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Buona domenica! – I di Quaresima (Anno B)

«Stava con le bestie selvatiche e
gli angeli lo servivano»

Dal Vangelo di Marco (Mc 1, 12-15)
I DOMENICA DI QUARESIMA – Anno B

Via le maschere, adesso! Quelle di Carnevale, certo, ma soprattutto quelle che indossiamo sempre. E’ iniziata la Quaresima, il tempo che ogni anno ci viene donato per tornare all’essenziale, per tornare a noi stessi, per fare in modo che l’anima ci raggiunga, per incontrare Dio. Lo desideriamo, certo, ma sappiamo bene quanto sia difficile conservare la fede, fare del Vangelo il metro di giudizio della nostra vita, restare in intimità con noi stessi. Questo tempo di essenzialità ci prepara alla grande festa della Pasqua e dobbiamo vegliare finché le tante iniziative proposte dalle parrocchie in queste settimane non ci giungano abitudinarie e fiacche. Non lasciamo la maschera che indossiamo per indossare la maschera del penitente pensando, così, di far piacere a Dio. Il problema non è mangiare il prosciutto di venerdì, o mettere da parte dei soldi per le missioni, né fare le facce da mortificati, ma vivificare la nostra fede. Come Gesù è entrato nel deserto per decidere come affrontare la sua missione, così anche noi entriamo del deserto per mettere a fuoco le scelte che vogliamo fare. Certo: leggendo il vangelo di Marco si resta piuttosto delusi: l’evangelista sintetizza le tentazioni di Gesù in due soli versetti, senza entrare nel dettaglio. Ma stiamo imparando a diffidare dell’apparente semplificazione di Marco. Le sfumature che contraddistinguono il suo racconto sono un universo da scoprire.

LO SPIRITO
È lo Spirito che spinge Gesù nel deserto per soddisfare il suo desiderio di verità, di preghiera, di silenzio. Lo abbiamo già incontrato, di notte, da solo, a pregare il Padre, il Maestro.  Ora lo ritroviamo per un lungo periodo a concentrarsi solo sul suo rapporto con Dio. Avessimo il coraggio anche noi di imparare il silenzio! Di scoprire una preghiera fatta di ascolto! Di osare, sospinti dallo Spirito, qualche giorno all’anno da dedicare allo spirito! Avessimo anche noi il coraggio di ridire al nostro cristianesimo tiepido che lo Spirito ci spinge! Che ci obbliga all’interiorità!
Per quaranta giorni Gesù resta nel deserto, tentato da satana. Non è una parentesi nella sua vita: i quaranta giorni, nel cammino dell’Esodo, indicando una generazione, cioè una vita.  Per tutta la vita Gesù ha voluto stare in contatto intimo con Dio, nel deserto del suo cuore.  Per tutta la vita Gesù ha combattuto contro colui che divide, contro l’avversario, il satana. Il termine usato da Marco, uno dei tanti a sua disposizione, non indica, in questo caso, la personificazione del male, ma lo spirito maligno, l’avversario, il divisore. La parte oscura della realtà che ci mette a dura prova, continuamente. Esiste il male e ci porta alla paralisi, come dicevamo domenica scorsa. Esiste ed agisce continuamente nelle nostre vite. Siamo liberi ed è impegnativo scegliere la parte luminosa della realtà, quella che proviene da Dio. Anche noi a volte abbiamo l’impressione di essere sempre in battaglia.  È consolante sapere che anche Gesù ha vissuto così. E ha vinto.

FIERE E ANGELI
Fiere e angeli lo servono. Che significa? Gli esegeti danno due spiegazioni, scegliete voi quella che vi convince di più. Forse Marco sostiene che Gesù sta creando una nuova realtà. L’uomo che vive in armonia con il creato, con le bestie feroci, richiama lo stato iniziale di Adamo. Come a dire: Gesù è il nuovo Adamo.  Ma, aggiungo io da birichino, come a dire che nel deserto il Maestro ritrova l’armonia primigenia, e anche noi. Cosa altro dobbiamo sentirci dire per riappropriarci del silenzio e della preghiera? Forse Marco si riferisce alle fiere della profezia di Daniele: lì indicavano le grandi potenze straniere dell’epoca, qui indica i poteri contro cui Gesù deve fare i conti (Roma, il sinedrio, i farisei…) ma, anche, i poteri che riconoscono la supremazia del Signore.
La nostra vita è come un tessuto: la trama siamo noi a disegnarla, ma deve essere necessariamente intrecciata con l’ordito. La sensazione che la nostra vita non vada da nessuna parte ci deriva, forse, dal fatto che ci illudiamo di intessere una stoffa senza un ordito a cui appoggiare le nostre trame. Gli angeli, in questo caso, indicano le tante presenze che Gesù, e noi, incontriamo nel nostro percorso di fede e che ci riportano verso Dio. Un amico, un prete, un evento, un libro possono diventare angeli che ci aiutano a superare le tentazioni.

GALILEA
Marco è l’unico che lega la fine del deserto con l’inizio della predicazione in Galilea. Non entriamo nel deserto per restarci, non costruiamo un mondo a parte, ma il superamento della tentazione e il ritorno all’armonia iniziale, conseguiti grazie all’aiuto dei tanti inviati con cui Dio accompagna il nostro cammino ci spingono a diventare testimoni. Credibili.
Buona Quaresima, cercatori di Dio, lasciamo che lo Spirito ci spinga nel deserto.

