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Catechisti Online_Campo per Giovani Catechisti under 30!

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dal 25 al 30 Agosto 2014 a Mormanno – CS

Paoline Centro Catechistico e l’Ufficio Catechistico Regione Calabria

con il sostegno dell’Ufficio Catechistico Nazionale

invitano a

Catechisti Online!

Campo per giovani catechisti  fino ai 30 anni

per diventare Comunicatori Efficaci della Parola

Catechisti on line

Vieni! Ti aspettiamo!

Quando? —>Dal 25 agosto (inizio alle ore 17:00) al 30 agosto (conclusione col pranzo)

Dove? —> A Mormanno, Diocesi di Cassano Ionico (CS) presso il Seminario estivo.

Prenotazioni —> PROROGATE entro il 10 agosto 2014

CONTATTA   —> sr Mariangela Tassielli, fsp – m.tassielli@paoline.it – 3408404419

Porta con te   —> Bibbia, quaderno, lenzuola, asciugamani, strumento che sai suonare e, se lo avessi, un pc portatile.

Quota di partecipazione —> 80 euro

Brochure —> DepliantFRONTE – DepliantRETRO

DepliantRETRO

Signore cosa vuoi che io faccia?_Esercizi Vocazionali

news

dal 9 al 15 Luglio 2014 a Roccamonfina – CE

Signore cosa vuoi che io faccia?

Esercizi Vocazionali

a cura del Centro Regionale Vocazioni Campania

Esercizi 2014

L’invito è per tutti i Giovani Campani fino a 30 anni, disposti a mettersi in ascolto di Dio alla ricerca della propria vocazione !

L’esperienza è guidata da un’equipe che vuole esprimere la varietà dei carismi nella chiesa: Don Emilio Salvatore (Sacerdote diocesano), Suor Mariangela Tassielli (Figlie Di San Paolo), Fra Francesco Piccolo (Frati Minori).

Disponiamo dunque il nostro cuore ad essere “terreno buono” per ascoltare, accogliere e vivere la Parola e portare così frutto.
Quanto più sapremo unirci a Gesù
con la preghiera, la Sacra Scrittura, l’Eucaristia, i Sacramenti celebrati e vissuti nella Chiesa, con la fraternità vissuta,
tanto più crescerà in noi la gioia di
collaborare con Dio
al servizio del Regno di misericordia
 di verità, di giustizia e di pace.
E il raccolto sarà
abbondante, proporzionato alla grazia che con docilità
avremo saputo accogliere in noi.

Papa Francesco

Vieni! Ti aspettiamo!   

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Testimoni ieri e oggi_ Per una reale etica dell’incontro e della comunicazione

Per una reale etica dell’incontro

e della comunicazione

di Maria Grazia Meloni 

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L’uomo in tutto il suo essere è anzitutto un comunicatore. Ha necessità di comunicare e comunicarsi. Perché è attraverso questo atto che ognuno di noi esprime se stesso, cioè quello che è racchiuso nel profondo del proprio essere e di conseguenza è possibile esprimere ciò in cui si crede. Ed è proprio in questa esigenza che è pensabile aprirsi all’incontro con l’altro, imparando così a conoscere le persone che incrociano il nostro cammino e con cui siamo chiamati a Giornalisti-e-sciacallicondividere aspetti della nostra esistenza. L’importanza e la consapevolezza di tale forma di comunicazione riposa nell’attenzione all’accoglienza della “diversità” altrui che, appunto, rivela la ricchezza della nostra umanità, perché è nella scoperta dell’altro che incontriamo pure l’autenticità del nostro stesso essere. Naturalmente, una tale comunicazione richiede impegno, correttezza, umiltà tanto da comprendere pienamente l’importanza e la necessità che abbiamo di imparare gli uni dagli altri. O almeno così dovrebbe essere. Ed infatti, questa comunicabilità esige la capacità di saper dialogare nel rispetto reciproco, perché tale impegno evidenzia ciò che abbiamo nel nostro cuore e ci permette quindi di comunicare agli altri le “verità” racchiuse in noi.

Ciò detto, e nella cognizione di tale consapevolezza, nella vita di tutti i giorni ci disponiamo a comunicare noi stessi agli altri anche attraverso i molti e moderni mezzi della comunicazione sociale, mezzi con cui tutti noi dobbiamo confrontarci senza esaltarli o demonizzarli, ma utilizzandoli come elementi di espressione. Sapendo che questa nostra epoca cosiddetta “multimediale”, nella quale siamo chiamati a vivere e in cui mettiamo in pratica questa comunicabilità sociale che si interseca in tutti ciò che siamo e facciamo, ci include in ungiornalisti (1) meccanismo incessante e sempre più amplificato. Un movimento inteso come un vero e proprio dinamismo capace di favorire, come non era mai accaduto in passato, una comunicazione trasversale che coinvolge strati vitali anche molto lontani fra loro.

