Archivi categoria: film

RAGAZZI & DINTORNI – Maggio 2011 – Cresima

NELLA TERRA DELLO SPIRITO

di Cecilia Salizzoni

Per l’ultima tappa di questo viaggio che vede l’approdo a un nuovo continente, su cui è possibile dimorare grazie al sigillo dello Spirito Santo, propongo un film di animazione canadese che traspone in immagini il racconto dell’italo-provenzale Jean Giono, L’uomo che piantava gli alberi. La storia è quella dell’incontro del giovane Giono con Elzéard Bouffier, un contadino provenzale ritiratosi a fare il pastore in solitudine in una zona arida delle Alpi Provenzali, dopo la perdita della moglie e del figlio.
È il 1913 e il giovane, che si è avventurato nel territorio disabitato e inospitale, rischia di morire di sete per il prosciugamento delle fonti di acqua e la mancanza di abitanti. Lo salva Bouffier che lo ospita nella sua casa.

Il giorno dopo scoprirà che il pastore sta piantando sistematicamente nel terreno dove porta a pascolare il gregge, le ghiande, per farne nascere querce; e ha in animo di piantare faggi e betulle negli avvallamenti che lasciano intuire una qualche presenza sotterranea di acqua. Senza preoccuparsi di chi sia il proprietario del terreno e, soprattutto, senza preoccuparsi di quello che gli uomini fanno a livello sociale e politico: cioè le guerre. Il primo conflitto mondiale, a cui è chiamato anche Giono, scoppia l’anno successivo; il secondo, venticinque anni più tardi.
Mentre le nazioni non sanno fare di meglio che distruggersi in un modo che non si era ancora visto, il contadino-pastore che non ama parlare, fa crescere una foresta che le autorità scambiano per «naturale», e questa foresta trasforma l’ambiente: riporta l’acqua, gli animali, riumanizza gli esseri umani che vi abitavano ancora e ne chiama di nuovi.
Quando Giono vi ritorna nel 1945, fatica a riconoscere i luoghi. Al posto delle rovine e delle ortiche, ci sono case con orti e giardini, e famiglie con bambini. Accanto a una fontana dove l’acqua scorre abbondante, un tiglio forse di quattro anni, già rigoglioso, è «il simbolo incontestabile di una risurrezione». Elzéard Bouffier muore serenamente due anni dopo, a 89 anni.
«Quando penso che è bastato un uomo solo, con il solo aiuto delle sue risorse fisiche e morali, a trasformare un deserto in terra promessa, scopro che malgrado tutto la condizione umana è straordinaria. E se tento il calcolo di quanto in costanza, grandezza d’animo e generosità accanita, è costato raggiungere tanto risultato, provo un rispetto immenso per questo vecchio contadino, senza istruzione, capace di realizzare un’opera degna di Dio».
I ragazzi, dunque, devono essere preparati a cogliere la ricchezza dei modi espressivi di cui si avvale il racconto e devono essere guidati a cogliere il senso del discorso da questi elementi:
• il colore in primo luogo;
• l’utilizzo delle metafore che dilatano il significato della parola con il contrappunto tra senso letterale e senso figurato (come ad esempio nel caso della fontana e del tiglio, verso la fine del film, dove il simbolo della risurrezione è integrato dall’immagine gioiosa di una mamma con il suo bambino);
• il procedere per contrasto tra l’opera creatrice di Bouffier e quella distruttrice delle guerre, come quando, al deflagrare sonoro delle bombe di Verdun, corrisponde l’esplosione vitale delle betulle piantate dal vecchio contadino;
• il sonoro;
• il movimento che caratterizza l’immagine;
• l’iconografia biblica che l’animatore dovrà evidenziare: l’analogia tra questo «atleta di Dio» e il primo uomo a cui Dio ha affidato la cura della creazione; la differenza tra i due modelli di «Adamo».
• Infine il catechista dovrà invitare i ragazzi a cogliere il nesso tra questa storia e la loro esperienza personale di ragazzi che, forse, stanno per ricevere la cresima. Ognuno condivide ciò che di significativo ha rilevato e che ritiene di attuare con la forza dello Spirito.

Questo e molti altri suggerimenti per la catechesi dei ragazzi sul numero di Maggio dell’inserto Ragazzi & Dintorni dossier mensile di Catechisti Parrocchiali.