(PAOLO CURTAZ)

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Buona domenica! – Mercoledì delle Ceneri

«Laceratevi il cuore e non le vesti»

Dal libro del profeta Gioèle (Gl 2, 12-18)
MERCOLEDI DELLE CENERI

Se in questo Mercoledì delle Ceneri qualcuno si presentasse in mezzo a noi girando per le strade, nei luoghi di lavoro e di studio con gli abiti strappati, seminudo e lacero, è molto probabile che qualche pietosa e anonima telefonata lo farebbe velocemente prelevare e ricoverare in qualche casa di cura. Se ci capitasse di vedere qualcuno impegnato a far rimanere visibile sulla fronte per tutta la durata della Quaresima la cenere ricevuta durante la Messa del mercoledì, scuoteremmo la testa disgustati dall’inutilità e dall’ostentazione del suo gesto.
È ovvio che non ci occorrono spiegazioni complicate per chiarire che cosa intende il profeta Gioèle quando esorta: “Laceratevi il cuore e non le vesti”. Il simbolo delle vesti strappate e del cuore lacerato è così chiaro ed eloquente che per capirlo non c’è bisogno di aver studiato né l’ebraico né le figure stilistiche del linguaggio biblico. L’immagine del cuore lacerato fa subito intuire che siamo di fronte ad una decisione seria in merito ad un cambiamento di vita radicale e che non si tratta solo di un gesto esterno limitato ad un determinato periodo di tempo.  Quanti propositi quaresimali, però, sono davvero un ritorno radicale al Signore misericordioso e pietoso e quanti invece solo un esteriore strapparsi le vesti che – passati i quaranta noiosi e tetri giorni – vengono di nuovo ricucite come se niente fosse?

(ANNA MATIKOVA, fsp)

Per riflettere con la Chiesa…

Messaggio di Benedetto XVI per la Quaresima 2012
(clikka e scarica)

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Buona domenica! – VII T.O. (Anno B)

«Che cosa è più facile: dire al paralitico
“Ti sono perdonati i peccati”, oppure dire
“Àlzati, prendi la tua barella e cammina”?»

Dal Vangelo di Marco (Mc 2, 1-12)
VII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno B

Il lebbroso, domenica scorsa, ha chiesto di essere purificato e Gesù lo ha esaudito. La lebbra, dicevamo, è la malattia della solitudine, dell’assenza di contatto fisico, del senso di colpa. L’evolversi della malattia corre parallelo all’evolversi dell’abisso morale in cui si cade: i lebbrosi erano convinti, come l’approssimativa visione di Dio lasciava intendere, di essere puniti per qualche colpa nascosta. Non c’era compassione verso i lebbrosi, né verso gli ammalati, in genere. La compassione è un sentimento entrato nel mondo religioso da quando un falegname di Galilea si è identificato con gli ammalati.
Oggi incontriamo nuovamente un ammalato, un paralitico. E Gesù lo libera dai suoi peccati e, davanti allo scetticismo degli scribi, lo guarisce fuori, dopo averlo guarito dentro. Non lo guarisce subito, la chiassosa testimonianza del lebbroso ha messo a dura prova il Maestro che non vuole essere scambiato per un guaritore. Lo guarisce quando vede i devoti scettici e polemici con la sua pretesa di donare il perdono divino. Sì, c’è una continuità nei due racconti: anche il peccato, in un certo modo, è un lebbra che ti consuma.

DOMANDE
Perché costui parla così? La domanda posta dagli scribi è al centro del racconto, il punto focale della narrazione, secondo gli esegeti. È la domanda che si pone il discepolo davanti a quest’uomo che pretende di liberare il paralitico dal peccato. Hanno ragione gli scribi scettici: solo Dio può liberare dai peccati. Se Gesù libera il paralitico dal suo peccato, e conferma questa liberazione con la guarigione, allora la sua identità crea problema.
Tutto il vangelo di Marco ruota intorno a questa domanda: chi è veramente il Nazareno? Marco dona la sua testimonianza: il titolo che usa, figlio dell’uomo, il più usato nel suo vangelo per indicare Gesù, richiama l’Antico Testamento dove il termine viene usato per indicare un uomo con una prerogativa divina ma anche, in altri casi, come segno di umiltà. Le due cifre del mistero di Gesù: l’umanità e la divinità, sono presenti sin dall’inizio. Ma ci sono molti altri particolari, nel racconto, che ci allargano il cuore.

NOMI E SPAZI
Il racconto definisce l’ammalato semplicemente paralitico. È identificato con la sua malattia, con la tragica conseguenza della sua patologia. La malattia ha invaso ogni suo spazio mentale, al punto da togliergli identità. Identità che Gesù gli restituisce: viene chiamato figlio. Noi non siamo la nostra malattia, le nostre disgrazie, i nostri peccati. Noi siamo anzitutto e per sempre figli.
E anche l’annotazione dello spazio è importante: la folla fa ressa davanti alla casa di Pietro, è accalcata. Quella folla che, due domeniche fa, cercava Gesù per “costringerlo” a tornare, lui che invece vuole andare altrove. Questa chiusura si apre, improvvisamente, quando qualcuno sfonda la terrazza fatta di canne e terra che copre l’abitazione. Il movimento non è più orizzontale, ma verticale. E le cose cambiano: il paralitico, scopertosi figlio, torna a casa sua tenendo in mano la barella, la folla anonima se ne va, lodando Dio, diventando testimone della meraviglia che si sta compiendo. Come sarebbe bello se anche noi la smettessimo di accalcarci intorno alle nostre piccole convinzioni per essere finalmente la Chiesa sognata da Dio!

PECCATO
Oggi non si pecca più, meno male! Per peccare bisogna almeno fare il kamikaze o stuprare i bambini, per il resto sono solo cattive abitudini o innocenti trasgressioni. Forse è una reazione ad una visione incentrata sul peccato di una certa predicazione del passato (tutta da dimostrare, io non c’ero): da “tutto è peccato” a “quasi nulla è peccato” il passo è stato breve ma, ahimè, ci ha fatto perdere l’equilibrio. In un giorno di nebbia tutto è grigio uguale: solo la Parola di Dio può disegnare le ombre della nostra vita. Purtroppo abbiamo ancora un approccio moralistico al peccato, come se peccare fosse trasgredire alla legge di un Dio geloso della nostra libertà che ci mette i paletti nella vita solo per farci tribolare (e tanto). Un approccio adolescenziale: in fondo ci sono persone che vivono peggio di me, cosa vuole Dio dalla mia vita? Nulla, Dio non vuole nulla dalla mia vita. La Scrittura ci svela un Dio che desidera per me la felicità, e sa come ottenerla. È lui che mi ha creato, lui sa come funziono, forse varrebbe la pena di ascoltarlo con maggiore attenzione e serietà…

LIBERI E GUARITI
Le parole che Dio ci dona sono l’indicazione verso un percorso di pienezza, di libertà, di gioia profonda e duratura. Il peccato è male perché ci fa del male, Dio mi ha pensato come un capolavoro, e io mi accontento di essere una fotocopia sbiadita… Il peccato dovrebbe essere la nostra prima preoccupazione, perché c’è in gioco la nostra realizzazione profonda, la nostra verità interiore che Dio conosce e che mi aiuta a scoprire… Non possiamo inventarci i peccati, o farci fare l’esame di coscienza dal mondo contemporaneo (non è vero che non c’è più senso del peccato, c’è, fortissimo, il senso del peccato. Quello degli altri!): è la frequentazione di Cristo che ci porta alla conoscenza del nostro limite, per affidarglielo e trasfigurarlo. È difficile conoscere ciò che è male, il male si presenta sempre come un ipotetico bene per sedurci e ingannarci.
Lasciamoci guarire, dentro e fuori.

