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Missionari… andate! – Passi nella fede/5

Passi nella fede

Missionari… andate!

passi nella fede – la parola ai giovani testimoni

E ora inizia la vita!

“Andate, senza paura, per servire!” L’invito di Dio, afferma il Papa, è chiaro.

Le parole sono tre:

  1. Andate
  2. Senza paura
  3. per servire

Andate fino alle periferie dell’esistenza, ha affermato. E ora ognuno, sia chi ha vissuto la Giornata mondiale della gioventù a Rio, sia chi l’ha vissuta via web, può scegliere se far sì che quest’esperienza resti solo una bella esperienza, o se farla diventare un punto di non ritorno per la propria vita.

Il mandato è chiaro: giovani andate e siate missionari!

Voi che avete accolto Dio, voi che avete preso sul serio la sua parola, che vi siete sentiti in qualche modo raggiunti dal suo amore, che avete voluto varcare la porta della fede: ora non resta che andare amando! Andare nella consapevolezza e volontà di vivere da figli amati, da discepoli fedeli, da testimoni audaci, da apostoli dell’amore instancabile di Dio che diventa vero, credibile e toccabile solo attraverso le nostre stesse scelte di vita. Dio passa nella nostra storia personale, nel nostro linguaggio, nelle nostre scelte, nei nostri silenzi, nelle prese di posizione scomode, nella tenerezza, per raggiungere gli altri e aprirli alla vita. 

Andare, non fermarsi, questo è l’imperativo. Non permettere alla paura, alle insicurezze, al futuro precario di condizionare il nostro cuore, la nostra fiducia in lui. Occorre, nella fede/fiducia, diventare seminatori di speranza, perché il mondo impari, da Gesù Cristo, ad attuare la rivoluzione dell’amore.

 

 Video catechesi in streaming
con testimonianze di Giovani Campani
che hanno vissuto il gemellaggio con Rio da Salerno

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Una parola disturbante – Passi nella fede/4

Il seme della ParolaUna parola disturbante

 

Dolce come il miele e, allo stesso tempo, amara. Scomoda, disturbante, buona spesso a far perdere il sonno. Parola di vita e allo stesso tempo di morte. Parola che tocca e trasforma, Parola che instancabilmente parla. Parola forte e debole, onnipotente e fragile, parola di Dio ma affidata all’uomo. Parola che non tace. Parola che non si nasconde. Parola di tenerezza e di denuncia. Parola che per vivere ha avuto bisogno della natura umana. Parola che si dona in ogni istante. Parola che per donarsi vuole aver bisogno della fragilità umana. Parola che vuole abitare in noi, crescere in noi, donarsi attraverso noi.

Parola che, oggi, continua a essere Gesù Cristo vivo e operante nella storia. Parola che vuole raggiungerci e parlarci. Parola che in noi e attraverso noi vuole diventare dono.

Questa è la Parola di Dio alla quale spesso dedichiamo distrazione, fretta e superficialità. Eppure la sua Parola continua oggi a essere una parola che attraversa i cielo e ci raggiunge, che scende nelle profondità della terra e germoglia, che sfida la nostra fragilità ed è disposta a trasformarla in pienezza. 

Noi oggi saremo con un gruppo di giovani per un workshop sulla Parola. Lasciamo a voi queste brevi, ma crediamo, intense provocazioni, perché la Parola possa trovare sempre più spazio nella nostra vita, nelle relazioni e sulla nostra lingua.

Oggi ti proponiamo…

…di scegliere una parola o una frase tratta dalla Bibbia, e di dedicarla a una persona a te cara, a cui stai pensando particolarmente o che sta vivendo un momento particolare di difficoltà. Scrivile un messaggio, o mandale un SMS, dedicandole la Parola e pregando per lei.

