I miei occhi hanno visto la tua salvezza:
luce per rivelarti alle genti
e gloria del tuo popolo, Israele.
(Lc 2,30.32)
Oggi celebriamo la festa della Presentazione del Signore. Celebriamo il suo essere tra noi, uno di noi, radicalmente con noi.
Il profeta Malachia, nella Prima lettura, ci fa cogliere l’ingresso solenne di Dio nel suo Tempio, nella storia, nel cuore del suo popolo. Leggendo il brano che la liturgia ci offre possiamo vedere con gli occhi del profeta la grandezza e lo splendore di quell’angelo dell’alleanza che tanto cerchiamo, verso cui tendiamo come fosse sorgente d’acqua in un deserto. Per quanto splendido, quel Signore degli eserciti è però altrettanto lontano.
Certamente attento al nostro destino di salvezza, tanto da purificarci come oro nel fuoco, ma ancora troppo altro rispetto a noi, rispetto a quel bambino portato nel tempio e riconosciuto dall’anziano Simeone, o dalla vigile Anna.
Ma la lettera agli Ebrei ci dice qualcosa che davvero può fare la differenza, qualcosa può aprirci a una straordinaria e potente verità. Quell’angelo dell’alleanza, quel Signore atteso che viene a noi, ha scelto di avere in comune con noi sangue e carne; ha scelto di partecipare della nostra stessa impotenza per ridurre all’impotenza quel male che ci attraversa e ci separa da lui, e ci blocca in noi stessi, e ci impedisce di amare, e non ci permette di vivere.
Colui che ogni cuore umano cerca, quell’Infinito fatto carne, che vorrebbe dare senso e sostegno a ogni vita, ha scelto di venire per prendersi cura di noi. Di noi! Non degli angeli, ma di noi, di quella povera, sgangherata, imperfetta, peccatrice, fragile stirpe di Abramo. Prendersi cura di noi. Incredibile. E quanto è rivoluzionario tutto questo! E quanto è bello!
Seppure un giorno dovessi capire di aver sbagliato tutto della mia vita, sapere che lui si prende cura di me resterebbe comunque un punto di non ritorno. Sapere che il Dio dei cieli, il Creatore degli universi, l’Onnipotente si è fatto noi per scioglierci da ogni legame, per riaprire per noi il Cielo e l’eternità è davvero la più straordinaria delle certezze, delle scoperte, delle esperienze.
È questo il Cristo che il saggio Simeone riconosce e accoglie.
È questo il Dio vicino che riempie il cuore di Anna e la fa cantare.
È questo il Salvatore annunciato che entra e stravolge la vita di due sposi, Maria e Giuseppe, poveri di beni, ma ormai ricchi di Dio.
Noi, oggi, in questa festa della luce, possiamo restare in questa certezza, luce che rischiara ogni buio, perché Dio è per noi, fatto nostra carne e nostro sangue.
Noi, oggi, possiamo essere luce, poiché – ricevendo il Dio prossimo – non dobbiamo fare altro che irradiarlo, non bloccarlo, non spegnerlo in noi.
Oggi è la festa della luce, e allora brilliamo, esattamente come Dio brilla per noi, tra noi, in noi.
UNA PREGHIERA COME SOSTEGNO
Tu, Luce del mondo
Noi ti lodiamo, Gesù, Luce del mondo,
rendici luce che illumina e rischiara.
Noi cantiamo a te il nostro grazie,
Gesù, Luce di popoli e nazioni,
orienta i nostri gesti e le nostre parole,
perché sciolgano il buio del rancore e dell’odio
e costruiscano sentieri di riconciliazione e pace.
Noi ti benediciamo, Gesù, Luce della storia,
donaci occhi che sappiano riconoscere il bene
e intelligenza che voglia perseguirlo e realizzarlo.
Amen.
DAL VANGELO DELLA DOMENICA
(Lc 2,22-40)
Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.
Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore.
Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:
«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo
vada in pace, secondo la tua parola,
perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli:
luce per rivelarti alle genti
e gloria del tuo popolo, Israele».
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