(PAOLO CURTAZ)

Per riflettere sorridendo…

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Buona domenica! – VI T.O. (Anno B)

«Il lebbroso colpito da piaghe porterà vesti strappate e il capo scoperto… andrà gridando:
“Impuro! Impuro!”.  Sarà impuro finché durerà in lui il male;  è impuro, se ne starà solo, abiterà fuori dell’accampamento»

Dal libro del Levitico (Lv 13, 1-2.45-46)
VI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno B

Ci sono delle esperienze o delle situazioni che ci isolano dagli altri, che ci fanno piombare in un non richiesto gruppo speciale, condannato ad essere marginalizzato. Come quando perdiamo una persona cara, come quando il dolore fisico irrompe nella nostra vita, come quando un fallimento affettivo resetta la nostra vita. Allora ci sentiamo estranei alla vita e la gente ci sfugge. Di cosa parlare? Con chi? Chi vuole accanto a sé qualcuno che è stato azzannato dal demone della sofferenza? In quel caso, a volte, ci si avvicina a Dio. Solo a volte: più spesso nel dolore e nella solitudine la fede la si perde, altro che storie. Il lebbroso di oggi ne sa qualcosa.

LEBBROSO! LEBBROSO!
È una malattia della povertà, la lebbra. Devastante, inarrestabile, immonda, che ti consuma facendoti marcire. Anche Israele, come tutte le civiltà del passato, aveva capito bene la gravità della malattia e del contagio e imposto ai lebbrosi di stare alla larga dai centri abitati, di gridare la propria condizione in caso di incontro con un’altra persona. Una malattia appesantita dal senso di colpa che tutti riversavano sull’ammalato. La lebbra era la più terribile delle punizioni di Dio. Nessuna pietà per i lebbrosi, nessuna pena, solo fastidio e paura nei loro confronti. Una malattia che isola, un cancro dell’anima.
Il breve racconto di oggi è un gioiello di sfumature.
Il lebbroso ha fiducia in Gesù, si avvicina a lui con confidenza, con cautela, con umiltà. È l’unico caso, nel vangelo di Marco in cui un ammalato si presenta da solo. E non chiede la guarigione, ma la purificazione. In lui è più forte il desiderio del riscatto sociale che del tornare sano. Così per noi: ciò che uccide è la solitudine, non il male fisico. Gesù ha compassione, diversamente da tutti gli altri. Sente il patire del lebbroso. E lo tocca.

IL NOSTRO DIO
I devoti del tempo (e di oggi) dividevano la realtà in due categorie: nella luce e nella purezza c’era Dio e tutti i bravi ragazzi, fra cui loro, ovviamente. Dall’altra parte la tenebra, l’impurità e tutti gli altri. Che Dio tocchi un lebbroso è fuori da ogni immaginazione. Una provocazione infinita. Eppure è questa la grande novità, la conversione da accogliere, la follia già espressa nel Battesimo, quando il Figlio si è messo in fila con i peccatori. Dio si sporca le mani. E non è mai il buio che entra in una stanza, ma la luce che esce dalla finestra a rischiarare la notte. E così accade: il puro contagia l’impuro e lo guarisce. Da ogni male, da ogni solitudine, da ogni peccato, da ogni impurità siamo guariti.
Ma.

FASTIDIO
Il tono cambia improvvisamente. Gesù sembra essere un’altra persona: si scalda, ammonisce e intima, è evidentemente infastidito. Deve tacere, il lebbroso, star zitto, andarsene, farsi visitare dai sacerdoti per essere riammesso nella comunità, come previsto dalla Legge che Gesù non ignora né snobba. Ma il lebbroso disubbidisce, esagera, sbraca. Al punto che Gesù non può più entrare in una città. Dalla compassione alla rabbia, che cosa è successo?

GURU
Gesù chiede al lebbroso guarito il silenzio. Non vuole passare come un guaritore, come un santone, come un guru. Come può invitare la gente ad ascoltare la sua Parola e la novità del Regno se la folla lo cerca solo per risolvere i propri problemi? Come potrà gestire la folla che chiede a Dio guarigione e non certo conversione? Come potrà far capire alle persone il senso profondo della vita se questi pensano già di conoscerlo e chiedono a Dio, eventualmente, di adeguarsi? Allora come oggi è questo il dilemma che attanaglia Dio: provare compassione, certo, e intervenire, ma senza diventare il Dio fantoccio che portiamo nel cuore, il Dio a nostro servizio.

TESTIMONI
Leggendo questa pagina, mi è venuto in mente padre Damiano de Veuster che nel 1873 sbarcava a Molokai, vicino alle Hawaii, un’isola in cui venivano rinchiusi i lebbrosi (più di seicento!), isola in cui la violenza e la depravazione erano seconde solo all’inumanità della malattia. Padre Damiano morì a Molokai, facendo rinascere la dignità dei lebbrosi, dando loro fede, speranza, feste, un cimitero, il canto (!), affetto, Cristo.
Costretto a confessarsi urlando i propri peccati ad un confratello che li ascoltava da una barca, guardato con fastidio dai suoi superiori che lo consideravano un eccentrico, padre Damiano morirà di lebbra dopo aver trascorso sedici anni a restituire dignità ai lebbrosi di Molokai.
Sulle pagine della stampa internazionale, dopo la sua morte, finirà un osceno articolo di un polemista inglese, che insinuava l’idea che la lebbra padre Damiano l’avesse contratta tramite rapporti sessuali, facendo diventare un truce personaggio il santo dei lebbrosi.
Letto l’articolo, dal suo letto di malattia (aveva la tubercolosi), il grande scrittore Stevenson, di fede anglicana, (L’isola del tesoro, Dottor Jekill e mister Hyde) inviò una lettera aperta a tutti i quotidiani inglesi dicendo che chi oltraggiava la memoria di padre Damiano “era rimasto immerso ingloriosamente nel suo benessere, seduto nella sua bella camera (…) mentre padre Damiano, coronato di glorie e di orrori, lavorava e marciva in quel porcile, sotto le scogliere di Kalawao”.