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Con  Passi nella fede saremo on line ogni giorno, dal 22 al 27 luglio alle ore 19.00 (ora italiana)

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Varcando le porte della fede – Passi nella fede/3

Varcando le porte della fede

passi nella fede – video catechesi

fede_facebookLa fede è null’altro che fiducia, disponibilità a credere nelle parole di un altro, a fidarsi della sua parola.
Questa disponibilità interiore, che di fatto ci ha permesso di iniziare un cammino verso un oltre, qualsiasi oltre della nostra vita, anche quell’oltre che per convinzione interiore o razionale, non siamo disposti a chiamare Dio, ci permette di varcare la porta della fede e di vedere. “Chi crede, vede”, ci ricorda il Papa.
“Chi crede vede”… magari vedremo ombre, come il cieco, ma poi arriveremo alla luce e saremo capaci di vedere ogni cosa, di varcare l’oltre del mistero incomprensibile, di entrare in relazione con colui che pensiamo lontano o irraggiungibile. Vedremo, perché accompagnati, sostenuti, guariti da colui che si è consegnato per essere la luce in ogni forma di oscurità.
Non si crede perché si vede! Non si crede quando tutto è chiaro. Credere è fidarsi, è camminare nel buio sapendo di non essere soli. Varcare le porte della fede è aprirsi all’incontro con Dio, senza se e senza ma.

Aprirsi lasciandosi sorprendere dall’Immenso…

 

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Sete di speranza, sete di Dio – Passi nella fede/2

SperanzaSete di speranza, sete di Dio

passi nella fede – video catechesi

Sete di oltre, di sentirsi veramente abitanti dell’immenso, dell’infinito. Comprendere che il mondo, la storia, noi stessi non siamo frutto di una strana fantasia, né di una cieca e assurda casualità, ma di un movimento costante e ininterrotto, iniziato nell’attimo stesso della creazione e ancora in fieri, non finito, ma i costante evoluzione.
Dio abita questo tempo e questa storia come Signore, è lui il principio e la fine, colui che ha creato e che non abbandona la sua creazione.

La creazione e la storia diventano così il luogo in cui l’uomo può sperimentare l’amore di Dio, la sua tenerezza e, in questo, sentirsi e scoprirsi mistero infinito; scoprire la vita come mistero da accogliere e da far esplodere in tutta la sua pienezza.
Scoprire Dio, significa scoprire se stessi. 

 

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RAGAZZI & DINTORNI – Aprile 2013 – “… la risurrezione della carne, la vita eterna”

Dossier Aprile 2013

LA DOMANDA DI SEMPRE E DI OGGI

di Tonino Lasconi

Una domanda impossibile da evitare: «Ci sarà qualcosa dopo questa vita?». Nell’antichità la risposta era sì, come prova il culto interrogativodei defunti che ha prodotto le opere più grandiose dell’umanità: piramidi, mausolei, tombe.
Si, quindi, anche se in modo diversificato, alcuni popoli credevano che i morti continuassero la vita di quaggiù e li seppellivano insieme con le loro cose più care e persino con le mogli.
Altri pensavano che con la morte i corpi scomparissero, ma rimanesse lo spirito. Altri immaginavano un regno delle ombre, nel quale vagavano rimasugli di ciò che si era stati sulla terra.
Nell’Antico Testamento è presente anche questa idea: «La nostra vita passerà come traccia di nuvola, si dissolverà come nebbia messa in fuga dai raggi del sole» (Sap 2,4) e finirà nello sheol, il regno dei morti.
Nei sacri testi, però, affiora la speranza di una vita ultraterrena meno umbratile, come testimonia il gesto di Giuda Maccabeovita che raccoglie offerte in suffragio dei defunti, «compiendo un’azione molto buona e nobile, suggerita dal pensiero della risurrezione. Perché, se non avesse avuto ferma fiducia che i caduti sarebbero risuscitati, sarebbe stato superfluo e vano pregare per i morti» (2Mac 12,43-44).
Con Gesù cambia tutto.
La buona notizia, il Vangelo, è che, con la sua risurrezione, la morte è vinta, e non è più la fine, ma il passaggio alla vita piena e definitiva, come era da sempre nel progetto di Dio. Questo messaggio, difficilissimo da accettare, si pensi al coraggioso tentativo di Paolo ad Atene (At 17,16-34), è «la cifra» del cristianesimo, rispetto a tutte le altre religioni.

