa Chiesa. Come i devoti del tempo, i sacerdoti e i farisei, che trattavano le pecore come dei beoti da indottrinare e condurre, come persone senza spina dorsale da usare come specchio del proprio ego spirituale. Come chi pensa di ottenere un tornaconto dalle pecore, veri mercenari. Continua a leggere Buona domenica! – IV di Pasqua – Anno A
Gesù Dio lo ha risuscitatoIn questa domenica, terza di Pasqua, la proclamazione del brano ci trova con gli occhi pieni delle folle che domenica scorsa hanno gioito per la santità di due cristiani “coraggiosi”, che hanno saputo vivere la loro fede in maniera esemplare – pur essendo di carne e ossa come noi, di carne e ossa come Cleopa e il suo amico – tanto da suscitare grande ammirazione non solo tra i credenti.
Queste folle osannanti hanno dato vita a un evento “storico”, “unico”, “emozionante”…, come ci siamo sentiti ripetere dai media e dalle voci più diverse. Ma possiamo accontentarci di questa “eco” mondiale? No. La risonanza si spegnerebbe in pochissimo tempo, magari in attesa di qualche altro cristiano “coraggioso” che susciti la meraviglia delle folle. E’ necessario, invece, che la santità “coraggiosa” – che la provvidenza di Dio ogni tanto fa risplendere in maniera così evidente – diventi l’impegno delle folle dei cristiani, a partire da quelle presenti in san Pietro, di quelle che l’hanno visto in tivù, fino a quelle che l’hanno semplicemente sentito raccontare. Cioè di tutti noi. Questa “festa” per rimanere un “evento” (ciò qualcosa che cambia la vita di chi vi ha partecipato) deve spronarci a portare nella piccola vita di ogni giorno, almeno un po’ del loro coraggio dei due nuovi santi, per avere, almeno un po’, della loro la capacità di dare “testimonianza alla Chiesa e al mondo della bontà di Dio, della sua misericordia”. E’ possibile tutto questo per noi piccoli cristiani, feriali? Non è un impegno che supera le nostre deboli spalle? Non è una grandezza che noi possiamo soltanto ammirare,
ringraziando Dio per i pochi che ci riescono?
tutti i luoghi e in tutte le situazioni. Gesù si avvicina e cammina con loro. Non irrompe, non pretende il centro della scena. Arriva con discrezione. Non impone il suo passo e la sua direzione. Cammina con loro. E ascolta. Entrato nei loro problemi, non parte con la predica, con il consiglio non richiesto, ma suscita domande: “Che sono questi discorsi che state facendo con il volto triste?”. Fatte emergere le domande spiega, partendo da quello che a loro interessa (quante prediche partono da ciò che interessa a coloro che ascoltano?). Non dà spiegazioni prefabbricate e scontate, da “catechismo”, ma tali da fare ardere il cuore.Terminato il dialogo, Gesù non chiede verifiche, non cerca subito il consenso alle sue spiegazioni, né tanto meno pretende cambiamenti immediati di vita: “Adesso tornate a Gerusalemme”. No. Fa finta di andare oltre, perché una presenza è gradita e fruttuosa soltanto se richiesta (se ci si ricordasse di più della manzoniana donna Prassede…). Una volta a tavola con loro, conquistata la loro fiducia e simpatia, non smentisce le parole, ma le conferma con un segno tanto praticato che lo identifica e lo fa riconoscere: lo spezzare il pane, cioè la condivisione, la carità, la gratuità.
DON TONINO LASCONI
Abbiamo visto il Signore!È risorto! Abbiamo lungamente atteso la notizia passata da bocca a orecchio, ci siamo preparati in questi quaranta giorni. Lo abbiamo cantato durante la notte pasquale e ripetuto durante gli otto giorni che seguono. È risorto! Lo credo, lo credo con ogni mia fibra. Credo che Gesù sia vivo, accessibile, incontrabile. Credo che egli sia raggiungibile e che abiti nei mille segni che ci ha lascito. Non come sbiadito ricordo ma come misteriosa (misterica) presenza.
Eppure: come vorrei poterlo vedere! E conoscere! E abbracciare! Così le prime comunità cristiane, morti gli apostoli, desideravano in cuor loro. È allora cheGiovanni l’evangelista ha deciso di raccontare la storia di uno degli apostoli, Tommaso. Beato non perché ha visto ciò che noi non vediamo. Ma perché ha creduto senza vedere. Esattamente come accade a noi.