(PAOLO CURTAZ)

Fede & sofferenza…

Giulia Gabrieli, quattordici anni, malata di tumore

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Buona domenica! – V T.O. (Anno B)

«Gli parlarono di lei. Egli si avvicinò
e la fece alzare prendendola per mano»

Dal Vangelo di Marco (Mc 1, 29-39)
V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno B

Uscito dalla sinagoga Gesù entra in casa di Pietro, ne guarisce la suocera, accoglie la folla sul calare della sera, poi, di notte, esce a pregare: ecco una delle giornate “tipo” di Gesù. Vi lamentate, come me, di avere poco tempo e di correre da mattina a sera? Non ditelo al Maestro.

GUARITI PER SERVIRE
La suocera di Pietro è febbricitante. La febbre, lo sappiamo, può essere segno di un lieve malanno o di una malattia mortale: qui diventa il simbolo di ogni stato di malessere dell’uomo. Pietro e Andrea vanno da Gesù e gliene parlano. Non chiedono un intervento, né una guarigione: sono il modello del discepolo che fa della preghiera un momento in cui affida al Signore senza imporre la soluzione. E Gesù interviene con garbo, con gentilezza, la prende per mano e la guarisce. La suocera si mette a servire il Signore e i suoi familiari.
Il verbo usato per la guarigione ha a che fare con la resurrezione e il verbo usato successivamente indica un servizio perenne, continuo. I due attributi del discepolo: è un guarito che serve, un risorto che si mette a servizio del Regno. E qui, come più avanti, come il giorno della resurrezione del Signore, è una donna, la parte debole nella cultura ebraica, ad essere guarita e a servire. Siamo stati guariti per servire, siamo risorti per annunciare il Regno, come la suocera di Pietro.

SULLA SOGLIA
La prima scena del vangelo di Marco si svolge nella sinagoga, nel brano di oggi, invece, si svolge in casa, nel capitolo successivo, nuovamente, si rientrerà in sinagoga. Il nuovo luogo dove si incontra Dio e si fa esperienza di lui è la casa, non il tempio. La fede si sveste della solennità e dell’esteriorità, della ritualità per entrare nel quotidiano piccolo e spiccio. Gesù incontra sulla piazza gli abitanti di Cafarnao che diventano l’emblema dell’umanità che anela alla guarigione, esteriore ed interiore, alla salvezza, ad essere sanata. Gesù li accoglie sulla porta, sulla soglia della casa di Pietro.
Così devono fare i discepoli: stare sul confine, come Gesù che inizia il suo ministero a Cafarnao, la città posta sul confine. Il discepolo non può arroccarsi nelle sue posizioni, fare della propria fede una città fortificata impenetrabile.  Il discepolo sta sempre sulla soglia per annunciare il vangelo. Come vorrei che la mia Chiesa stesse di più sulla soglia!

LA FORZA
Da dove prende la sua forza, il Signore? Per riuscire ad accogliere tutti, ad ascoltarli, a guarirli? Da dove prende l’energia per fare della sua vita un annuncio? Dalla preghiera. Da una preghiera lunga e attenta, per discernere la volontà del padre. Una preghiera che stupisce e affascina i discepoli e noi. Una preghiera che non è la lista della spesa da fare a Dio quando le cose non funzionano, ma il dialogo intimo ed intenso di chi si lascia plasmare.
E poiché la giornata è frenetica, Gesù prega di notte. Quando abbiamo troppe cose da fare e non abbiamo più il tempo per pregare, è esattamente quello il momento in cui ritagliarci un tempo per Dio, anche sottraendolo al sonno. Il “segreto” di Gesù è un intimo colloquio col Padre che gli permette di fare della propria vita un dono agli altri.

INOPPORTUNI
Pietro cerca Gesù, ma il verbo usato ha una forte connotazione negativa. Non si mette alla ricerca di Gesù come discepolo, vuole accaparrarlo, possederlo. Il rimprovero fatto a Gesù, quel tutti ti cercano! indica una pretesa: perché se n’è andato da Cafarnao? Non si “possiede” Dio, non si vincola, non si imprigiona. Non ha dove posare il capo, il Maestro, inutile costruirgli una villa con piscina. Se vogliamo, però, possiamo metterci alla sua sequela, da guariti ammalarci della sua stessa passione per l’annuncio del vero volto di Dio.

(PAOLO CURTAZ)

Un blog per conoscere e ricordare sr Tecla Merlo…

Prima Superiora Generale e cofondatrice delle Figlie di San Paolo
20 febbraio 1894 – 5 febbraio 1964

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Buona domenica! – IV T.O. (Anno B)

«Erano stupiti del suo insegnamento:
egli infatti insegnava loro come uno che
ha autorità,
e non come gli scribi»

Dal Vangelo di Marco (Mc 1, 21-28)
IV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno B

Sono tempi difficili, dicevamo. Bene. Allora possiamo andare all’essenziale, rimboccarci le maniche, girare pagina, smetterla di fare i servi di una mentalità e di una cultura che ci sono vendute come inevitabili, come il migliore dei mondi possibili. Emerite baggianate.  Abbiamo costruito un mondo in cui è il profitto a comandare, non l’uomo e il suo bene. Un mondo arrogante e volgare in cui vince chi urla e chi si sbraccia. Torniamo all’essenziale, tutti. Torniamo all’unica buona notizia che vale la pena di ascoltare e che il Maestro è venuto a raccontare: Dio è ed è splendido. E ci chiama a far parte del suo progetto d’amore. Cambiamo il mondo, finalmente. A partire dalla Chiesa.