speranzaOggi, qual è la risposta? Nei paesi cristianizzati, l’Illuminismo, scelse come bandiera il rifiuto di Dio e la negazione della vita ultraterrena, considerandola una favola. Questa idea si è diffusa tra la gente, persino tra i cattolici praticanti. Cosa gravissima, perché, come dice Paolo: «Se noi abbiamo speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini» (1Cor 15,17-19).
Coloro che hanno a cuore la fede in Cristo devono impegnarsi in un annuncio e una catechesi seri, intelligenti ed efficaci, senza scoraggiarsi per il muro di fronte al quale si troveranno.
Questo muro, in realtà, è fragile: l’esigenza della vita, che non scompare con la morte, è il più profondo e incancellabile dei nostri desideri. Quando la vita eterna, infatti, da argomevita-dopo-la-mortento di discussione diventa esperienza concreta perché una persona amata ci lascia, la sicumera e la supponenza scompaiono.
Così, anche i sapientoni e gli scettici portano fiori, ceri, lettere, cartelli con la scritta, «Sei sempre con noi», davanti alla tomba.
Ma che senso avrebbe se della persona amata non ci fosse più niente e se chi ci ha lasciato non potesse condividere il nostro sentimento? Soltanto la risposta di Gesù dà un senso a questi interrogativi.

Questo e molti altri suggerimenti per la catechesi dei ragazzi sul numero di Aprile dell’inserto Ragazzi & D’intorni dossier mensile di Catechisti Parrocchiali.

Per info, abbonamenti e novità:

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CATECHISTI PARROCCHIALI – Ottobre 2012 – IN STILE MISSIONARIO

L’ANCORA DELLA SPERANZA

di Fabrizio Carletti

«Noi, che abbiamo cercato rifugio in lui (in Gesù), abbiamo un forte incoraggiamento ad afferrarci saldamente alla speranza che ci è proposta. In essa, infatti, abbiamo come un’ancora sicura e salda per la nostra vita» (Eb 6,18-19).

L’ancora è vista nel cristianesimo antico come simbolo della seconda virtù teologale: la speranza cristiana.
Essa, del resto, per le antiche imbarcazioni era un elemento indispensabile per la salvezza.
Scriveva Sant’Ambrogio: «Come l’ancora gettata in mare protegge la nave dall’essere trascinata via e la tiene salda nella sua posizione, così la speranza tiene salda e rinforza la fede».
I testimoni della fede hanno trovato in Cristo la vera ancora di salvezza, su cui fondare la loro vita, le loro scelte, su cui hanno fondato la loro speranza.

La proposta di questo mese è realizzare un simbolo che racchiuda il significato dell’ancora e permetta con esso di realizzare piccoli riti di preghiera in famiglia.
Ci divertiremo a realizzare, con semplici materiali, un congegno con un’ancora che si cala dall’imbarcazione per giungere fino ai fondali marini.

Materiale: filo trasparente di nylon e ancorette da pesca da acquistare in un negozio di «caccia e pesca», una scatola di cartone, forbici, pennarelli colorati, colla stick e colla adesiva liquida, carta crespa blu, sassolini, conchiglie e quanto altro può essere usato per abbellire il fondale marino.

Al lavoro:
• Ritagliare una scatola di cartone (come quella per le scarpe), creando una base per l’appoggio di quello che sarà il nostro fondale marino e, sul lato verticale, ritagliare anche il profilo dell’imbarcazione.
• Colorare l’imbarcazione a piacimento con i pennarelli.
• Fissare, con la colla stick, la carta crespa sui bordi interni della scatola ritagliata.
• Applicare la colla liquida sulla base della scatola e fissarci sopra i fari e gli elementi di decorazione del fondale marino (sassolini, conchiglie, ramoscelli…).
• Fissare, ora, la nostra ancora. Per prima cosa annodare l’ancoretta al filo di nylon. Realizzare, poi, un foro sullo scafo dell’imbarcazione dove far passare il filo che, una volta tirato e fissato alla barca (si può realizzare un piccolo taglio come in disegno 3 per fermarvi il filo), sorreggerà la nostra ancora all’imbarcazione.

Dopo aver realizzato questa particolare ancora, potete suggerire ai ragazzi la seguente preghiera da recitare insieme con la famiglia o in gruppo:

Signore,
chi ha seguito il tuo esempio,

chi si è fidato e ha fatto la tua volontà,
è per noi
un testimone del grande amore.
La sua vita, anche attraverso le fatiche quotidiane,
i momenti difficili, le sofferenze, ci mostra che,
restare ancorati alla tua Parola di vita,
ci dà quella gioia vera che nessun altro può darci.
Aiutaci ad essere una famiglia che,
di fronte alle tempeste della vita,
resti unita
e salda nel tuo amore,
sorgente di altro amore

per noi e per i nostri cari.
Amen.