FERITE
Gesù, la sera di Pasqua, appare ai suoi. Manca Tommaso. Quando torna, i suoi amici gli danno la notizia, confusi e stupiti, raggianti e pieni di entusiasmo. È gelida la risposta di Tommaso. No, non crede. Non crede a loro. Loro che dicono che Gesù è risorto, dopo essere fuggiti come conigli, senza pudore. Non crede, Tommaso, alla Chiesa fatta da insopportabili uomini fragili che, spesso, nemmeno sanno riconoscere la propria fragilità. Non crede ma resta, e fa bene. Non fugge la compagnia della Chiesa, non si sente migliore. Rassegnato, masticato dal dolore, segnato dal sogno infranto, ancora resta. Tenace. Torna Gesù, apposta per lui. So che hai molto sofferto, Tommaso. Anch’io, guarda qui. Gli mostra le mani, il risorto, trafitte dai chiodi.
Ora cede, Tommaso, il grande credente. Si getta in ginocchio, piange, come un bambino che ritrova i propri genitori. Piange e ride e, primo, professa la fede che sarà di tutti: Gesù è Signore e Dio. Può il dolore avvicinarci a Dio? Sì, se scopriamo che Dio lo condivide senza riserva. Il risorto, ormai, lo riconosciamo solo attraverso dei segni: le bende, la voce, il pane spezzato, il segno della pesca. Ma anche le ferite del risorto, la partecipazione al dolore di Dio diventano segno.
FEDE
Gioca con noi l’evangelista. È un crescendo di titoli rivolti a Gesù, il suo vangelo. Come una piccola traccia fatta di briciole che ci conducono alla pienezza della verità. I primi due discepoli lo hanno chiamato rabbì (Gv 1,38), poco dopo Andrea dice a Simone di avere trovato il messia (Gv 1,41), Natanaele osa chiamarlo Figlio di Dio (Gv 1,49), i samaritani lo proclamano salvatore del mondo (Gv 4,43) e la gente lo acclama come un profeta (Gv 6,14). Per il cieco guarito egli è il Signore (Gv 9,38) e Pilato gli attribuisce il titolo di re dei giudei (Gv 19,19). Ma è Tommaso ad avere l’ultima parola proclamandolo mio Signore e mio Dio, un’espressione che la Bibbia attribuisce solo a Jahwé (Sal 35,23). Continua a leggere Buona domenica! – II di Pasqua – Anno A
Per noi Cristo si è fatto obbediente fino alla morteSono convinto che non serva commentare il racconto della passione del Signore, perché ogni parola umana toglierebbe forza alla parola di Dio. Sappiamo che prima che i vangeli fossero scritti, questo racconto era “il vangelo”: la buona notizia di fronte alla quale gli ascoltatori o si allontanavano increduli e infastiditi, o sentendosi trafiggere il cuore, esclamavano: “Cosa dobbiamo fare, fratelli?” (At 2,37). Perciò mettiamo da parte le nostre riflessioni, e impegniamoci ad ascoltarlo come se fosse la prima volta, facendolo entrare dentro di noi “come l’acqua e la neve”, nella certezza che produrrà i suoi frutti (Is 55,10).
Cioè la discesa verso l’umanità e la salita verso il Padre.
Nella Cena emerge la grandezza del suo farsi dono anche a chi non lo capisce e lo tradisce; nell’abbandono dei suoi amici c’è la promessa che tornerà a convocarli di nuovo in Galilea; nel sinedrio smaschera una religione che finge goffamente di adorare Dio mentre ha a cuore soltanto gli interessi di coloro che la professano; davanti a Pilato mette a nudo la pericolosità del potere umano quando non è vissuto come servizio, ma come oppressione, nonché l’illusione di poter contare sulla simpatia delle folle; nello spirare in croce dà la prova suprema della coerenza alla sua scelta di obbedire al Padre, anche nella sensazione drammatica di essere stato abbandonato: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato”. Così la morte, il punto più profondo della discesa, diventa il punto più alto della salita. Infatti, “il centurione e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù” – cioè quelli i Giudei ritenevano incapaci di conoscere Dio – lo riconoscono, mentre la terra che trema, le rocce che si spezzano, il velo del tempio che si squarcia in due, i sepolcri che si aprono annunciano già che il suo sepolcro si spalancherà, e la morte sarà vinta.
Lasciamoci trafiggere il cuore! Per accogliere Gesù dobbiamo seguire il suo percorso di discesa e salita: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” (Mc 8,34). I tentativi di salire con lui senza scendere dal nostro io portano alla religione del sinedrio, al potere di Pilato, alle folle che cambiano bandiera, ai sepolcri che rimangono chiusi e puzzolenti.DON TONINO LASCONI