A CAFARNAO
Marco, ricordate? E’ il primo ad avere scritto un vangelo. E che Vangelo! Dal Battesimo alla Risurrezione, qualche rotolo per raccontare, in un greco stentato, l’inaudito di Dio, il segreto tenuto nascosto nei secoli. Abbiamo incontrato Gesù penitente che scopre di essere prediletto, che mette a fuoco la propria missione. Lo abbiamo incontrato in Galilea, dopo l’arresto del Battista, a dire che il Regno si è avvicinato e che vale la pena convertirsi.
Ora lo troviamo a Cafarnao, in casa di Pietro il pescatore.  È un piccola città sul lago, alla frontiera, diventata importante dopo la divisione del regno di Erode. Ci sono gli esattori per il pedaggio e anche una centuria romana a vigilare la via maris che da Damasco porta a Cesarea Marittima. Di fronte alla casa di Pietro sorge la sinagoga, dove ci si raduna per ascoltare la Parola. Chi legge può anche fare un commento che, di solito, consiste nel ripetere qualche sentenza di un rabbino famoso. Gesù, invece, osa. Parla e racconta, spiega in maniera talmente nuova ed originale che tutti sono entusiasti. Averne di gente così durante le nostre omelie! Non fa voli pindarici, né citazioni teologiche. Non sappiamo cosa abbia detto. E forse le persone nemmeno se ne ricordano. Ma si ricordano del fatto che Gesù parla con autorevolezza, non come gli scribi. Colpisce perché parla di cose che sta vivendo. Parla non perché conosce, ma perché fa diventare vita ciò che legge. Averne.

INDEMONIATI
Nell’assemblea c’è un indemoniato. Capiamoci: con le scarse conoscenze mediche dell’epoca si attribuiva a forze oscure ciò che non si era in grado di spiegare. Malattie come epilessia o comportamenti bipolari erano semplicemente attribuiti ai demoni e si cercava di guarirli con complessi rituali di esorcismo. Non sappiamo cosa avesse questo poveraccio. Sappiamo bene, però, cosa vuole dirci Marco. Il male è presente nella sinagoga, il male è presente nella Chiesa. La prima purificazione da fare, la prima conversione da praticare è all’interno della comunità, non fuori. Iniziare da dentro, dal nostro ambiente, da noi. Perché ci sono dei modi di intendere la fede che sono “demoniaci”, anche dentro la Chiesa.

PROVOCAZIONI
L’affermazione del credente indemoniato è terribile: “Che c’entri con noi, sei venuto per rovinarci!”  È demoniaca una fede che tiene il Signore lontano dalla quotidianità, che lo relega nel sacro, che sorride benevola alle pie esortazioni, senza calarle nella dura quotidianità. È demoniaca una fede che vede in Dio un concorrente e che contrappone la piena riuscita della vita e la fede: se Dio esiste io sono castrato, non posso realizzare i miei desideri. È demoniaca una fede che resta alle parole: il demone riconosce in Gesù il santo di Dio ma non aderisce al suo vangelo.
Ecco tre rischi concreti e misurabili per noi discepoli che frequentiamo la sinagoga: professare la fede in un Dio che non c’entra con la nostra vita, un Dio avversario, un Dio da riconoscere solo a voce.  “Che c’entri con noi?”.
Il rischio, diffuso e presente nella Chiesa del terzo millennio, nel nostro occidente che crede di credere, pasciuto e annoiato, è quello di possedere una fede che resta chiusa nel prezioso recinto del sacro, di una fede fatta di sacri formalismi e di tradizioni, che però non riesce ad incidere, a cambiare la mentalità e il destino del mondo. Una fede che non cambia la vita, i rapporti in economia, in politica, nella giustizia, è una fede fintamente cristiana.
Non basta credere: anche il demonio crede, anch’egli sa bene chi è Gesù e, proprio per questo, sa che egli è venuto per distruggere le tenebre che abitano prepotenti il nostro mondo. Ecco la sfida che il Signore lancia alla sua Chiesa, all’inizio di questo 2012: tornare ad essere davvero credenti, finalmente discepoli.

(PAOLO CURTAZ)

Un’intervista per riflettere…

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Buona domenica! – III T.O. (Anno B)

«Dopo che Giovanni fu arrestato,
Gesù andò nella Galilea,
proclamando il vangelo di Dio»

Dal Vangelo di Marco (Mc 1, 14-20)
III DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno B

Marco è una ragazzo quando conosce Gesù. In casa sua, probabilmente, la comunità si raduna con una certa frequenza, soprattutto durante i giorni degli eventi pasquali. Ancora più probabile è il fatto che il famoso giardino del Getsemani fosse di proprietà della sua famiglia.
Dopo una prima esperienza al seguito di Barnaba e Paolo, il giovane Marco ha seguito Pietro il pescatore. Ed è proprio Marco, su suggerimento di Pietro, ad avere, per primo, steso un resoconto sulla vita e la predicazione di Gesù, un vangelo. Rivolto a dei pagani avvicinatisi all’annuncio (romani?), scritto in un greco grammaticalmente povero ed essenziale, cogliamo dietro il suo vangelo la freschezza dell’annuncio e possiamo individuare l’esperienza e il pensiero di Pietro dietro le sue parole. Marco sintetizza il Battesimo di Gesù e il periodo passato nel deserto per andare subito all’essenziale. Alla predicazione del Maestro. Alla buona notizia.