Dunque, ognuno di noi vive questa comunicazione, a volte anche nostro malgrado e subendone i limiti, per cui è possibile che tali confini vengano a circoscrivere quella che dovrebbe essere la supposta “etica dell’incontro” e quindi l’”etica della comunicazione”. In tal senso, è lecito domandarsi se oggi, nella nostra comunicazione, esiste ancora un’etica? E addirittura, ha ancora senso parlare di etica? E soprattutto, è valido parlare di un’etica dell’incontro?

In questa brevissima riflessione introduttiva a tale tematica, possiamo sostenere il messaggio proposto dalla Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 2014, che ha per titolo “Comunicazione al servizio di un’autentica cultura dell’incontro”. È possibile incontrarsi e comunicarsi autenticamente ed eticamente? Ed inoltre, colui che è il comunicatore per eccellenza, il giornalista, è capace di parlare al suo lettore attraverso una comunicazione libera? Il giornalista è colui il quale dovrebbe svolgere il suo lavoro comunicando il suo pensiero, che dovrebbe essere obiettivo e rispettoso della verità e dei fatti, in quanto spinto dalla sua coscienza morale di professionista. Infatti, quando parla, oltre alla mera informazione, compie una vera e propria formazione alla consapevolezza di ciò che viene espresso. Ma è davvero così? Esiste una comunicazione così sinceramente onesta Conferenza stampa del M5Se libera da pregiudizi? Esiste un giornalismo che è ancora un esempio di comunicazione? Noi sappiamo che esiste un’etica deontologica dell’informazione che indica il corretto comportamento di un buon giornalista. Questi dovrebbe essere libero da giudizi morali; politicamente obiettivo; capace di rilevare il pluralismo delle diverse opinioni in un dato argomento di discussione; rispettoso della vita e della storia delle persone coinvolte in una data notizia, cioè senza trasformarle in “mostri” ancor prima del giudizio legislativo; attento a non discriminare razza, sesso, religione o visione politica. Ma è davvero così? Oppure oggi il giornalismo è spettacolo? E questo cosa comporta per la nostra comunicazione? Che esempio ci dà? Possiamo parlarne in termini di “lassismo etico”? E questo lassismo può essere una delle cause della mistificazione della verità nella nostra comunicazione?

Sarebbe bello che tu scrivessi cosa ne pensi. E ci raccontassi di esempi di giornalismo etico, se ne conosci. Ma anche di storie di amici o familiari, storie di vita e di comunicazione etica!

ALTRI TESTIMONI DI FEDE SULLA PAGINA —> TESTIMONI IERI E OGGI 

IL RAPPORTO CON LE FAMIGLIE. Qualcosa è cambiato? – CATECHISTI PARROCCHIALI – Maggio 2014

Copertina_Maggio

IL RAPPORTO CON LE FAMIGLIE. Qualcosa è cambiato?

di Franca Feliziani Kannheiser

Siamo ormai al termine dell’anno catechistico e in procinto di fare un bilancio sul rapporto che abbiamo costruito con le famiglie dei bambini con i quali abbiamo condiviso il cammino di catechesi.
È bene chiedersi:
percorso• Rispetto all’inizio dell’anno, c’è una maggior cono scenza delle situazioni familiari dei nostri ragazzi?
• Abbiamo potuto incontrare personalmente alcuni genitori? In quali occasioni?
• È stato possibile realizzare incontri comunitari? Momenti di preghiera?
• Ho l’impressione che ci sia un rapporto più cordiale e collaborativo almeno con alcuni di loro?
• Come è cambiato il mio modo di pensare la famiglia? È aumentata la fiducia nelle risorse che essa può mettere in campo nell’educazione dei figli?
Forse a qualche catechista questa ultima domanda può sembrare fuori luogo, eppure una risposta affermativa ad essa è un importante indicatore che qualcosa nel rapporto «catechista – genitori» sta cambiando, perché uno degli elementi del sistema di comunicazione (catechista) sta modificando il suo atteggiamento e, in questo modo, mette in movimento gli altri elementi del sistema (genitori, bambino). È, infatti, una legge fondamentale della comunicazione che il cambiamento di uno dei protagonisti influisca su quello degli altri.

