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Buona domenica! – II di Pasqua – Anno A

Cover BD II di Pasqua A cvAbbiamo visto il Signore!

Dal Vangelo di Giovanni  (Gv 20,24)
  II DOMENICA di PASQUA – Anno A

È risorto! Abbiamo lungamente atteso la notizia passata da bocca a orecchio, ci siamo preparati in questi quaranta giorni. Lo abbiamo cantato durante la notte pasquale e ripetuto durante gli otto giorni che seguono. È risorto! Lo credo, lo credo con ogni mia fibra. Credo che Gesù sia vivo, accessibile, incontrabile. Credo che egli sia raggiungibile e che abiti nei mille segni che ci ha lascito. Non come sbiadito ricordo ma come misteriosa (misterica) presenza.
Eppure: come vorrei poterlo vedere! E conoscere! E abbracciare! Così le prime comunità cristiane, morti gli apostoli, desideravano in cuor loro. È allora che esultanti cvGiovanni l’evangelista ha deciso di raccontare la storia di uno degli apostoli, Tommaso. Beato non perché ha visto ciò che noi non vediamo. Ma perché ha creduto senza vedere. Esattamente come accade a noi.

FERITE
Gesù, la sera di Pasqua, appare ai suoi. Manca Tommaso. Quando torna, i suoi amici gli danno la notizia, confusi e stupiti, raggianti e pieni di entusiasmo. È gelida la risposta di Tommaso. No, non crede. Non crede a loro. Loro che dicono che Gesù è risorto, dopo essere fuggiti come conigli, senza pudore. Non crede, Tommaso, alla Chiesa fatta da insopportabili uomini fragili che, spesso, nemmeno sanno riconoscere la propria fragilità. Non crede ma resta, e fa bene. Non fugge la compagnia della Chiesa, non si sente migliore. Rassegnato, masticato dal dolore, segnato dal sogno infranto, ancora resta. Tenace. Torna Gesù, apposta per lui. So che hai molto sofferto, Tommaso. Anch’io, guarda qui. Gli mostra le mani, il risorto, trafitte dai chiodi.triste cv
Ora cede, Tommaso, il grande credente. Si getta in ginocchio, piange, come un bambino che ritrova i propri genitori. Piange e ride e, primo, professa la fede che sarà di tutti: Gesù è Signore e Dio. Può il dolore avvicinarci a Dio? Sì, se scopriamo che Dio lo condivide senza riserva. Il risorto, ormai, lo riconosciamo solo attraverso dei segni: le bende, la voce, il pane spezzato, il segno della pesca. Ma anche le ferite del risorto, la partecipazione al dolore di Dio diventano segno.

FEDE
Gioca con noi l’evangelista. È un crescendo di titoli rivolti a Gesù, il suo vangelo. Come una piccola traccia fatta di briciole che ci conducono alla pienezza della verità. I primi due discepoli lo hanno chiamato rabbì (Gv 1,38), poco dopo Andrea dice a Simone di avere trovato il messia (Gv 1,41), Natanaele osa chiamarlo Figlio di Dio (Gv 1,49), i samaritani lo proclamano salvatore del mondo (Gv 4,43) e la gente lo acclama come un profeta (Gv 6,14). Per il cieco guarito egli è il Signore (Gv 9,38) e Pilato gli attribuisce il titolo di re dei giudei (Gv 19,19). Ma è Tommaso ad avere l’ultima parola proclamandolo mio Signore e mio Dio, un’espressione che la Bibbia attribuisce solo a Jahwé (Sal 35,23). Continua a leggere Buona domenica! – II di Pasqua – Anno A

Buona domenica! – II di Pasqua – Anno C

bella notizia cv«Abbiamo visto il Signore!»

Dal Vangelo di Giovanni (Gv 20, 19-31)
II DOMENICA DI PASQUA o della Divina Misericordia – Anno C

È risorto il Signore. La tomba è stata trovata vuota e tutto, ora, è diverso. Non sanno che cosa pensare, i discepoli, alternando momenti di entusiasmo a dubbi e fatica. Chiusi nella stanza alta dove hanno celebrato la cena, ancora faticano a focalizzare ciò che è successo. Tutto troppo. Troppo grande, inatteso, folle, nuovo. Tutto è sparigliato, eccessivo, incomprensibile. È davvero risorto. Ma allora? Chi è davvero il Nazareno? Le donne hanno parlato di una visione di angeli. Ma sono solo donne, emotivamente instabili. Anche i discepoli di Emmaus hanno parlato di uno strano incontro. E Simone, pur nel mutismo che lo contraddistingue da quella orribile notte, ha fatto cenno ad un tale che ha incontrato. Ancora stanno parlando quando Gesù appare.