VANGELO
Vangelo significa semplicemente buona notizia. Abbiamo bisogno urgente di buone notizie in questo momento di scoramento e fatica!
Gesù inizia la sua predicazione dopo l’arresto di Giovanni: è un evento negativo a spingere Gesù alla predicazione. Il Battista è “consegnato”, riferisce letteralmente il giovane Marco, come ad indicare una Provvidenzialità anche negli eventi umani più balordi, un intervento di Dio anche quando Dio sembra dimentico dei suoi figli, e Gesù ne prende il testimone, ne prolunga l’opera, da’ senso al sacrificio del profeta vissuto per preparargli la strada. Gesù inizia il suo ministero quando sarebbe stato prudente smetterlo, inizia la sua missione in pieno clima di persecuzione verso i profeti, così simile al nostro. Gesù annuncia una buona notizia da parte di Dio: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio si è fatto vicino; convertitevi e credete nel vangelo”. Il tempo è compiuto, questo è il momento giusto, non aspettare oltre: ora, oggi, adesso Dio è qui. Quante volte ci manca il tempo per fare le cose che vorremmo, per incontrare le persone che amiamo, per sederci a godere delle gioie (pochine) che la vita ci dona! Quante volte rimandiamo le cose da fare a momenti più opportuni, a giorni migliori! Quanta fatica facciamo a vivere il presente, anche nella fede, rimandando la conversione, arrendendoci alla tirannia del caos quotidiano!
Dio è qui adesso, anche se non lo senti, anche se non te ne accorgi, anche se la stanchezza o il dolore hanno annebbiato la tua vista interiore. Dio è qui, perché egli si è fatto vicino, perché Natale ci ha spalancato all’evidenza di un Dio accessibile.

IL REGNO E’ QUI
Non solo Dio è accessibile, ma è possibile costruire il suo Regno, vivere nella logica del Vangelo, creare degli spazi, dei luoghi, che diventino succursali del Regno. Non ti devi sforzare, né lo devi meritare (è gratis!), devi solo accorgertene e collaborare. Se è davvero così, se basta voltare la testa per incrociare lo sguardo di Dio, che aspetti? Cambia il tuo approccio al Signore! Forse non te ne accorgerai subito, dice Marco, forse le vicende della vita hanno ispessito la tua anima, ma, fidati, se volgi il tuo sguardo finirai inesorabilmente per incrociare quello del Rabbì. Credici, è la più bella notizia che tu possa ricevere. Oggi: Dio ti si è avvicinato (perché ti ama).
Tutta la nostra fede è racchiusa in questo annuncio: il progetto di bene di un Dio che si fa vicino e il nostro impegno ad accoglierlo, la nostra fatica a non lasciarci travolgere dalle cattive notizie e a lasciar germogliare il bene e il bello che c’è in noi. Ed è una notizia così nuova, così vera, così profonda, che tutto diviene relativo, e gli eventi della vita, anche quelli belli come gli affetti, sono il proscenio che vede Dio come attore protagonista, dice Paolo.

OVUNQUE
La chiamata degli apostoli ci rivela che quest’annuncio ci coglie proprio là dove viviamo, che non abbiamo scuse di sorta, che non possiamo nasconderci dietro i troppi impegni e le troppe cose da fare, né rimandare ad una settimana di esercizi la nostra conversione: al lavoro Gesù chiama Simone e Andrea, mentre riposano chiama Giacomo e Giovanni. Gesù passa e ci chiama, tutti, ovunque. Non ci sono condizioni per diventare suoi discepoli: l’unica cosa che ci è chiesta è la conversione, l’atteggiamento di chi si rende conto che la risposta vera è nel cuore di Dio, di chi decide di mettersi davvero e sul serio in ascolto, come gli abitanti di Ninive nella prima lettura, come chi segue il suggerimento di Paolo: passa la scena di questo mondo. L’ammonimento di Paolo a vivere nel presente con distacco è quanto mai necessario per la conversione. Intendiamoci: “distacco” non significa disinteressarsi del mondo (errore storicamente commesso da parecchi cristiani) ma significa vivere nel mondo con il giusto equilibrio. Significa che il mio lavoro, la mia famiglia, mio marito e i miei figli, il mutuo da pagare sono importanti, certo, ma non sufficienti a colmare il mio cuore, né sufficienti a spegnere il desiderio di assoluto che mi mozza il fiato. E Paolo lo sa bene, lui, che ha visto la sua vita di super credente, di zelante e intollerante fedele diventare strumento di evangelizzazione nelle mani di Dio, l’imprevedibile.

LASCIARE LE RETI
Lasciamo le reti, tutte le reti che ci legano, i pensieri, i giri di testa, i troppi impegni che ci impediscono di lasciarci amare da Cristo. Il suo messaggio continua attraverso la nostra piccola vita, dentro il nostro percorso quotidiano. Siamo chiamati a diventare pescatori di umanità, a tirar fuori tutta l’umanità nascosta nelle pieghe della vita, in questo mondo disumanizzato e disumanizzante. Siamo chiamati, in questo tempo disperato e disperante, a dare la buona notizia di un Dio che abita le nostre solitudini. Il Regno avanza, è presente, ci ammonisce Gesù, accorgitene, lasciati raggiungere, Dio ti ama. E questo ci cambia la vita. Queste sono davvero buone notizie.

(PAOLO CURTAZ)

Per riflettere sorridendo…

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Buona domenica! – II T.O. (Anno B)

«Che cosa cercate?»

Dal Vangelo di Giovanni (Gv 1, 35-42)
II DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno B

Non chiamatelo tempo ordinario.
Lo so, così lo chiama la liturgia. Ma cos’ha di “ordinario” un tempo che Dio abita per sempre? Un tempo che, per noi, diventa il luogo dove incontrare la pienezza di Dio e scoprire la nostra vera identità e la nostra missione? Cos’ha di “ordinario” un tempo che inizia con l’esperienza della chiamata dei primi due discepoli e che ci invita a riflettere sulla nostra vocazione? Vocazione che è di tutti, non dei preti e delle suore. Siamo tutti chiamati a fare esperienza di Dio, a conoscerlo, ad andare a vedere. Come il piccolo Samuele.

NEL TEMPIO
Samuele è figlio di una donna sterile, Anna, come spesso accade nella Bibbia. Nella gioia di avere un figlio inatteso, la madre decide di affidarlo alle cure di Eli, il sacerdote. Samuele diventerà un profeta straordinario, colui che consacrerà i primi re di Israele. Sta nel tempio, Samuele, assiste alle liturgie, ha un’ottima guida spirituale. Ma ancora non conosce Dio. Possiamo frequentare il tempio senza “conoscere” Dio là dove la conoscenza, nella Scrittura, indica un approccio intimo e totalizzante. Incontro che avviene nel cuore della notte. Solo se sappiamo ritagliare degli spazi di quiete e di silenzio possiamo “conoscere” Dio. E quanto mancano questi spazi alle nostre vite, alle nostre città! Ma abbiamo anche bisogno di qualcuno che ci aiuti a capire: Eli, come il Battista, come Paolo, è una buona guida che indirizza a Dio, non a se stesso. Così Samuele incontra Dio.

