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Lazzaro… quando l’amicizia fa strani doni -BUONA DOMENICA! V DI QUARESIMA – ANNO A

Io sono la resurrezione e la vita.
(Gv 11,25)

Lazzaro. Basta dire il suo nome perché a tutte e tutti noi venga in mente un’unica scena: un uomo morto riportato da Gesù in vita. Non vi nascondo che tutte le volte in cui penso a quest’uomo non posso fare a meno di chiedermi se Gesù gli sia stato davvero amico. Intendiamoci, non metto in dubbio le Scritture… ma certo, se la morte è una delle esperienze più drammatiche della vita, viverla per ben due volte non credo che sia classificabile tra i regali più desiderati. E Gesù al suo amico Lazzaro lo ha fatto. Ma certo – mi direte – era necessario perché attraverso la malattia e la morte di Lazzaro, Gesù venisse glorificato, perché così fosse chiara a tutti l’opera di Dio, perché finalmente davanti a un evento tanto straordinario avrebbero iniziato a credere anche i più determinati tra gli increduli. Ed effettivamente molti, tra i Giudei che videro, credettero (così si chiude il brano del Vangelo di questa V domenica di Quaresima). Ma – scrive Giovanni nei versetti successivi – alcuni di loro andarono dai farisei e riferirono ogni cosa. E così la risurrezione di Lazzaro non ha fatto altro che ottenere un verdetto: «Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma per riunire insieme i figli di Dio dispersi» (Gv 11,51-52). Ricordiamo questo passaggio importante (anche se non incluso nel Vangelo che la liturgia ci propone), perché in questi versetti c’è la chiave di tutto.
Ritorniamo per un attimo alla frase storica di Gesù, che lascia sbigottiti anche i suoi discepoli: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio» (Gv 11,4). Eppure Lazzaro muore e tutto lascia pensare che Gesù non muova un dito. Letteralmente resta fermo per due giorni. Assurdo se si pensa che i Vangeli non fanno altro che raccontarci le sue continue ripartenze. Ora sembra quasi che attenda la morte dell’amico. Sembra che abbia bisogno di far capire a tutti qualcosa. Ma che cosa?
Ecco, ve lo confesso: di fronte a questa frase io tremo. Perché troppe volte, in bocca anche ai migliori predicatori quel «è per la gloria di Dio» diventa una clava che cade sulla testa di chi è già un colpito dalla vita. Quella malattia, come ogni malattia e ogni morte, troppe volte la sentiamo diventare una prova, un’occasione per manifestare la nostra fede, un male permesso da Dio e persino un atto di benevolenza da parte di Colui che ci rende partecipi della sua passione. E invece no! E invece tutt’altro è il dire di Gesù, tutt’altro il suo obiettivo.
La sua è una dichiarazione ufficiale di presenza. La morte di Lazzaro diventa occasione per Gesù di ricordare a tutti che il Dio dei Padri, il Dio delle promesse, il Signore delle galassie e degli universi, il Creatore è il Presente: anche nella morte. È colui che fa suo il pianto di chi ama, la disperazione di chi si scopre a mani vuote e impotenti. Lui non ha bisogno della nostra malattia o della morte per mettere alla prova la nostra fede, lui sceglie di abitare la nostra malattia e la nostra morte facendosi accanto, tendendoci le mani, richiamandoci sempre alla vita.
Non si stanca di ripeterci che siamo eredi dello stesso Spirito di Dio, e che per questo siamo noi stessi vita. Non si stanca di aprire i mille sepolcri che ci costruiamo con le nostre mani per ricondurci a casa, nel cuore del Padre. Questa è la gloria di Dio, questo il senso stesso del dono di Gesù che raggiunge negli eventi della Pasqua il suo apice.

Luce tra le tenebre? – BUONA DOMENICA! IV DI QUARESIMA – ANNO A

Andò, si lavò e tornò che ci vedeva.