Avremmo raggiunto un obiettivo veramente importante se insieme, catechisti e genitori, cominciassimo a percepirci come alleati nello stesso compito educativo, coinvolti nella stessa passione per il bene del bambino, nel rispetto dei diversi ruoli.
L’alleanza richiede diverse condizioni come, ad esempio, la condivisione degli obiettivi, un atteggiamento di rispetto nei confronti del lavoro, l’uno dell’altro, la possibilità di scambiarsi impressioni e idee e il fare esperienze insieme.accoglienza
In questo contesto è tempo anche di verificare quanti e quali incontri con la presenza dei genitori è stato possibile realizzare, qual è stata la frequenza e la qualità della partecipazione delle famiglie.
Anche se i risultati ci sembrano inferiori alle aspettative, dobbiamo saper vedere, però, anche i piccoli segnali di cambiamento e rallegrarcene: anche una sola coppia di genitori in più è da festeggiare! In caso di risultati deludenti diventa naturale pensare: «I genitori non sono interessati, né preparati; tempo perso cercare di coinvolgerli».
È un pensiero comprensibile che, però, non possiamo permetterci: la comunità parrocchia le non può fare a meno del coinvolgimento delle famiglie. Si tratta, allora, di valutare attentamente i dettagli di ogni incontro: come sono stati fatti gli inviti, la scelta di orari, temi, relatori… ed essere pronti a pensare nuove strade.

Ciò che distingue in modo sensibile i percorsi di catechesi da altri percorsi educativi scolastici ed extrascolastici è il riferimento costante a una realtà trascendente, più precisamente a quel Dio che Gesù ci ha insegnato a chiamare Padre e che è fonte di ogni paternità famigliae maternità umane. Come sottolinea decisamente il Documento Base, diventare cristiani significa incontrare una persona: Gesù Cristo e, attraverso lui, il Dio relazione, amore, Trinità.
Questo orizzonte di significato determina la funzione e della famiglia e della comunità parrocchiale, coinvolte nel cammino di fede dei bambini: è una funzione di accompagnamento e di affidamento in mani più forti e amorevoli delle proprie, è una funzione di testimonianza. Per svolgere questo compito genitori e catechisti devono trovare nutrimento nella pre ghiera, nel rapporto personale con Dio.

Molti genitori fanno fatica a percorrere la via della preghiera, e alcuni hanno perso (altri, forse, non hanno mai trovato) l’abitudine a pregare insieme. Per tutti il catechismo dei figli può trasformarsi in occasione per imparare a pregare sia personalmente sia comunitariamente.
Per questo motivo i momenti di preghiera, con bambini e famiglie, devono essere particolarmente curati dai catechisti, nella quantità e nella qualità.

Questi e molti altri suggerimenti, nel numero di Maggio 2014 di Catechisti Parrocchiali. 

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PORTATORE DI BUONE NOTIZIE – DOSSIER RAGAZZI & DINTORNI – Aprile 2014

Dossier_Aprile copertina

PORTATORE DI BUONE NOTIZIE

di Cecilia Salizzoni

Monsieur Lazhar«Afflitti», come i bambini di una scuola elementare del Quebec la cui maestra – Martine, una maestra amata – si è impiccata in classe durante la ricreazione.
Profondamente afflitti, come Simon e Alice che l’hanno trovata e sono bloccati nel dolore dalla violenza di un gesto che scarica su loro la disperazione dell’adulto e li colpevolizza. In particolare colpevolizza Simon («Sapeva che portavo io il latte su, il giovedì. Sapeva che l’avrei vista così!»); Simon, che aveva reagito a un gesto di affetto della maestra, denunciandolo come molestia, ora si rode dentro.
Afflitti, perché Simon e Alice erano amici, e ora sono divisi, in quanto anche Alice è convinta che sia colpa di Simon. Sembra non esserci nessuno fra gli adulti in grado di aiutarli a uscire dal blocco gelato della sofferenza.
Sembrerebbe anzi che lo sforzo principale di genitori e insegnanti sia quello di non entrare in contatto con i bambini – fisicamente, psicologicamente, educativamente – e di non permettere a nessuno questo contatto. Per rispettarne la libertà, in teoria; per non fare loro violenza, per evitare ambiguità e sospetti. In realtà lasciandoli soli di fronte a ciò che essi non sono in grado di gestire.