FEDE
È questione di fede, ovvio. Ed è la fede la protagonista della seconda domenica di Pasqua, ogni anno, con un attore d’eccezione: Tommaso apostolo. Il credente, non l’incredulo. E in questo anno della fede, alla fine di questa storica quaresima in cui lo Spirito ha sparigliato le carte e ci ha donato un nuovo Pietro, riflettiamo su cosa significa “credere”. Concetto ambiguo, nella lingua italiana, in cui credere equivale a dubitare: credo che domani farà bel tempo. Nella lingua della Bibbia, invece, per descrivere l’atto di fede si usano due verbi: ‘aman e hatah, che indicano un punto d’appoggio sicuro, una certezza assoluta (dal primo verbo deriviamo la nostra affermazione liturgica amen: ne sono certo). sfiducia cvCredere significa appoggiarsi a qualcosa di saldo, fidarsi di qualcuno che è affidabile. Tommaso non crede. Non più. Ciò a cui si è appoggiato è miseramente crollato. Il suo entusiasmo si è spento: tutto sembra perduto, il Regno un’illusione, il Rabbì un buono travolto dalla malvagità del potere religioso. Tommaso non ha più certezze perché la croce le ha travolte. Come succede anche a noi. Bene.  Significa che proprio quelle certezze dovevano crollare perché fragili. Ancora non lo sa, Tommaso, ma la sua fede è pronta a rinascere, ad appoggiarsi alla predicazione del Rabbì e non più alle false prospettive che l’apostolo aveva elaborato. Se crolla la fede significa che poggiava su basi fragili e inconsistenti. E siamo finalmente pronti per la Fede.

FIDUCIA
Ma fede significa anche fidarsi. E Tommaso non si fida più dei suoi compagni, della Chiesa. Sono loro a dirgli che Gesù è vivo. pensieroso cvMa come dar loro fiducia dopo aver dimostrato di essere dei pavidi? Degli incoerenti come anch’egli, Tommaso, lo è stato? Ha ragione, Tommaso. Come possiamo credere al vangelo se la Chiesa che lo proclama troppe volte non lo vive? Ma non se va Tommaso. Non si sente offeso se il messaggio della resurrezione è affidato alle nostre fragilissime mani. Non capisce ma resta, senza fondare una chiesa alternativa, senza sentirsi migliore, senza andarsene. E fa bene a restare. Otto giorni dopo il Maestro torna, apposta per lui.

CHIODI
Eccolo, il Risorto. Leggero, splendido, sereno. Sorride, emana una forza travolgente. Gli altri lo riconoscono e vibrano. Tommaso, ancora ferito, lo guarda senza capacitarsi. Viene verso di lui ora, il Signore, gli mostra le palme delle mani, trafitte. «Tommaso, so che hai molto sofferto. Anch’io ho molto sofferto: guarda qui» E Tommaso cede. La rabbia, il dolore, la paura, lo smarrimento si sciolgono come neve al sole. splendore del risorto cvSi butta in ginocchio ora e bacia quelle ferite e piange e ride. «Mio Signore! Mio Dio!».

SAN TOMMASO
San Tommaso, patrono di tutti gli entusiasti che buttano il cuore oltre l’ostacolo, che ci credono a questo Cristo, aiuta quelli che hanno sperimentato sulla propria pelle il fallimento della propria vita. Dona loro di non lasciarsi travolgere dalla rabbia e dal dolore, ma di sapere che il Maestro ama la loro generosità, come ha amato la tua.
San Tommaso, patrono di tutti gli scandalizzati dall’incoerenza della Chiesa, aiuta chi è stato ferito dalla spada del giudizio clericale a non fermarsi alla fragilità dei credenti, ma di fissare lo sguardo sullo splendore del risorto che essi indegnamente professano e sui grandi segni che lo Spirito ci dona come l’avvicendarsi di due grandi vescovi di Roma.
San Tommaso, patrono dei tenaci, aiuta a non sentirci migliori quando, come te, vediamo che i nostri fratelli nella fede sono piccini, ma a restare fedeli al grande sogno del Maestro che è la Chiesa e a convertire la Chiesa a partire da noi stessi.
San Tommaso, patrono dei crocifissi senza chiodi, che hai visto nel segno delle palme del Signore riflesso lo squarcio che la sua morte aveva provocato nel tuo cuore, aiuta a vedere che il dolore, ogni dolore, il nostro dolore è conosciuto da Dio.
San Tommaso, patrono dei discepoli, primo, tra i Dodici, ad avere professato la divinità di Cristo, aiutaci a professare con franchezza la nostra fede nel volto di Dio che è Gesù.