GIOVANNI E ANDREA
Non nel Tempio ma nel deserto Giovanni e Andrea incontrano Dio
. Hanno seguito il carisma del Battista, hanno lasciato tutto per seguirlo, anche la loro pelle è stata riarsa dal sole e dal vento del deserto di Giuda. Ora il loro maestro sa che è finito il suo tempo. È fermo, statico, mentre Gesù passa. È finito il suo tempo, e lo sa. E indica Gesù, mischiato fra i penitenti. È lui, ora, che devono seguire. Lo chiama agnello di Dio, come l’agnello immolato la notte di Pasqua, come l’agnello immolato al posto del popolo il giorno di Yom kippur, come l’agnello sacrificato al posto di Isacco, come l’agnello mansueto del profeta Isaia. Forse il Battista vede nel Nazareno l’ombra della sofferenza e la determinazione del dono di sé. Certamente la vede l’evangelista che riporta l’incontro.
Che bello avere un maestro che indica il Maestro, che si fa da parte, che conduce al vero Pastore.

CHE CERCATE?
È la prima parola che Gesù pronuncia nel vangelo di Giovanni: che volete? Non cerca discepoli, non li blandisce o si congratula con loro per la scelta fatta. Chiede ragione della loro scelta. Dio non vuole discepoli a rimorchio, cristiani sbadati, cattolici per abitudine. Chiede consapevolezza. Il nostro è un Dio che chiede di seguirlo, ma da adulti. La fede non è mai un comodo rifugio che ci protegge dal mondo cattivo, il tappeto sotto cui nascondere le nostre miserie. Dio vuole uomini veri e liberi. Sono spiazzati, Giovanni e Giacomo. Troppo forte e diretta la domanda per non inquietare. Cosa cercano? Non lo sanno ancora. Chiedono aiuto, chiedono lumi, un qualche appiglio, un punto di riferimento. Dove abiti?
Quanto bisogno di certezze abbiamo prima di poterci fidare! Quanti “se” e “ma” mettiamo prima di dire il nostro “sì” definitivo al Signore.! E lui che, allora come oggi, ci risponde: venite a vedere. Non chiedere, fidati, muoviti, fa’ diventare questa ricerca un’esperienza, investi.

ANDARE A VEDERE
La fede non è “fare”, “sapere” ma “conoscere”. Noi per primi siamo chiamati ad andare a vedere, noi per primi siamo chiamati a fare l’esperienza della sequela. Ed essi andarono, videro e restarono con lui. Dopo essersi fidati restano, accettano, si lasciano coinvolgere. L’annotazione finale di Giovanni è simpaticissima: erano circa le quattro del pomeriggio. Quel giorno, quell’istante, è così importante per lui che segna l’inizio di una vita nuova.
Sono passati forse sessant’anni da quell’evento e il discepolo ricorda l’ora precisa, tutto è cambiato, ormai, per Giovanni e Andrea: quel giorno è stato come l’inizio di una nuova Creazione.
A questo siamo chiamati: a fare esperienza di Dio.
Un tempo poco ordinario, per la verità.

(PAOLO CURTAZ)

18 – 25 gennaio 2012
Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani

Tutti saremo trasformati dalla vittoria di Gesù Cristo, nostro Signore (1Cor 15,51-58)

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CATECHISTI PARROCCHIALI – Gennaio 2012: IN NOVITÀ DI VITA

SANDALI PER SEGUIRE GESÙ

di F. Carletti – A.M. D’Angelo

La natura dell’uomo è quella del pellegrino, che si incammina lungo la storia della salvezza alla ricerca della verità e della felicità.
Ma Dio non lo lascia solo: si affianca al cammino di ogni persona per farsi conoscere gradualmente, fino alla sua piena rivelazione in Gesù.
I sandali costituiscono un simbolo per rappresentare per i fanciulli l’incamminarsi di ogni uomo e donna a fianco di Gesù, l’accettare il suo invito per giungere alla felicità piena. I sandali, inoltre, sono una calzatura semplice: come il cuore del fedele che si affida a Dio; come il cuore di Bartimeo che con slancio si affida a Gesù, abbandonando il mantello, perché in lui vede la sua ricchezza e il suo futuro.
Si propone ai fanciulli di realizzare sandali speciali: un segnalibro da usare per la Bibbia che si ha in casa, per camminare con Gesù lungo la storia della salvezza. Si ricorderà al fanciullo e a suoi genitori  come la Parola sia la via da percorrere per affiancare Gesù lungo una strada di gioia e comunione.
Materiale: 1 foglio di carta bianca di almeno 220 grammi, 1 stringa per scarpe di colore marrone larga massimo 1 cm, cartone, colla da calzolai, pennarello marrone, mollette per panni, forbici.
Al lavoro:
• Si ritagliano due sagome di piedi come quelle riportate nel disegno (una con le bordature per incollarci le strisce di stringa); le sagome dovranno avere un’altezza di almeno 7 cm e una larghezza di 3 cm.
• Si colorano le sagome di marrone.
• Si ritaglia, poi, la stringa per scarpe ottenendo 3 pezzi da applicare sulla sagoma che ha le opportune alette per il fissaggio. Si incollano le stringhe e si lasciano asciugare stringendole con le mollette per panni.
• Si disegnano due altre sagome di piede e si ritagliano.
• Ritagliare un altro pezzo di stringa più lungo, almeno 15 cm, che servirà da collegamento tra i due sandali per usarli da segnalibro.
• Si applica sulla sagoma semplice la scritta «Vieni e seguimi» e si incolla sulla corrispondente sagoma in cartone, avendo l’accortezza di incollare in mezzo ai due strati un pezzo della stringa tagliata prima.
• Applicare le mollette alla sagoma per fissare meglio la colla.
• Incollare l’altra parte della stringa più lunga dietro al sandalo prima costruito.
Tutti riuniti e seduti. I genitori chiedono al figlio di raccontare l’esperienza di Bartimeo. La mamma accende la lampada al centro della tavola, dove è deposta la Bibbia o il Vangelo, con il sandalo-segnalibro alla pagina di Mc 10,46-52, e invita ad ascoltare il brano del cieco di Gerico: «Cerchiamo di comprendere cosa è avvenuto e quale messaggio ha per noi, oggi». Il papà legge lentamente il brano e depone la Bibbia accanto alla lampada, invitando tutti ad un momento di riflessione su quanto annunciato.