Inizia così Monsieur Lazhar, il film del canadese Philippe Falardeau, tratto dall’opera teatrale di Evelyne de la Chenelière, che racconta l’arrivo in classe di Bachir Lazhar, esule algerino in attesclassea di asilo politico, ingaggiato come supplente da una preside desiderosa di lasciarsi alle spalle la tragedia al più presto e senza spese aggiuntive. Tutto ciò che la scuola può permettersi è ridipingere le pareti della classe e spedire ogni tanto la psicologa a parlare con i ragazzini. Come se questo potesse cancellare il persistere della memoria e l’orrore che l’accompagna…
Può sembrare un film inadatto ai ragazzi, rivolto esclusivamente agli adulti che mette sotto accusa. In vece il modo in cui Bachir entra in questo dolore e lo accompagna, e il modo in cui il regista racconta il percorso di guarigione, permette anche ai ragazzi, non solo di seguirlo, ma di trarne beneficio.

Bachir vuol dire «portatore di buone notizie», lo dice presentandosi agli allievi il nuovo assunto. La buona notizia che porta, passa per le parole di quella lingua che lui, francofono, ama profondamente: le parole che permetteranno infine a Simon, ad Alice e ai compagni di classe di formulare il proprio dolore e di liberarsi.
foto-profesor-lazharMa, prima ancora, passa attraverso la presenza fisica di questo insegnante disponibile a stare a fianco di quel dolore, ad accoglierlo e a condividerlo, tutto il tempo che serve: lui, che pure è segnato da un lutto tragico e ingiusto (la guerra civile, in Algeria, gli ha ucciso moglie e figli, e il Canada ora non sembra disposto a riconoscerlo); lui, che pure ha bisogno di guarire.
Stare accanto, senza la pretesa di trovare un senso, o una ragione, o una giustificazione al gesto della maestra, mettendo la propria esperienza e maturità a servizio dei piccoli, perché possano ritrovare la strada interrotta e riprenderla con fiducia.
Perché, per utilizzare la metafora di cui si serve Bachir quando sarà costretto ad accommiatarsi dagli allievi (verrà fuori, infatti, che lui non è un insegnante), «la crisalide possa diventare farfalla e prendere il volo ad ali spiegate nel cielo azzurro e senza nuvole, ebbra di zucchero e di libertà».
Ciò che ai suoi figli non è stato concesso, lui lo permetterà ai giovani allievi. E anche il suo cuore «distrutto dalle fiamme e consumato dal lutto», in questa restituzione alla vita, ritrova vita. La sophie-monsieur-lazhardanza a cui si lascia andare inaspettatamente, e che libera per un attimo il suo corpo dalla rigidezza della postura, annuncia il ritorno alla vita; l’abbraccio finale, contro le regole della scuola, ad Alice che soffre per la sua partenza, lo suggella.

Un testo, che affronta con delicatezza e discrezione il tema del dolore e della morte, richiede anche al catechista un accompagnamento analogo a quello che Bachir Lazhar attua nei confronti dei suoi scolari, perché i ragazzi possano non solo sentire l’afflizione dei giovani protagonisti, ma affrontarla e superarla insieme con loro, cogliendo i momenti salienti che caratterizzano il passaggio dal blocco del dolore al movimento della vita.
Che cosa chiude Simon in un atteggiamento scontroso e irascibile? Quando e in che modo riesce a venire allprofesor-lazhara luce la ragione?
Che cosa prova Alice nei confronti di Martine e di Simon? Che cosa rimprovera loro? Di cosa soffre a livello personale?
Che cosa affliggeva la vita della maestra? In che modo ha risposto al dolore?
Che cosa affligge Bachir e come reagisce lui all’afflizione?
Che cosa gli permette di ridonare serenità ai suoi allievi?
Cosa c’entra con tale storia la favola della crisalide e della farfalla che chiude il racconto?
Quali scene e immagini, in particolare, suggeriscono nel film il superamento del dolore e la ripresa della vita?
Anche Bachir Lazhar è un taumaturgo, uno che risana; che cosa si potrebbe dire che abbia in comune con Gesù?
«Beati gli afflitti perché saranno consolati», è la buona notizia di Gesù. In che modo si compie questa promessa e per opera di chi: è un premio futuro, opera esclusiva di Dio, in un’altra vita successiva alla presente?
Oppure è operante già ora, e ciascuno di noi può collaborare a questa consolazione?

Questi e molti altri suggerimenti per la catechesi dei ragazzi nel numero di Aprile 2014 di Ragazzi e Dintorni. 

