Gli apostoli dissero al Signore:
«Accresci in noi la fede!».
Lc 17,5
Mentre prego sulle letture della XXVII domenica del Tempo Ordinario, mi risuona dentro una domanda che mi è stata rivolta qualche settimana fa: «Mariangela, in tutta questa morte, in questa violenza, vedendo i bambini morire uno dopo l’altro a Gaza, dimmi… dov’è Dio?».
E sono molti a chiederlo. Come può il Signore della vita restare inerme. Come può permettere che addirittura nel suo nome qualcuno uccida bambini innocenti, per bombe o per fame!
E poi ecco, nella Prima lettura, un profeta, Abacuc, che con coraggio rivolge questa domanda proprio a lui, al Signore e creatore del mondo: «Fino a quando, Signore, alzerò a te il grido: “Violenza!”, e non ascolti? Perché mi fai vedere l’iniquità e resti spettatore dell’oppressione?». E ancora, in un versetto non riportato nel brano della Prima lettura: «Tu, dagli occhi così puri, perché vedendo i perfidi taci, mentre il malvagio ingoia chi è più giusto di lui?».
Credetemi, resto interdetta.
E penso a quanti tra noi stanno rivolgendo a Dio queste domande.
Ma penso anche a quanti stanno sollevando le spalle pensando che in fondo sia tutto inutile: inutile interpellare Dio, visto che una terra e i suoi abitanti viene falciata proprio in suo nome, inutile puntare su una cosa come la preghiera quando le guerre sono decise dalla geopolitica.
Eppure, c’è un pensiero costante che mi attraversa: “Credi, Mariangela, credi anche nell’impossibile. La fede può davvero spostare le montagne”.
Ed eccoci. Eccoci qui, oggi, guidati da queste letture, quasi fosse una risposta… «Il giusto vivrà per la sua fede», dice Dio al profeta. E quando gli apostoli, invitati da Gesù a puntare in alto nelle scelte, gli chiedono di accrescere la propria fede, lui offre come parametro di grandezza il più piccolo tra i granelli esistenti in natura. Quasi a dire che la vita per fiorire non ha bisogno di grandezza, ma di fiducia, di affidamento.
Il profeta, e noi con lui, può vedere Dio all’opera solo credendo, solo affidandosi, solo coltivando la certezza interiore che la sua vita si compirà, sorgerà, salverà.
Ma la fede non è una botta di fortuna.
È il dono che ci è stato dato e che ha bisogno di cura costante per essere ravvivato. Non è Dio a spegnerlo o a riaccenderlo. E Paolo, nella seconda lettura, su questo è chiaro. A Timoteo raccomanda con forza di ravvivarlo. E per noi che sappiamo di averlo ricevuto è una responsabilità personale.
La fede è un dono tanto prezioso quanto fragile.
È come avere tra le mani un germoglio. Ha un potenziale infinito ma per crescere e diventare capace di frutto ha bisogno di una cura e attenzione quotidiana, ha bisogno di essere nutrito. Così la fede. Ed è fondamentale farlo.
Colui che vive di fede, e di una fede adulta, matura, di una fede madre, è una persona capace di vedere, in profondità e lontano.
È capace cioè di leggere dentro le situazioni, dentro le persone e trovare anche nel buio o nelle profondità più irraggiungibili scie di luce, frammenti di vita da ricomporre.
Allo stesso tempo, colui che vive di fede è capace di guardare oltre, di scoprire orizzonti nuovi, mete nuove, prospettive nuove quando tutti, o almeno molti, preferiscono abitare la più rassicurante propria casa, proprio quartiere, propri confini… cioè le proprie convinzioni, le certezze già raggiunte, il benessere più prossimo.
Colui che vive una fede madre ha occhi che vedono, ha un cuore che implora e punta a convincere anche Dio. Vede il dolore del mondo e di ogni singola persona, si accorge dell’ingiustizia, ascolta le lacrime, e con coraggio grida a Dio: violenza! Ma vede anche l’alba, vede Dio all’opera e sa di poter attendere la risurrezione, e sa di dover essere la sentinella che indica il sorgere del giorno nuovo, e sa di dover sostenere l’attesa.
In tutto questo non c’è nulla di straordinario.
È semplicemente la vita che un discepolo del Vangelo può vivere per far vivere.
Fammi vivere di te
La mia fede, Signore Gesù,
è debole e vacillante:
fammi vivere di te!
La mia fede è soffocata
da me stessa e dalle mie
mille domande:
fammi vivere di te!
La mia fede è indebolita
dal poco tempo che riesco
a dedicare a te e alla tua Parola:
fammi vivere di te!
La mia fede è bloccata da ciò
che vorrei e non vedo:
fammi vivere di te!
Signore Gesù, maestro nel credere,
fammi vivere di te.
Amen.
DAL VANGELO DELLA DOMENICA
(Lc 17,5-10)
In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!».
Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.
Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?
Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».
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Quando il giusto è irriso e disprezzato? E la Parola oggi risponde: solo con la fede possiamo osare.
Fiducia nel Nazareno rivelatore del padre, figlio del Dio benedetto che ha sconvolto la vita dei suoi discepoli svelando il volto del Padre morendo sulla croce. Fidatevi almeno quanto un granellino di senapa, dice il Maestro.
anche quando i cristiani smontavano la credibilità della Chiesa pezzo per pezzo…
L’umano è infelice: non gli basta conoscere la realtà (questo il significato del dare il nome agli animali). Dio ammette il proprio sbaglio (splendido!) e decide di ricorrere ai ripari: farà all’umano un altro da sé, che lo contrapponga (nel termine ebraico è sottesa una vena di conflittualità). L’umano dorme, Dio crea la donna, non dalla costola, come erroneamente tradotto, ma dividendolo a metà.





capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo. Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: 