Per noi Cristo si è fatto obbediente fino alla morte
Acclamazione al Vangelo (Fil 2,8-9)
DOMENICA DELLE PALME E DELLA PASSIONE DEL SIGNORE– Anno A
Sono convinto che non serva commentare il racconto della passione del Signore, perché ogni parola umana toglierebbe forza alla parola di Dio. Sappiamo che prima che i vangeli fossero scritti, questo racconto era “il vangelo”: la buona notizia di fronte alla quale gli ascoltatori o si allontanavano increduli e infastiditi, o sentendosi trafiggere il cuore, esclamavano: “Cosa dobbiamo fare, fratelli?” (At 2,37). Perciò mettiamo da parte le nostre riflessioni, e impegniamoci ad ascoltarlo come se fosse la prima volta, facendolo entrare dentro di noi “come l’acqua e la neve”, nella certezza che produrrà i suoi frutti (Is 55,10).
Per un ascolto efficace è utile seguire il criterio interpretativo, suggerito da Paolo: “Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini… Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome”.
Cioè la discesa verso l’umanità e la salita verso il Padre.

La “discesa” dalla natura divina alla forma umana si manifesta in tutte le righe del racconto: il tradimento di un amico (nel racconto di Matteo, Giuda ha un rilievo molto più accentuato rispetto agli altri evangelisti); la tristezza per gli amici che non sanno rimanere svegli accanto a lui; l’arresto come fosse un brigante; il tribunale beffa del sinedrio; il rinnegamento di Pietro; la folla che gli preferisce Barabba; la crocifissione in mezzo a due ladroni; il gridare “a gran voce”: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”; “il nuovo grido a gran voce” prima di spirare e toccare il fondo della discesa.
La “salita” non avviene soltanto dopo, con la risurrezione che ascolteremo nella veglia pasquale, ma anche durante lo “scendere”, perché ogni gradino dello “svuotamento della divinità” contiene in sé già il momento della salita.
Nella Cena emerge la grandezza del suo farsi dono anche a chi non lo capisce e lo tradisce; nell’abbandono dei suoi amici c’è la promessa che tornerà a convocarli di nuovo in Galilea; nel sinedrio smaschera una religione che finge goffamente di adorare Dio mentre ha a cuore soltanto gli interessi di coloro che la professano; davanti a Pilato mette a nudo la pericolosità del potere umano quando non è vissuto come servizio, ma come oppressione, nonché l’illusione di poter contare sulla simpatia delle folle; nello spirare in croce dà la prova suprema della coerenza alla sua scelta di obbedire al Padre, anche nella sensazione drammatica di essere stato abbandonato: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato”. Così la morte, il punto più profondo della discesa, diventa il punto più alto della salita. Infatti, “il centurione e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù” – cioè quelli i Giudei ritenevano incapaci di conoscere Dio – lo riconoscono, mentre la terra che trema, le rocce che si spezzano, il velo del tempio che si squarcia in due, i sepolcri che si aprono annunciano già che il suo sepolcro si spalancherà, e la morte sarà vinta.


Un’ attenzione. Per la nostra sensibilità moderna, attentissima alla libertà personale, il fatto che Matteo sottolinei puntigliosamente come Gesù sia il compimento delle Scritture dei profeti potrebbe dare l’impressione che egli sia una specie di robot, programmato a subire passivamente e drammaticamente un percorso già scritto. Non è così. La corrispondenza puntuale con “le Scritture” (è impressionante come il brano di Isaia – la prima lettura – anticipa con precisione il racconto della passione) non è l’annullamento della libertà personale, ma l’affermazione della fedeltà di Gesù alla promessa liberamente fatta al Padre: “Ecco, io vengo a fare la tua volontà” (Eb 10,9). Grande messaggio per noi! Far corrispondere la nostra vita alle Scritture non è sottoporsi a un diktat che schiaccia e umilia la nostra libertà, ma la scelta libera e consapevole di realizzare la volontà di Dio: il nostro bene, la nostra risurrezione.
DON TONINO LASCONI