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IL PANE DELL’AMORE FRATERNO – CATECHISTI PARROCCHIALI – Aprile 2014

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IL PANE DELL’AMORE FRATERNO

di Fabrizio Carletti – Mirella Spedito

Il pane è un simbolo biblico molto importante. Già nel mondo ebraico era il padrone di casa a spezzarlo dopo una preghiera e a distribuirlo ai commensali. Lo stesso fa Gesù, dandopane spezzato però nell’Ultima Cena un nuovo significato.
Gesù, infatti, non distribuisce solo pane, ma dona se stesso. Lo spezzare il pane, anche nel pasto quotidiano, ha un doppio significato: è un gesto di condivisione e di unione.
«In virtù del pane condiviso la comunità a tavola diventa una: tutti mangiano dello stesso pane. La condivisione è un gesto di comunanza, di donazione, che rende partecipi della famiglia anche gli ospiti» (Benedetto XVI).
È mangiando dello stesso pane che diveniamo compagni=cumpanis. Questo legame è fondato su Gesù che «ha vinto il mondo e la sua permanente conflittualità, avendolo “pacificato con il sangue della sua croce” (Col 1,20)».
accoglienza
UN PORTAPANE PASQUALE
Per celebrare il valore della fraternità e dell’amicizia con Dio e fra noi, membri della comunità, attraverso il simbolo del pane, proponiamo la realizzazione di un semplice portapane domestico.
Questo simbolo da tenere nell’aula di catechesi, e nelle case di bambini e ragazzi, sarà strumento per richiamare il valore della comunione fraterna, fondata sull’amore di Dio che, in Gesù, si è donato e si dona per noi. Come ci esorta Papa Francesco in Evangelii gaudium: «Non lasciamoci rubare l’ideale dell’amore fraterno!»

fraternitàMateriale: un foglio di cartoncino A4, forbici den tellate (facoltative), matita, matite colorate, nastrino o cordoncino m 2, punteruolo per bucare il cartoncino negli angoli e far passare il nastrino o il cordoncino.

Al lavoro
1. Fotocopiate su cartoncino il disegno di Gesù Risorto;
2. colorate il disegno con le matite colorate;
3. rifinite, se volete, i bordi del cartoncino con le forbici dentellate;
4. ripiegate all’interno, per circa 4 cm, i bordi del cartoncino;
5. unite gli angoli all’altezza dei ripieghi;
6. forate con un punteruolo (o con altro che può servire al caso) a non meno di 1 cm dal bordo superiore;
7. fate passare attraverso i fori il nastrino o il cordoncino (dopo averlo diviso in 4 parti) e annodatelo, formando un fiocchetto.
Il cestino è pronto per contenere il pane.

Questi e molti altri suggerimenti, nel numero di Aprile 2014 di Catechisti Parrocchiali. 

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Testimoni ieri e oggi_ Padre Ettore Cunial: un uomo di Dio!

Padre Ettore Cunial

Un uomo di Dio

di Maria Grazia Meloni 

Il 24 Marzo la Chiesa celebra la memoria dei missionari cristiani uccisi nel mondo e in quel giorno ricorda il valore del loro sacrificio con la preghiera e il digiuno. Ognuno di noi è invitato a condividere questo forte momento di preghiera.martiri

Se ripercorriamo la storia del martirio, scopriamo uomini come il metropolita ortodosso di Kiev, Vladimir, dell’allora unione sovietica, che il 25 gennaio 1918 è stato il primo tra i vescovi russi ad essere fucilato dai rivoluzionari bolscevichi:

“Soffrire è duro, pesante, ma a motivo delle nostre sofferenze sovrabbonda anche la consolazione divina. E’ difficile varcare questo Rubicone, questo confine, e affidarsi totalmente a Dio. Ma quando questo accade, l’uomo è ricolmo di consolazione, non sente più le terribili sofferenze… Adesso è il momento del giudizio”.

Assieme alla memoria di questo grande uomo, dobbiamo ricordare i molti – ortodossi, cattolici latini e orientali, evangelici – che in Ex Unione Sovietica e in Europa Orientale, nella metà del novecento e oltre, hanno offerto la loro vita per il Vangelo, e con loro facciamo memoria anche di Nicu Steinhardt, un grande intellettuale romeno, morto martire dopo essersi convertito al cristianesimo nella Chiesa Ortodossa di Romania. Egli nel riferire le sue dolorose vicende vissute in prigione, esperienza che aveva condiviso con alcuni cattolici orientali e ecumenismoortodossi, nell’esporre lo straordinario evento del suo battesimo, avvenuto proprio in carcere, raccontava:

“I tre preti si consultano tra di loro e poi vengono a interrogarmi: cosa voglio essere, cattolico o ortodosso? Rispondo senza incertezze: ortodosso. Benissimo. Mi battezzerà il monaco. Ma i due preti greco cattolici assisteranno al mio battesimo e io dirò il credo davanti ai preti cattolici sia in omaggio alla loro fede, sia come testimonianza che intendiamo dare vita all’ecumenismo durante il pontificato di Giovanni XXIII. Tutti e tre mi chiedono di considerarmi battezzato in nome dell’ecumenismo e di promettere di lottare – se un giorno uscirò di prigione – per la causa dell’ecumenismo, sempre. Lo prometto con tutto il cuore”.