Per vedere il sommario di Ragazzi & Dintorni clicca qui

Per info e abbonamenti:


RAGAZZI & DINTORNI – Marzo 2011 – Dossier Pietà

GUIDATO DAL CUORE

di Cecilia Salizzoni

È un film duro quello che proponiamo, un film che mette in scena un mondo spietato, arcaico e feroce, dove l’umanità sembra non riuscire a farsi strada e a trasformarsi in cultura condivisa; dove anche la religione non supera lo stadio della superstizione, e i bambini assimilano e ripetono i modelli degli adulti.
Io non ho paura, il film che Salvatores parte proprio da questa spietatezza infantile che fa il verso al mondo circostante, mettendo in scena una gara di bambini e l’imposizione di un pegno sessualmente umiliante alla bambina arrivata ultima. Subito, però, presenta anche l’obiezione a questo mondo, nella figura del protagonista Michele, 10 anni, ricci neri e volto sensibile come di cerbiatto, che prova pietà e si offre lui in cambio.
Il racconto che segue lo vedrà ripetere più in grande e in profondità lo stesso gesto verso il coetaneo, che scopre in fondo a una buca nel terreno, dove è tenuto prigioniero dai «grandi» che lo hanno rapito per chiedere un riscatto.
In fondo a questa buca scavata nella terra di un non precisato posto del profondo Sud, è incatenato appunto un bambino che ha la stessa età di Michele, ma sembra il suo opposto, biondo e chiaro di carnagione com’è, settentrionale di Milano: Filippo.
Quando Michele lo scopre, cercando gli occhiali che la sorellina ha perso nella corsa all’inizio del film, non capisce che cosa sia, perché fuori il sole è accecante, ma nella fossa è buio; Filippo è imbrattato di fango e sporcizia, ed è coperto da un telo. La prima volta vede solo un piede; poi una specie di «zombie» che lo terrorizza, e finalmente un bambino, esattamente come lui. Michele non solo ritorna alla fossa con acqua e pane acquistato con i propri risparmi, ma vi scende dentro e porta fuori, sulle proprie spalle, il bambino traumatizzato, perché riesca a convincersi di essere vivo.
«I grandi», invece, cooperano alla morte di quel bambino: manovalanza accecata dalla miseria e dal miraggio di nuovi stili di vita che i media diffondono anche in quest’angolo remoto d’Italia, come il padre di Michele; oppure vittime di una cultura maschilista, come la madre, che subisce e può solo farsi promettere dal figlio che, da grande, se ne andrà via di lì. Michele stesso, mosso dal desiderio di un’automobilina che un compagno di giochi ha ricevuto dallo zio d’America, metterà a repentaglio la vita di Filippo, rivelando il suo segreto a quel compagno che, prima, preferirebbe non sapere e, poi, vende il segreto a uno dei guardiani di Filippo, per guidare una macchina vera.
Allora le cose precipitano e, mentre Sergio, l’organizzatore milanese del sequestro, convince «i grandi» che il bambino è da eliminare perché sa troppo e le forze dell’ordine sono ormai vicine, Michele rischia di finire ammazzato dal padre, pur di far scappare Filippo.
Salvatores imposta la struttura espressiva del racconto sui contrasti tra la potenza della luce naturale saturata dall’oro dei campi di grano, e l’ombra della notte che dentro la fossa diventa perenne; tra la bellezza del paesaggio e il trogloditismo degli uomini che lo abitano.
Michele è un bambino che non ha paura di affrontare l’oscurità che lo circonda; a differenza degli altri tiene gli occhi aperti e vuole vedere fino in fondo.
La chiave espressiva dominante suggerirebbe di utilizzare il film per il dono dell’intelletto; tuttavia lo sguardo del protagonista è guidato dal cuore, un cuore che egli nutre e rafforza quotidianamente nel dialogo interiore, che gli permette di riconoscere l’altro come «uguale» a sé, e di farsene carico fino quasi al dono della propria vita.

Questo e molti altri suggerimenti per la catechesi dei ragazzi sul numero di Marzo dell’inserto Ragazzi & Dintorni dossier mensile di Catechisti Parrocchiali.

Per vedere il sommario di Ragazzi & Dintorni clicca qui

Per info e abbonamenti:

RAGAZZI & DINTORNI – Febbraio 2011 – Dossier Scienza

 