(PAOLO CURTAZ)

“Io l’ho visto” da IL RISORTO (Paoline 2007) di D. Ricci

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Buona domenica! – II di Pasqua – Anno B

«E chi è che vince il mondo
se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio?»

Dalla Prima Lettera di S. Giovanni Apostolo (1Gv 5,1-6)
II DOMENICA DI PASQUA – Anno B

È risorto! La notizia ha attraversato i secoli, è arrivata fino a noi, oggi. Milioni di uomini e donne hanno scoperto la semplice verità: è inutile cercare il crocifisso, non è qui, è risorto. Non rianimato, non vivo nella nostra memoria: Gesù di Nazareth è risorto da morte e vive in eterno.
La sua tomba, preziosamente conservata a Gerusalemme, richiama centinaia di migliaia di persone, ogni anno, uomini e donne che, più o meno consapevolmente, affrontano un viaggio, nel passato pericoloso e lunghissimo, per vedere una tomba. Vuota. Ma, certo, la cosa ci può lasciare indifferenti o pieni di dubbi. Specialmente in questi fragili tempi, siamo consapevoli che la fede nel risorto richiede un salto di qualità: altro è credere che un buon uomo, un profeta di nome Gesù, ci ha parlato di Dio in modo innovativo. Altro professarlo risorto e presente, manifestazione stessa del Signore. Non ditelo a Tommaso.

TOMMASO, CHE CI CREDE ANCHE SE NON CI METTE IL NASO
Tommaso è deluso, amareggiato, sconfitto. Il suo terremoto ha un nome: crocifissione. Lì, sul Golgota, ha perso tutto: la fede, la speranza, il futuro, Dio. Ha vagato per giorni, come gli altri, fuggendo per la paura di essere trovato e ucciso. Umiliato e sconvolto, si è trovato al Cenacolo con gli apostoli che gli hanno raccontato di avere visto Gesù. E, lì, Tommaso si è indurito. L’Evangelista Giovanni non ne parla, tutela della privacy, ma so bene cosa ha detto agli altri: «Tu Pietro? Tu Andrea?… e tu Giacomo? Voi mi dite che lui è vivo? Siamo scappati tutti, come conigli; siamo stati deboli, non gli abbiamo creduto! Eppure, lui ce l’aveva detto, ci aveva avvisati. Lo sapevamo che poteva finire così, e non gli siamo stati vicini, non ne siamo stati capaci. Ora, proprio voi, venite a dirmi di averlo visto, vivo? No, non è possibile… come faccio a credervi?»
Tommaso è uno dei tanti scandalizzati dall’incoerenza di noi discepoli. Eppure resta, non se ne va, stizzito. E fa bene. Perché torna proprio per lui, il Signore. E l’incontro è un fiume di emozioni. Gesù lo guarda, gli mostra le mani, ora parla: «Tommaso, so che hai molto sofferto. Anch’io, guarda». E Tommaso crolla. Anche Dio ha sofferto, come lui.

SENZA VEDERE
Siamo chiamati a credere senza vedere. Siamo beati se crediamo senza vedere. Ma non come dei creduloni ingenui e storditi. La fede è proprio la fiducia in qualcosa che non vediamo, ma che sperimentiamo credibile. Il problema, semmai, è chi ce ne parla, sapere se merita o meno fiducia.
Gesù risorto appare agli apostoli e dona loro la pace, lo Spirito e il perdono dei peccati. Solo attraverso lo Spirito possiamo sperimentare la pace del cuore di chi si sa riconciliato e diventa dispensatore di perdono. Incontrare Gesù risorto è un evento dell’anima, che parte dalla curiosità, si nutre di intelligenza e approda alla fede. La curiosità inizia nell’incontro con persone (sempre troppo poche!) che vivono nella pace del cuore, riconciliati con loro stessi e scoprire che sono discepoli del risorto. Anche noi, come loro, possiamo inseguire Gesù, salvo poi scoprire di cercare coloro che ci cercano.
Non solo: Giovanni, nella seconda lettura, ribadisce cosa è essenziale nei discepoli: amare. Che sia questo il problema? Che sia proprio l’assenza di cristiani pacificati, perdonati e colmi d’amore a far nascere tanti dubbi?