Queste straordinarie testimonianze ci ricordano il dramma del martirio in nome di Cristo che si è compiuto nel mondo e che ancora oggi si perpetua, anche se spesso noi cristiani non ne siamoPadre Ettore Cunial
completamente consapevoli. Per questo, assieme agli uomini di cui abbiamo fatto memoria, dobbiamo celebrare i molti martiri cristiani uccisi tra il XX e il XXI secolo, e tra loro in particolare desidero ricordare la figura di Padre Ettore Cunial, Giuseppino del Murialdo, morto martire l’8 ottobre 2001 a Durazzo, in Albania. Padre Ettore era un uomo straordinario nella sua umanità e nella sua normalità. Aveva una figura esile e bonaria. Di lui ho un ricordo vivissimo perché da adolescente ho avuto la gioia di averlo come parroco. Raccontava di lui, subito dopo l’uccisione, Padre Luigi Pierini, l’allora superiore generale dei Giuseppini:

“Padre Ettore era davvero un religioso esemplare, molto stimato da tutti noi. La sua tempra di uomo e di sacerdote l’ha dimostrata anche quando, a 68 anni d’età, ha accettato con entusiasmo di fondare una nostra seconda comunità in Albania. Uomo di dialogo. Lì aveva già creato (in soli sei mesi di permanenza) un vivace gruppo di studenti universitari – che comprendeva cattolici, ortodossi e musulmani – per la discussione e l’approfondimento dei temi sociali e spirituali che maggiormente interessano i giovani albanesi”.

Purtroppo però, proprio in questa straordinaria terra è stato ritrovato ucciso. Lì, in quella stessa terra che Padre Ettore amava tanto, e dove aveva fondato “Casa Nazareth”, nata indianaspecificamente per dare ospitalità e rifugio a ragazzi in difficoltà e, soprattutto, per dare loro un aiuto concreto a trovare lavoro, attraverso la formazione professionale. Ma la violenza guidata dall’ignoranza e dall’illusione di uscire indenni da un evento così luttuoso ha portato gli aggressori di Padre Ettore, due uomini, un quarantanovenne e un quindicenne, quest’ultimo figlio della signora delle pulizie che di tanto in tanto lavorava nella casa dei Giuseppini, a infierire su quest’uomo mite. Probabilmente per rubare i pochi spiccioli che portava con sé. Padre Ettore è stato ritrovato riverso in una pozza di sangue nel suo piccolo appartamento, poco più di una baracca, secondo il suo spirito di povertà, massacrato da tredici coltellate, per lo più date sul volto, quasi a voler deturpare proprio il suo viso così bonario e accogliente.

Padre Ettore era un uomo di Dio, era avvinto dallo Spirito di Dio. La sua figura sottile e benevola emanava luce e pace. Era un uomo buono. Ricordo con affetto questa sua figura cosìDSCF0109 gracile che si faceva avvolgere sempre dallo stesso cappotto, quasi a non volersi mostrare troppo. Perché lui era uno di quei preti che lavorava nel nascondimento. Un uomo di grande profondità. E pur essendo veramente colto, non era mai saccente, ma anzi accogliente, e si avvicinava a tutti con semplicità. Ricordo come fosse oggi, in una domenica come tante, una sua omelia, in qui egli ci spiegava con fermezza e delicatezza quanto difficile fosse il cammino verso la santità, e seppure questa è voluta per tutti da Dio, non si può raggiungere come se fosse un battito d’ali, se non con l’impegno di una vita spesa per il Signore. Ma di certo, quando ci “sussurrava” con decisione queste parole non poteva immaginare che sarebbe entrato, suo malgrado, fra coloro che hanno sacrificato la propria vita in nome del Vangelo. E come ha ricordato all’indomani del suo martirio il Cardinale Camillo Ruini in una veglia in sua memoria: “ Padre Ettore Cunial è un altro martire della nostra Chiesa”.