Questi e molti altri suggerimenti per la catechesi dei ragazzi nel numero di Ottobre di Catechisti Parrocchiali, dove è anche possibile vedere le foto dei vari passaggi per realizzaze l’ancora.

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Buona domenica! – XIII del T.O. – Anno B

«Non temere, soltanto abbi fede!»

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 5, 21-43)
  XIII Domenica del Tempo Ordinario – Anno B

La figlia di Giairo ha dodici anni.  Da dodici anni l’emorroissa soffre di perdite di sangue.  Dodici è il numero che richiama Israele, la sposa, le dodici tribù che la compongono. Marco ci dice che Israele si è spenta, esangue, senza vita, abbandonata dai suoi pastori che pascono se stessi, e che Dio, in Cristo, le ridona vita. Dodici è il numero della totalità, come i mesi dell’anno. Marco oggi ci parla di due situazioni in cui descrive il massimo del dolore, la totalità della disperazione, l’apoteosi della tragedia, quando la barca viene travolta dalla tempesta.
La donna emorroissa non solo è ammalata e ha girato senza risultato da tutti i più famosi medici del paese senza risultato: la sua condizione la rende impura, non può toccare nessuno senza renderlo impuro. Non ha vita affettiva, né rapporti sessuali, forse non ha famiglia né amicizie: la sua condizione la rende sola. Giairo è disperato: esiste un dolore più devastante della morte di un figlio?
La donna si avvicina timidamente, non vuol farsi notare.  Non osa chiedere nulla al Maestro, come potrebbe?  Tanti anni di solitudine l’hanno infine convinta di essere sbagliata, di essere peccatrice, impura. Le è proibito di toccare: trasmetterebbe la sua impurità. Decide di osare, di trasgredire la legge: lo tocca.  Per incontrare Dio, a volte, bisogna superare gli schemi religiosi, bisogna trasgredire le regole. Lo sfiora appena, accarezza il mantello, certamente non se ne accorgerà.

POTENZA
Chi mi ha toccato? La donna sbianca, gli apostoli si fermano nel tentativo di tenere a distanza la folla.
Non vedi Rabbì? Tutti ti toccano!  Ha ragione Gesù: in mille gli si sono fatti vicini, ma una sola lo ha toccato. Ha toccato il cuore di questo Cristo di Dio, gli ha rubato la forza ed è guarita. La malattia non è forse lo squilibrio della nostra armonia interiore? Il Signore si lascia derubare, la sua forza dona guarigione e salvezza a questa donna che si ritiene inadatta, incapace, condannata. Gesù ci guarisce nel profondo, ci salva da ogni disarmonia.
Continua il suo cammino Gesù, gli apostoli lo guardano straniti. Gesù guarda la donna con un lungo sguardo, come lo sguardo di Gesù che sceglie i discepoli. Gli altri, la folla, gli apostoli stessi non sanno. Lui, il Rabbì, e la donna sì, sanno bene cosa è successo. La spinge ad uscire dal suo nascondimento, la mostra agli altri. La sua guarigione è pubblica, la sua purificazione compiuta, nessuno ora deve tenerla lontana.
Come Israele, guarita nel profondo. Come noi. Il discepolo è guarito dalla dissipazione interiore, in questo mondo che divora ogni energia, che ruba il tempo e il senso della vita, che ci spinge alla solitudine in mezzo alla folla.

IPOCRISIE
La gente esce fuori dalla casa di Giairo urlando: la ragazza è morta. Gesù insiste, entra, dice che dorme. E viene deriso. Come? Viene deriso? Che gente è che prima urla e un secondo dopo deride? Che dolore finto è il loro se si prendono la briga di denigrare l’affermazione del Nazareno? Che cattivo gusto hanno queste persone che passano dalla disperazione alla burla? Ipocriti, finti, fasulli. Dolore di facciata, malvagità a malapena repressa, bieca esteriorità.
Gesù invece sa. Lui che piangerà davanti all’amico Lazzaro conosce, partecipa, si lascia coinvolgere. Darà la vita per Lazzaro, per noi, per me. Il nostro Dio non è indifferente, non finge di soffrire.