LUCA RACCONTA
La prima comunità in Gerusalemme attira ammirazione e curiosità: in un mondo di squali i cristiani si vogliono bene, in un mondo in cui regna l’inganno e la bramosia del denaro (già allora?) i discepoli si aiutano nei bisogni concreti, in un mondo di pavidi, gli apostoli professano con forza la loro verità. Certo, gli esegeti ci dicono che quella di Luca è più una catechesi che una descrizione, ma tanto basta per capire che, forse, i nostri percorsi devono cambiare.
Proprio perché fatichiamo nel vedere comunità di persone che non giudicano ma che accolgono, che non vivono come gli altri, usandosi per avere dei benefici e che proclamano Cristo con convinzione e passione, i dubbi crescono e le nostre comunità vacillano. Che fare? Il rischio è di fare ciò che fanno in molti: andarsene, rassegnarsi, spegnersi.
Oppure…

MILLE LIBRI
Oppure scrivere mille altri vangeli, mille altre storie, mille altre meraviglie, come suggerisce Giovanni. Oppure fare come Tommaso che, pur deluso, non se ne va, ma resta e aspetta. E fa bene ad aspettare, perché il Signore torna.
Beati noi che crediamo senza avere visto. Senza avere visto Cristo o gli apostoli. Senza vedere, a volte, coerenza a passione nelle comunità ma, piuttosto, abitudine e affaticamento. Beati noi che non ce ne andiamo, che non ci sentiamo migliori, che soffriamo per la Chiesa che amiamo. Beati noi che vogliamo cambiare le cose che non funzionano a partire dai noi stessi. Come Tommaso, vedremo i segni del risorto anche nelle piaghe.

(PAOLO CURTAZ)


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Occhi per vedere – 17 agosto/A Madrid con un Click

«Perché mi hai veduto, tu hai creduto;

beati quelli che non hanno visto e hanno creduto»

 Gv 20, 29

La beatitudine con cui si chiude il Vangelo di Giovanni, mi piace definirla, la beatitudine dei non vedenti! Vi suona strano? Anche a me! Strano, ma efficace. Ho sentito tante volte chiedere a Dio segni che permettano una fede più forte, più salda, più certa. Ma mi chiedo: siamo proprio sicuri che occorrano i segni perché questo accada?

Quanta gente sulle rive del lago di Galilea ha incontrato Gesù, ha visto segni straordinari e non ha creduto?

Quanta gente chiede segni, anche oggi, e poi dimentica di aver chiesto, ma soprattutto dimentica di aver ottenuto?

Quante volte ognuno di noi si è legato a una candela accesa, a una preghiera esaudita, a un miracolo ottenuto?

Eppure la beatitudine dei non vedenti ci spinge su orizzonti diametralmente opposti. Beati voi che non vedete; beati voi che credete nella notte; beati voi che muovete passi, fidandovi solo della sua voce; beati voi che non chiedete il conto per quanto avete offerto; beati voi che fate dei Sì detti, un Amen fedele; beati voi che non vedendo, non toccando, non stringendo prove tra le mani e nella mente, credete e lo fate fino in fondo, costi quel che costi!

Beato te che hai creduto Tommaso! Ma più di te è beata quella mamma che chinandosi sul corpo del suo piccolo, straziato dalla malattia ha detto: «Signore, mio!»… e lo ha detto piangendo.

Beato te Pietro che hai avuto il coraggio di stringere la mia mano per lasciarti risollevare dalle acque, di guardarmi nella notte del tradimento. Ma è ancora più beato colui che dopo aver tradito ha insegnato al suo cuore le vie del pentimento e ha incontrato nell’amore la forza di cambiare.

Beato te Zaccheo, che ascoltando la mia voce sei sceso subito e mi hai accolto in casa tua. Ma è ancora più beato colui che apre ogni giorno la sua casa al povero e condivide il poco di cui egli stesso vive.