(Gv 9,7)

Nel tempo penitenziale che caratterizza la Quaresima splendono in questa IV domenica significative scintille di gioia. Adesso qualcuno mi dirà: «Letizia, sr Mariangela. Siamo in Quaresima… gioia è troppo!». E perché mai è troppo? Di gioia ci parla l’antifona di ingresso. E l’antifona di ingresso – lo sappiamo – dà sempre il tono a tutta la celebrazione. Quindi: gioia! Auguriamoci reciprocamente di poterla sperimentare, di poterla vivere nel più profondo del nostro cuore. Auguriamoci di poterla desiderare… poiché in molti hanno messo la gioia nella categoria delle cose impossibili. Una gioia fondata, una gioia motivata e consapevole, non superficiale.
La fonte della nostra gioia è la Pasqua.
È la risurrezione del Dio che si è lasciato crocifiggere per amore che ci abilita a provare gioia, che ci autorizza a desiderarla.
La gioia non è possibile solo quando qualcosa ci va particolarmente bene; e non è impossibile quando tutto attorno a noi e in noi sembra franare.
Esiste qualcosa di più profondo che nasce dalla consapevolezza di essere amati, di essere preziosi, di essere importanti per qualcuno; e questo qualcuno per noi è il Signore della vita, il Dio delle promesse, il Nazareno morto e risorto.
Le letture di questa domenica laetare ci svelano un singolare volto di Dio: ce lo fanno contemplare come colui i cui progetti poco si sposano con i nostri. Nella prima lettura leggiamo di un profeta inviato a consacrare re un giovanissimo pastore. Un profeta certamente stravolto da quelle parole divine che gli dicono quanto sbagliati siano i suoi criteri di scelta quando i suoi occhi si poggiano sul più grande e forte: «Non guardare al suo aspetto… Io l’ho scartato, perché non conta quel che vede l’uomo… il Signore vede il cuore». E così Samuele fortemente orientato dalle parole di Dio consacra non il più grande, ma il più piccolo. È una storia, questa, che si ripeterà più e più volte. E pur facendo le debite differenze è la stessa storia che vediamo accadere tra Gesù e l’uomo nato cieco.
Maestri della Legge, anziani, capi del popolo, il popolo stesso, restano tutti fortemente interdetti di fronte a quell’opera straordinaria avvenuta nei confronti di chi è palesemente fuori da ogni retta via e per giunta in giorno di sabato. Anche in questo caso la potenza di Dio si rivolge verso un escluso, un non considerato, un “fatto fuori”.
E poi, Dio stesso… chi sceglie di essere? E come sceglie di finire? Un uomo errante, preso per lo più per matto se non per bestemmiatore, condannato e crocifisso.
Eppure… proprio tutto questo ci fa dire che la gioia è possibile. Sapere di avere a che fare con un Dio illogico (rispetto alle nostre logiche) ci permette di credere nella possibilità di una vita straordinaria. Sapere di essere amati, voluti, creati, salvati dal Dio ultimo ed escluso, ci dice che per tutti noi c’è una possibilità concreta e reale di svoltare. E svoltare davvero!
Vogliamo provare a crederci? Provarci! Semplicemente provare a fidarci di colui che davvero può portare luce nella nostra vita, amore nelle nostre solitudini, speranza nelle nostre fatiche, fiducia nelle nostre delusioni.
Proviamo a tirarci fuori da noi stessi?
La Pasqua è vicina. Proviamo a lasciarci invadere dalla Luce? Gli consentiamo di capovolgerci? Dio non misura, non è misura. Lui è sovrabbondanza!

Okki aperti! ;-) – II tappa di Tour of happiness – da Ragazzi & Dintorni Novembre 2014

Okki aperti! 😉

Tour of happiness – II tappa

OBIETTIVO: offrire ai catechisti indicazioni e suggerimenti sul segno e sul video (Beati voi – II parte) proposti sul Dossier Ragazzi&Dintorni di Novembre (Catechisti Parrocchiali n.7/2014). Entriamo nel vivo della seconda beatitudine:

Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati.

il cieco_Lopez

IL SEGNO: Nell’articolo è stato presentato Bartimeo, il cieco dalla nascita a cui Gesù dona la vista. Bartimeo è solo, in un angolo, non può vedere cosa c’è intorno a lui e chi è colui che si sta avvicinando. Probabilmente aveva sentito parlare di Gesù, probabilmente immaginava e sperava che fossero proprio i suoi i passi della persona che sentiva procedere verso lui e a cui permetterà di toccare i suoi occhi!
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