CONTINUA AD AVERE FEDE
Qualche giorno fa Gesù diceva agli apostoli impauriti: Non avete ancora fede? e, oggi, all’emorroissa Gesù dice: Va, la tua fede ti ha salvato e a Giairo: Abbi fede. Questa è la differenza sostanziale tra gli apostoli che pure toccano Gesù senza risultati e la donna ammalata, questo il solco che si crea tra Giairo e i suoi parenti che addirittura deridono il buonumore a parer loro farneticante di Gesù: la fede. La fede placa le tempeste interiori, la fede ci guarisce dalle ferite interiori, la fede ci risuscita. Questa è la riflessione di Marco.
E la nostra, spero.

SORELLA MORTE
L’atteggiamento del cristiano di fronte alla morte è la fede. La morte è e resta il più inquietane interrogativo del destino dell’uomo e, anche sulla possibilità della reale bontà di Dio. Se Dio è buono, perché la morte? Gesù è venuto a darci una buona notizia anche sulla morte. Come ci svela la splendida pagina della Sapienza, il nostro è un Dio amante della vita. Noi crediamo di essere stati creati immortali, e di essere nelle mani di Dio. Questa vita che viviamo, la viviamo proiettata nel futuro come una pienezza. Il dolore del distacco, della morte, ci viene presentato da San Paolo come le necessarie doglie di un parto che danno alla luce una nuova creatura. Questo Dio tenerissimo che solleva la figlia di Giairo è colui che ha per noi un destino di vita e di Risurrezione. Basta? Non lo so, davvero. Ai tanti Giairo cui muore la figlia non so se basta. Elemosiniamo certezza e salvezza, la fede è solo una flebile fiamma per attraversare il mare in tempesta. Mi fido, amici, mi fido con tutta la mia disperazione, e ai fratelli che leggono queste parole addito il Figlio di Dio che ci solleva dalla tenebra.
Infine consideriamo le tante morti interiori da cui dobbiamo risorgere: la fanciulla, segno di autenticità, di purezza, spesso giace immobile nella nostra vita; troppe le delusioni, le stanchezze, per essere ancora ottimisti. Da quale morte interiore dobbiamo risorgere? Abbiamo fede, solo questo il Signore Gesù ci chiede per una nuova vita in Lui. Il Rabbì oggi ci dice: Talità kum!

(PAOLO CURTAZ)


Buona domenica! – XI del T.O. – Anno B

«Sapranno tutti gli alberi della foresta
che io sono il Signore,
che faccio… germogliare l’albero secco.
Io, il Signore, ho parlato e lo farò»

Cfr. libro del Profeta Ezechiele (Ez 17, 22-24)
  XI Domenica del Tempo Ordinario – Anno B

Riprendiamo il tempo ordinario, dopo la lunghissima parentesi che dalla Quaresima ci ha portato, nel Signore risorto, grazie allo Spirito, a meditare sul dono dell’Eucaristia. E lo facciamo in compagnia di Marco, il primo evangelista, discepolo di Pietro. È lui, oggi, a darci un sferzata di speranza, di fiducia, in questi tempi oscuri che ci spaventano.
La terra continua a tremare e ci spaventa la nostra fragilità. Ma altri terremoti stanno travolgendo l’Europa, vittima di se stessa, degli egoismi nazionali, di un’unione mai conclusa che ci sta portando al fallimento. E, per noi credenti, infastidiscono le piccole scosse (piccole e piccine, mediocri, risibili) di chi, fra i palazzi vaticani, pensa di fare la volontà di Dio e il bene della Chiesa spargendo veleni in nome dell’alto ideale della verità. Da come la vedo io non dovrebbero esserci dei palazzi ma poiché la storia va rispettata e amata, che siano le colombe a volteggiare fra le stanze d’Oltretevere, non i corvi. La sfiducia nasce nella quotidianità di chi, discepolo, vede la propria parrocchia faticare, il proprio parroco sfinirsi, le comunità indebolirsi. Stiamo dando un’immagine fragile di Chiesa, agli occhi del mondo. E allora? Dio abita le nostre debolezze, dinamica ben rappresentata da un fragile papa incanutito che, pure, fa vibrare il cuore di un milione di fedeli con le sue miti parole sulla fede.
È il momento giusto per riflettere su cos’è la Chiesa. Meglio: su “chi” è la Chiesa.