Beati tutti voi che toccando il mio mantello, ascoltando le mie parole, percorrendo le mie stesse strade avete creduto in me e per me avete perso ogni cosa. Ma sono ancora più beati coloro che ogni giorno, in ogni parte del mondo, fanno della loro vita un dono, che scelgono di perderla per amore, che non misurano e amano, trovando solo nella croce il senso e la forza di ogni singolo Sì.

Beato te fratello senza nome che a Gerico hai ottenuto la vista! Ma più di te è beata ogni donna e ogni uomo che crede, continuando ad accogliere il buio del dubbio, della notte, della morte, della solitudine, della sfiducia, trovando in me e nella mia Parola la forza, la determinazione, la giusta motivazione per risorgere nel cuore.

Fermiamoci anche oggi, cari amici blogger! E lasciamo che la beatitudine dei non vedenti entri nella nostra vita.

A noi è chiesto di vedere con il cuore, di credere in pienezza, di pronunciare i nostri amen ogni giorno. Entriamo allora nell’esperienza degli apostoli, perché il Signore Risorto, oggi desidera incontrare noi e donare pace al nostro cuore inquieto, perché ognuno di noi possa credere che lui è il Figlio di Dio, il Salvatore!

 Gv 20, 19- 31

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: “Pace a voi!”. Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”. Detto questo, soffiò e disse loro: “Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”.
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: “Abbiamo visto il Signore!”. Ma egli disse loro: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo”.
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: “Pace a voi!”. Poi disse a Tommaso: “Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!”. Gli rispose Tommaso: “Mio Signore e mio Dio!”. Gesù gli disse: “Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!“.
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

Cosa il Vangelo sussurra al nostro cuore? Quale passaggio interiore ci chiede?

Prega con il VIDEO: SALDI NELLA FEDE

Per maggiore approfondimento, per ascoltare un vox populi sulla Fede, clicka su Passi verso Madrid

Buona domenica!

Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi
e non metto il mio dito nel segno dei chiodi
e non metto la mia mano nel suo fianco,
io non credo.

Dal vangelo di Giovanni (Gv 20,19-31)
II DOMENICA DI PASQUA o DELLA DIVINA MISERICORDIA

La parola a…
Paolo Curtaz

La sera di Pasqua il maestro ha raggiunto i discepoli. Storditi, attoniti, lo hanno accolto, senza capire, ancora e ancora, cosa sia veramente successo. Ma è vivo, questo solo conta. Le donne avevano ragione. Sono pieni di gioia, i pavidi apostoli, la speranza si è riaccesa, come un turbine, come un’onda che sale lentamente.
È vivo, questo è certo. Lo hanno visto, lo hanno riconosciuto.
Ma allora. Allora ciò che egli ha detto ha uno spessore diverso.
Allora, chi è veramente Gesù? Allora…
Tommaso è assente. Quando torna, i suoi amici gli danno la notizia, confusi e stupiti.
È gelida la risposta di Tommaso.
No, non crede.
Non crede a loro. Loro che dicono che Gesù è risorto, dopo essere fuggiti come conigli, senza pudore. Non crede, Tommaso, alla Chiesa fatta da insopportabili uomini fragili che, spesso, nemmeno sanno riconoscere la propria fragilità. Non crede ma resta, e fa bene. Non fugge la compagnia della Chiesa, non si sente migliore. Rassegnato, masticato dal dolore, segnato dal sogno infranto, ancora resta. Tenace.
Torna Gesù, apposta per lui.

So che hai molto sofferto, Tommaso. Anch’io, guarda qui.
Gli mostra le mani, il risorto, trafitte dai chiodi.
Ora cede, Tommaso, il grande credente. Si getta in ginocchio, piange, come un bambino che ritrova i propri genitori. Piange e ride e, primo, professa la fede che sarà di tutti: Gesù è Signore e Dio.
Il risorto, ormai, lo riconosciamo solo attraverso dei segni: le bende, la voce, il pane spezzato, il segno della pesca.

Il risorto ci viene incontro colmando il nostro cuore di benedizione, di tenerezza, di gioia.
Animo, fratelli ancora nell’ombra: Tommaso è il patrono dei ritardatari.
Animo, fratelli segnati dalla malattia, Dio può fare di voi un capolavoro.
Animo, fratelli scoraggiati, la misericordia ci salva.

…e per riflettere puoi scaricare: Vincitore della morte

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