Questi e molti altri suggerimenti per la catechesi dei ragazzi nel numero di Gennaio di Catechisti Parrocchiali, dove è anche possibile vedere le foto del lavoro finito.

Per vedere il sommario di Catechisti Parrocchiali di Gennaio 2012 clicca qui

Per info e abbonamenti:

Buona domenica! – Battesimo del Signore

«O voi tutti assetati, venite all’acqua…
Perché spendete denaro per ciò che non è pane,
il vostro guadagno per ciò che non sazia?»

Dal libro del profeta Isaia (Is 55, 1-11)
BATTESIMO DEL SIGNORE – Anno B

È breve il tempo natalizio.
Breve ma pieno di emozioni e di forza, di provocazione e di inviti alla conversione, per chi li vuole accogliere. E con oggi chiudiamo queste due settimane passate ad accogliere l’inaudito di Dio, a stupirci, come i pastori, che scoprono che Dio viene apposta per gli sconfitti, a interrogarci come i magi, che sono curiosi davanti alla vita, a meditare come fa Maria, che tesse la sua vita intorno alla Parola. Archiviamo il Natale con un’ultima riflessione, densa, immensa, destabilizzante.
Quel Gesù che abbiamo lasciato nella culla, riconosciuto dai magoi, lo ritroviamo oggi adulto, penitente fra i penitenti, a farsi battezzare nel Giordano da Giovanni il predicatore.

Marco
Non si dilunga nei particolari, Marco, come al suo solito. Non parla della nascita di Gesù e nemmeno della sua infanzia. Lo troviamo adulto, Gesù, pronto a farsi battezzare. Anche Giovanni è descritto con pochi tratti, senza lasciare spazio alle illazioni, all’emozione. Gesù si mette in fila per il battesimo. Non ne ha bisogno, il suo cuore non è oscurato dalla tenebra, in lui la presenza di Dio è assoluta. Eppure vuole condividere il bisogno intimo dell’uomo di liberazione e di pace. Non fa finta, Gesù, non accetta vantaggi, in tutto è simile all’uomo. In tutto eccetto nel peccato che, appunto, è l’anti-umanità.
Questa sua vicinanza all’uomo si manifesterà ancora durante la sua vita pubblica. Dio non approfitta del suo essere Dio: vuole fare esperienza di umanità, senza trucco. Dopo avere ricevuto il battesimo Gesù sente il Padre che gli rivela la sua missione, la sua profonda identità. Egli è il figlio amato, di cui Dio si compiace. Si compiace, Dio, nel vederlo solidale con i peccatori. Si compiace, nel vederlo farsi discepolo.
Matteo e Luca dicono che tutti sentono la manifestazione di Dio, la teofania. Marco, invece, ci dice che Gesù solo la sperimenta. Anche nella nostra vita, a volte, abbiamo bisogno di svolte, di manifestazioni, di chiavi di lettura, e Dio si rivela se il nostro agire è trasparente, se la nostra vita è retta.

Nascere in Cristo
Cristo è nato nella storia, tornerà nella gloria. Ma come farlo nascere, ora, nei nostri cuori? Il Battesimo rappresenta l’ingresso nella vita nuova in Cristo. Da sempre, da subito, i cristiani hanno capito che quello era il gesto nuovo da compiere per siglare la conversione, per suggellare la volontà di cambiamento. Esisteva già un battesimo, quello del Battista, un gesto di purificazione, di vita, così come l’acqua lava e purifica, dà vita agli uomini e ai vegetali. Ma Gesù si battezza nello Spirito Santo e propone ai suoi discepoli di diventare tali nel battesimo.
Storicamente, lo sappiamo bene, il Battesimo è stato amministrato ai bambini. Non è un abuso della volontà di Cristo: le primitive comunità battezzavano intere famiglie. Resta il fatto che siamo stati battezzati quando eravamo inconsapevoli, incapaci di cogliere la profondità del gesto che i nostri genitori compivano al nostro posto.
Gli anni del catechismo, “recupero” della preparazione battesimale, non sono serviti a raggiungere la presa di coscienza della grandezza dell’appartenere a Cristo. Ma adesso che siamo adulti possiamo farlo, possiamo riappropriarci del battesimo.

Teologia battesimale
Col Battesimo è stato messo nel nostro cuore il seme della presenza di Dio
. Non una magia, non una rito scaramantico, ma un seme. Va coltivato, il seme, per poter crescere e per portare frutto. Il padrino era colui che, nella Chiesa primitiva, aiutava il seme a crescere.
Dio è in noi, inutile cercarlo all’esterno. Dio è in noi e tutto ciò che ci porta “dentro” ci avvicina a Dio. Il silenzio, la musica, la natura, l’arte, la letteratura, ci portano “dentro” noi stessi, ci accompagnano alle soglie del mistero.
Col Battesimo siamo diventati cristiani. Spesso portiamo il nome di un santo. I santi sono coloro il cui seme del battesimo è diventato un albero frondoso alla cui ombra ci riposiamo. Siamo diventati concittadini dei santi e familiari di Dio. I santi sono sugli spalti a fare il tifo per noi, che giochiamo nel campo la partita della vita. Non siamo soli.
Col battesimo ci è tolto il peccato originale, la fragilità che tutti portiamo nel cuore, la macchia che ci impedisce di essere liberi. Cristo ci libera da questa fragilità: diventiamo capaci di amare. Ecco cosa è successo il giorno del nostro Battesimo, anche se non ce ne siamo accorti, anche se eravamo troppo piccoli. Ora siamo cresciuti, ora siamo consapevoli. Come diceva sant’Ireneo: cristiano, diventa ciò che sei.

(PAOLO CURTAZ)

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