ESILIO
Ioiachim, l’ultimo discendente del re Davide, è stato sconfitto e deportato in Babilonia dal feroce re Nabucodonosor. Tutto è perduto: la città santa distrutta, il tempio bruciato e l’Arca trafugata come bottino di guerra. Il terremoto della guerra non offre speranze, il rigoglioso cedro della dinastia davidica è stato impietosamente tagliato alla radice.
Eppure, dice uno dei deportati, un sacerdote del tempio, Ezechiele, Dio prenderà un germoglio dall’albero reciso e lo pianterà, facendolo ricrescere. Ma, lo sappiamo, non sarà più un regno terreno quello che crescerà, ma un’altra realtà, un Regno che passa attraverso i cuori. E colui che verrà, il germoglio di Iesse, è per noi il Cristo. Dio non si stanca dell’umanità, non si scoraggia, non si lascia atterrire dai nostri errori, ma, sempre, ci conduce alla pienezza in modi che non ci aspettiamo.

FATICA
Abbiamo conosciuto il Signore che ci ha cambiato la vita, illuminandola. Sentiamo forte il desiderio di condividere la felicità che abbiamo trovato e che altri ci hanno consegnato e ci siamo resi disponibili ad annunciare il Regno, là dove viviamo. Ma quanta fatica incontriamo! Come catechisti, evangelizzatori, animatori di coppie, collaboratori della liturgia… ci rendiamo conto di quanto lavoro occorre fare e quanta poca forza abbiamo. A volte ci prende l’ansia da prestazione e corriamo come dei matti, salvo poi svuotarci interiormente.
Gesù, oggi, ci rassicura: dobbiamo gettare il seme della Parola in terra, abbondantemente. Non sui marmi delle nostre chiese svuotate, ma sull’asfalto del nostro quartiere di periferia. Uscire e gettare il seme, senza preoccuparsi. Parlare di Dio, bene, con verità, con coerenza. Poi, ci penserà il seme, progressivamente, a crescere. Siamo sempre molto concentrati sul discepolato, su cosa fare per diventare testimoni. Ottimo, bene. Ma subito dopo occorre ricordarci che è Dio che opera. Il mondo è già salvo, solo che non lo sa. Noi possiamo vivere da salvati, al meglio delle nostre possibilità. Il seme cresce da sé.
Gesù ci invita alla pazienza, a lasciar perdere l’ansia, la fobia di tenere tutto sotto controllo, il volere programmare e capire tutto nella nostra vita spirituale. La vita ci porta a pensare che le cose dipendono da noi, dalla nostra buona volontà: ci tocca programmare tutto, anche il riposo! E il rischio di applicare questa categoria alle cose dello Spirito è quanto mai presente. Entusiasti, ci siamo avviati sulle strade del Vangelo e vi abbiamo intuito la verità, coinvolti emotivamente in un’esperienza, in una comunità, in un percorso di preghiera. Poi, dopo qualche tempo, ecco sopraggiungere le difficoltà: fatica a pregare, aridità, inquietudine… E sorge il dubbio; starò sbagliando? Cosa posso fare? Nulla, lasciati fare: se il seme è piantato, stai tranquillo, lascia fare al Signore. La vita interiore richiede tempo e ritmo che non possiamo pretendere di manipolare e nella fede la priorità è sempre di Dio.

SENAPE
La seconda parabola ci ricorda la stupefacente proprietà del seme di senapa, piccolo al punto da rassomigliare alla polvere, e che pure diventa un grande arbusto. La realtà del Regno è così, sia in noi che intorno a noi.
In noi: un piccolo gesto, un piccolo impegno, una piccola apertura nei confronti del Signore può spalancare la diga della fede che tutto irriga e feconda. Anche se la nostra vita è colma di distrazioni, il seme può crescere, nella mia vita e intorno a me, con piccoli gesti di testimonianza, talora insignificanti, che producono risultati sorprendenti. E il Regno intorno a noi è così: questa piccola comunità di uomini e donne che è la Chiesa ha solcato l’oceano della storia fecondando il mondo della speranza del Vangelo. Allo sguardo della fede non sfugge il fatto che milioni di uomini e donne si riconoscono fratelli e figli e cambiano la storia indirizzandola su sentieri di luce: non temiamo, dunque, perché la nostra comunità, i nostri gesti, la nostra celebrazione feconda la realtà, la insemina, lasciando che sia il Signore a far crescere il suo Regno in mezzo a noi.
Per capire questa dinamica sotterranea ci serve il silenzio e la meditazione, solo ritirandoci in disparte con Gesù possiamo veramente capire come Dio opera nella nostra quotidianità.