“ O Trinità Santissima,
Padre e Figlio e Spirito Santo,
vi prego di vivere in me in pieno respiro
prendendo possesso stabile e totale di tutto il mio essere: pensieri, progetti, relazioni, sentimenti,
esistenza fisica, spirituale, psichica e intrapsichica,
in modo che nulla si esprima attraverso di me se non in Voi:
la Paternità viva, creante, onnipotente ed amante,
la Figliolanza completa, perfetta, estesa e estensibile,
l’Amore eterno, santificante e consolante…
Che io realizzi Voi, viva di Voi,
chiami Voi in ogni cosa e vi trasmetta in ogni cosa.
Purificatemi da ogni mia colpa,
da tutto quello che non si rispecchia
o in qualche modo non ci è gradito.
E, se nella vostra bontà
volete coinvolgermi nel dono vostro reciproco,
sia questa la ragione della mia vita.
Cambiatemi come ritenete più opportuno,
Vi chiedo perdono per i guai che Vi procuro
e Vi ringrazio tanto, tanto.
Amen”.

Padre Ettore Cunial
(parole ritrovate in mezzo ai suoi appunti)

Per saperne di più —> P.Ettore Cunial

ALTRI TESTIMONI DI FEDE SULLA PAGINA —> TESTIMONI IERI E OGGI

 

DUE MEDICINE ANTI-CRISI – DOSSIER RAGAZZI & DINTORNI – Aprile 2014

Dossier_Aprile copertina

DUE MEDICINE ANTI-CRISI

di Fausto Negri

tristeSecondo le statistiche realizzate nei Paesi occidentali, la malattia del secolo è la depressione. Le ricerche dicono che l’8,5% dei pazienti, che si rivolgono al medico di famiglia, soffre di depressione.
• In Europa la depressione colpisce il 14% della popolazione.
• In Italia ne soffrono il 17% e, ogni anno, si verificano 250 casi in più ogni 10 mila abitanti.
Significativo, a questo proposito, l’aumento dell’uso di farmaci antidepressivi nel nostro Paese: più di 30 milioni di confezioni all’anno.
• Degli adolescenti italiani soffre di depressione il 27,5% fra i 15 e i 17 anni, mentre a livello mondiale ne soffre il 13% della stessa fascia di età.
• Con l’attuale crisi economica i dati sono sempre più allarmanti. I disoccupati nel mondo hanno superato quota 200 milioni e tra questi i suicidi sono cresciuti del 37%, mentre il rischio povertà sta riguardando più di 15 milioni di italiani. Nell’ultimo anno la richiesta di aiuto alla Caritas e nei Servizi pubblici è aumentata del 15-20%. C’è chi protesta e si chiude in casa o, peggio ancora, c’è chi tenta di sanare i conti tramite il gioco o l’alcol.

E allora viene da chiedercitristezza: siamo tristi e senza speranza perché ci stiamo impoverendo, o siamo sempre più poveri perché non abbiamo più speranza?
• La speranza pare sia la grande malata del nostro tempo. Si è passati da una fiducia smisurata a una diffidenza altrettanto estrema nei confronti del futuro. Eppure senza «il principio speranza», che è il lievito della realtà, non c’è avvenire.
• L’essere umano vive di tante piccole speranze umane, ma ha bisogno di una speranza che vada oltre; solo la Speranza con la «S» maiuscola dà fondamento e orizzonte a tutte le altre. Questa grande Speranza può essere solo Dio. Ecco perché la speranza è sempre collegata alla fede, anzi spesso nella Bibbia i due termini sono intercambiabili.
• Se mette Dio a fondamento della vita, la persona trova la giusta collocazione nel mondo: dalla fede è esaltata la sua unicità e irripetibilità, la sua libera responsabilità di custode e coltivatore del creato, insieme però con la sua finitezza e limitatezza. Egli non è né frutto del caso, né «un dio».
gioia e tristezza• Papa Francesco, la domenica delle Palme, ha invitato a non essere mai uomini e donne tristi, a non lasciarsi prendere dallo scoraggiamento. La gioia cristiana, infatti, nasce non dal possedere tante cose, ma «dall’aver incontrato una Persona, Gesù, che è in mezzo a noi; con lui non siamo mai soli, anche nei momenti difficili; lui ci accompagna e ci carica sulle sue spalle: qui sta la nostra gioia, la speranza che dobbiamo portare in questo nostro mondo. E, per favore, non lasciatevi rubare la speranza, quella che ci dà Gesù».