(PAOLO CURTAZ)


Tra note e realtà – La vita vale

Cosa succede che succede in giro,
chi vede bianco chi vede nero,
chi resta in casa chi se ne va in strada
che cosa conta che cosa è vero?
Il succo d’ananas è insanguinato
Ed il caffè ha un gusto assai salato…
Un brevetto di una medicina
Vale più di una bambina…
…il commercio è uno strumento di libertà,
ma nel rispetto dei diritti e della libertà
e allora forza venite gente
che le speranze non si sono spente!
Noi dobbiamo convincerli che la vita vale
Una vita soltanto, più di una multinazionale.
Noi dobbiamo convincerli che la strada buona
È il rispetto totale dei diritti di una persona.
(Jovanotti – La vita vale) 

Forza! Venite gente!
E Jovanotti mi fa pensare… a cosa? Alle strade, alle piazze, ai cortei, ai balconi… a tutti quei luoghi in cui le speranze non si sono ancora spente!
Le ricordate ancora le care vecchie bandiere che davano colore ai cortei? Sì, proprie quelle che ieri sventolavano la parola PACE e oggi sono state sotituite dai sassi, petardi, lacrimogeni… chissà se chi ieri criticava quelle bandiere oggi festeggia trionfante la loro eclissi...
Ma anche senza le bandiere, io continuo a pensare alla pace! A quelle che manca nel mondo, ma ancor con più forza, a quella che manca in noi. Il mondo continua a essere in guerra, ma noi ormai ne siamo assuefatti. Il mondo sociale non è più diviso tra chi vuole la pace e chi la giustifica a forza di guerra. Quello che qualche anno fa stava dividendo il mondo e, diciamolo fuori da ogni diplomazia, e divideva anche le nostre case, oggi non siamo più in grado di vederlo. Ed è proprio come canta Jovanotti: «C’è chi vede bianco e chi nero, chi resta a casa e chi esce in strada»ma perché?
Che senso ha tutto questo se…
…se per le strade si uccide, nelle stazioni si pesta la gente a morte, sui muri continuano ad apparire le solite scritte: «a morte i…; …tutti i bastardi…» e il credere nell’intelligenza di ciascuno di voi mi spinge a preferire il punto ad altre assurdità!!!
Ironia della sorte! A quali autori non accreditati dobbiamo tutto questo?
Ai soliti ignoti, che dall’alto delle loro coscienze si fregiano d’essere paladini di non si sa quale pace e continuano a seminare terrore.
Eppure la pace ha un’unica radice: il rispetto per la vita sempre e comunque. Non solo la vita di chi ci vive lontano migliaia di chilometri, ma anche quella di chi condivide con noi lo stesso autobus o vagone del metrò; di chi ha la gioia di contemplare un monumento, possibilmente sprovvisto di ricordi firmati la scorsa notte; di chi preferisce fare una passeggiata, senza dover pensare troppo a evitare luoghi isolati o incontri che ti lasciano il segno per tutta la vita.
Da dove nasce la pace? Qual è la sua culla?
Il cuore stesso dell’uomo!
Forse per questo fin dalla notte del mondo la pace è stato un dono fatto a uomini amati, che pur tra mille povertà, sanno riconoscere il volto dell’amore; è stato fatto a chi non si è accontentato di proclamare, ma ha scelto e lottato per realizzare la pace, per renderla non un sogno, ma una possibilità per tutti a qualsiasi latitudine.
E’ urgente togliersi i comodi occhiali del “sarà tutto inutile”!
E’ necessario guardare gli interessi veri che spingono le nazioni a spendere milioni di euro o di dollari in imprese che a volte, di umanitario, hanno solo il nome.
Nazioni, i cui mercati continuano a scendere e il cui debito pubblico è ormai al collasso, hanno veramente a cuore solo il bene di tutti? Prestiti reticenti che hanno più il sapore della forca che non del dono, accordi petroliferi e ricchi giacimenti sotterranei che continuano a fare la differenza tra i diritti da difendere di alcuni paesi e quelli che possono essere violati in altri ben più poveri e dimenticati!
E intanto le guerre continuano a difendere i diritti umani… e noi sappiamo solo immaginare armi intelligenti o ignoranti, che uccidono!
La morte però non è mai un diritto riconosciuto, ma sempre e solo un bene violato… sia che tu veda bianco o che tu veda nero.

di suor Mariangela fsp

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GP2 GenerAzioni – Siate fiaccole!