Mentre il clima atmosferico della terra si va sempre più riscaldando, quello dei rapporti fra le persone si va paurosamente raffreddando.
• Il ritorno della cortesia, dell’ascolto, di un sorriso, di un consiglio sarebbe come un’esplosione di primavera. In questo tempo di solitudine e di arroganza si avverte la nostalgia di cose «buone». È significativo che in Italia si celebri il mese della gentilezza e la campagna Salva il saluto.
sperareQualcuno ha scritto che «la vera e provocatoria trasgressione sarebbe, oggi, il ricupero della normalità, del buon gusto, della misura».
• Madre Teresa raccomandava: «Fate che chiunque venga a voi se ne vada sentendosi meglio e più felice. Tutti devono vedere la bontà nel vostro viso, nei vostri occhi, nel vostro sorriso. La gioia traspare dagli occhi, si manifesta quando parliamo e camminiamo. Non può essere racchiusa dentro di noi. Trabocca. La gioia è molto contagiosa».

Questi e molti altri suggerimenti per la catechesi dei ragazzi nel numero di Aprile 2014 di Ragazzi e Dintorni. 

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ALLA MENSA DELLA COMUNIONE – Imparare a condividere – CATECHISTI PARROCCHIALI – Aprile 2014

Copertina_Aprile

ALLA MENSA DELLA COMUNIONE
Imparare a condividere

di Emilio Salvatore

L’icona biblica della Cena del Signore è un invito alla comunione, a partire dalle nostre mense familiari per comprendere il valore del sacramento della Comunione, che sperimentiamo alla mensa dell’altare. Vi è troppo poca attenzione al rituale familiare e, di conseguenza, a quello ecclesiale.cenare
Spetta agli educatori riscoprirlo e farlo riscoprire!

I ragazzi, spesso non conoscono la gioia del mangiare insieme. Abituati a pranzi veloci e ai fast-food, hanno perso il senso della solennità dello stare a tavola.
Il pasto condiviso, riuniti intorno a una tavola apparecchiata, è diventato solo l’immagine di una pubblicità di merende.    
Nell’antichità aveva un ruolo molto importante. In genere o si sceglievano gli amici con cui mangiare (i grandi simposi della tradizione greco-romana) o si diventava amici mangiando (le cene che sancivano la fine delle ostilità). A questa logica non si sottraeva il mondo giudaico, che vedeva nella cena un luogo esclusivo, cui potevano accedere solo persone degne. Continua a leggere ALLA MENSA DELLA COMUNIONE – Imparare a condividere – CATECHISTI PARROCCHIALI – Aprile 2014

OLTRE IL FILO SPINATO – DOSSIER RAGAZZI & DINTORNI – Marzo 2014

Dossier_Marzo 2014

OLTRE IL FILO SPINATO

di Cecilia Salizzoni

Tratto dal romanzo dell’irlandese John Boyne (2006), Il bambino con il pigiama a righe è un racconto di fantasia dal l’epilogo tragico, sul tema della shoah.

Bruno, 8 anni, figlio di un ufficiale dell’esercito tedesco, è costretto a trasferirsi con la famiglia da Berlino nei pressi di un campo di concentramento nazista, il cui comando è stato affidato al padre. Ma Bruno non ha idea di cosa sia un campo di concentramento e nessuno, in famiglia, ha voglia di spiegarglielo.
Così, nonostante i divieti dei genitori, un giorno va a vedere di persona che cos’è quella che, dalla sua stanza, gli appare come una strana fattoria dove tutti girano con in dosso un pigiama a righe. E lì, al di là del recinto di filo spinato che circonda la strana fattoria, conosce Shmuel, 8 anbambinini come lui, ma ebreo.
E fa amicizia. È un’amicizia difficile da riconoscere davanti ai familiari e ai nazisti fanatici, come il tenente Kotler, che girano per casa, mettendo paura a Bruno e affascinando la sorella maggiore, Gretel. È un’amicizia che lo mette alla prova e, se in un primo momento Bruno cede alla paura e tradisce l’amico, esponendolo all’ira violenta di Kotler, in seguito troverà il coraggio per ritornare e stargli accanto fino in fondo, passando al di là del re cinto e finendo insieme con lui nella camera a gas.

Il film, come il romanzo, è un apologo paradossale sulla cecità morale che ha consentito l’avvento e la crescita del Terzo Reich germanico. L’incapacità del bambino di comprendere il senso reale delle cose intorno a lui, il persistere in uno sguardo ingenuo, di normale umanità, con il suo terrificante epilogo smaschera nel modo più diretto e doloroso la cecità degli adulti, il loro non voler vedere le cose come realmente stanno. Mette a nudo la menzogna su cui si ergeva tutto il castello ideologico e permetteva l’infamia dello sterminio: «Quelli al di là del recinto non sono uomini».    Continua a leggere OLTRE IL FILO SPINATO – DOSSIER RAGAZZI & DINTORNI – Marzo 2014