A OCCHI APERTI

di Cecilia Salizzoni

La scienza effusa dallo Spirito Santo risale a Dio, servendosi di ciò che l’intelligenza del cuore coglie nelle cose create. Se il cuore umano pensa di trovare la felicità nelle creature grazie ad essa cambia orientamento e fissa l’attenzione su Dio, riconoscendolo come vero ed unico Bene
È l’esperienza di ogni conversione, probabilmente; tuttavia quella che per prima queste parole evocano e che corrisponde ad esse quasi alla lettera, è la vita di Francesco, il poverello d’Assisi.
La radicalità del suo volgersi dai beni terreni al regno di Dio, il suo rinascere proprio attraverso la percezione nuova delle creature, in cui leggere «il segno» del Creatore; il rovesciamento di valore rispetto al sentire comune, per cui la più piccola delle creature è grande nel progetto di chi l’ha creata, mantengono, dopo otto secoli, una forza esemplare con cui ogni cristiano non può fare a meno di confrontarsi.
Lo ha fatto spesso anche il cinema, fin dalle origini.
All’interno di questo percorso si propone il film di Zeffirelli Fratello sole, sorella luna (1972), perché, nonostante  siano passati quasi trenta anni dalla sua uscita, è quello che sviluppa nel modo più lineare e chiaro la trasformazione di Francesco per opera dello Spirito.
La struttura tematica, infatti, è presentata compiutamente già nel prologo che lascia presagire nei modi di messa in scena, in quadro e montaggio, il percorso del protagonista: da gaudente e viziato figlio di papà a figlio di Dio, lietamente povero tra i poveri. Il padre, invece, pur amandolo, non riuscirà mai a capire la trasformazione del figlio.
La malattia rappresenta il punto di crisi e di rinascita: nel letto Francesco è come morto e, come morto, si era visto nello specchio, con indosso l’armatura, prima di partire per la guerra. Il contrasto tra quell’immagine e quella sul tetto in camicia da notte svolazzante, mentre imita il volo degli uccelli, è netto e dice il percorso di liberazione.
Lo ribadirà la scena in cattedrale, dove Francesco non regge il peso della deforma zione operata sulla Chiesa dal sentire mondano; perfino il volto del crocifisso appare sdegnosamente morto in croce sotto i segni del potere. La fuga da quella Chiesa lo conduce verso un’altra chiesa, in rovina, dove un altro crocifisso ha occhi aperti, eloquenti e miti.
Tutta la sequenza gioca sul motivo dell’aprire gli occhi, fin da quando Francesco, nel letto-sepolcro, li riapre al cinguettio di un passero, e la messa in quadro sottolinea «il disvelamento» che quel richiamo opera in lui. Non è sentimentalismo ecologico, come l’emotività della scena può indurre a credere: questa e le scene successive di immersione nella natura devono essere lette alla luce di quanto Francesco dirà davanti al Papa: «Guardate gli uccelli del cielo…».

Nell’udienza di Innocenzo III si ripete, amplificata, la figurazione della Chiesa di Assisi: anche il Papa, attorniato da una corte «imperiale», appare alienato sotto la cappa d’oro di piviale e triregno. Come il Crocifisso di Assisi, ha gli occhi quasi chiusi, ma li apre mentre ascolta Francesco e li riaprirà, prendendo consapevolezza del gesto che compie per riportare i frati alla sua presenza. Il movimento della camera va a scoprire il volto del Cristo Pantocrator alle sue spalle, che ha occhi aperti e parlanti, mettendolo in relazione diretta con il suo Vicario in terra, che ora si libera del piviale e resta in tunica bianca (come Francesco sul tetto), poi scende l’altissima scalinata per portarsi a livello di Francesco e riconoscerne la verità: «Dio ti ha dato il più prezioso dei doni, la grazia di avvicinarti a lui attraverso le sue creature» e la missione.

La scheda operativa del film e molti altri suggerimenti   per la catechesi dei ragazzi sul numero di Febbraio dell’inserto Ragazzi & Dintorni dossier mensile di Catechisti Parrocchiali.

Per vedere il sommario di Ragazzi & Dintorni clicca qui

Per info e abbonamenti:

RAGAZZI & DINTORNI – Dicembre 2010 – Dossier Consiglio

LA COSCIENZA DI SOPHIE

di Cecilia Salizzoni

Forse è il dono di cui più avvertiamo il bisogno e la mancanza, lo Spirito di consiglio.
Viviamo, infatti, un tempo che ha letteralmente perso la bussola, tra tentazioni di onnipotenza e incapacità di realizzare concretamente la più piccola cosa.
Come muoversi di fronte a una realtà complessa che chiede l’intervento personale di ciascuno per rendere il mondo più umano?
Ai ragazzi del post-cresima, si può proporre di conoscere Sophie Scholl e La Rosa Bianca, il gruppo di universitari tedeschi che scelsero di resistere al nazismo e invitarono il loro Paese a fare altrettanto, attraverso la diffusione di sei volantini e, soprattutto, attraverso il dono della vita.
Il film parte dall’arresto dei due fratelli Scholl, Hans e Sophie, dopo il lancio del sesto volantino nell’Università di Monaco, e narra i sei giorni successivi: gli interrogatori, l’arresto dell’amico Christoph Probst, il processo immediato e l’ancor più immediata esecuzione della condanna alla ghigliottina.
Sophie non aveva ancora 22 anni, Hans e Christoph tre più di lei.
Concentrandosi sul contraddittorio tra Sophie e Robert Mohr, inquisitore della Gestapo, il regista riesce a far emergere la grandezza straordinaria di questi ragazzi che seppero vedere con chiarezza e denunciare ciò che un intero Paese per ottusità spirituale, viltà o interesse, non volle vedere fino alla fine: l’annientamento morale e materiale che la Germania avrebbe scontato duramente negli anni successivi al crollo del Terzo Reich.
Isolando dal contesto sociale lo scontro tra Sophie e il Potere e puntando sulla dimensione spirituale della protagonista, la regia attenua la dimensione storica dell’evento per sottolineare l’attualità di una scelta che fu quella di non lasciarsi ridurre a «massa», priva di anima, priva d’identità, priva di libertà, priva di compassione.
Ieri, a farlo, era uno Stato «totalitario» che voleva conquistare il mondo attraverso l’ideologia.
Oggi è una società «globale» che ha come valori il denaro e il benessere, il consumo di beni materiali e il piacere individuale.

Ieri, in Germania, è stato il cristianesimo autentico a offrire gli strumenti per prendere coscienza e resistere: quel cristianesimo che annuncia un umanesimo integrale e valorizza la bellezza della creazione, dell’arte, del pensiero.
È un film di personaggi e dialoghi, dove la recisione di ogni contatto con la realtà esterna, ma anche tra i due fratelli, mette in evidenza la loro capacità di mantenere la rotta, nella fedeltà alla propria coscienza, di fronte alla violenza del potere che ha sovvertito i valori di fondo e ha privato le persone della libertà interiore.
Per questo motivo i ragazzi devono essere preparati alla visione e invitati a fare attenzione ai piccoli indizi che il regista offre, all’interno della messa in scena, sulle motivazioni interiori della protagonista e sull’attualità della sua scelta, per riuscire a rispondere a domande come:
Qual è la sorgente a cui attinge Sophie?
• Che cosa la muove?
• Perché non accetta l’alternativa di Mohr?
• Chi è più «adulto» tra la piccola Sophie e il grande inquisitore? Perché?
• Che cosa significa essere adulti?
• Che cosa significa essere «adulti nella fede»?
Il sentire comune oggi porta a giudicare «sconsiderati» questi giovani che avrebbero buttato via la loro vita inutilmente, invece di servire alla Germania nella ricostruzione: è stato davvero «inutile» il loro sacrificio? Che cosa garantisce che il dono della vita non sia tale?
«Bisogna avere un cuore tenero e uno spirito duro» scriveva e si ripeteva Sophie: che cosa voleva dire?
Oggi, cosa ci viene richiesto per coltivare una tale tenerezza del cuore e durezza dello spirito?

Questi e molti altri suggerimenti per la catechesi dei ragazzi sul numero di Dicembre dell’inserto Ragazzi & Dintorni dossier mensile di Catechisti Parrocchiali.

Per vedere il sommario di Ragazzi & Dintorni clicca qui

Per info e abbonamenti:

RAGAZZI & DINTORNI – Ottobre 2010 – Dossier Sapienza

COME UNA BREZZA…

di Cecilia Salizzoni

In tempi come il nostro che sovraespongono il dato cognitivo e, nei ragazzi, coltivano l’intelligenza dimenticando il cuore; in un tempo che rischia di presentare la vita come un problema di algebra superiore, di fronte al quale ci si sente spesso inadeguati, la visione di un film come Forrest Gump rappresenta un’esperienza di conversione dello sguardo e di riconciliazione; annuncia che ciascuno deve camminare con le proprie gambe e che le più malmesse possono diventare quelle di un atleta, se c’è ciò che conta veramente.
Proprio da un paio di scarpe da ginnastica logore, in contrasto con il resto dell’abbigliamento, parte il lungo racconto di Forrest Gump seduto su di una panchina di Savannah, alla fermata dell’autobus.
Apparentemente dimentico del tempo e di ciò che ha da fare, Forrest condivide la sua esperienza di vita con chiunque lo stia a sentire, come un maestro d’altri tempi e altre culture, solo più naïf.
Poi si alza e corre verso la tappa che completa e dà pienezza al suo percorso: la corresponsione d’amore e la paternità.
Come è arrivato a tanto, lui, quoziente d’intelligenza 75 contro un minimo di 80, richiesto dalla scuola pubblica; una schiena talmente aggrovigliata da impedirgli di camminare; e uno stato sociale che non aiuta, figlio unico di madre single, nell’Alabama d’inizio anni Cinquanta?
La sua risposta è la scatola di cioccolatini che offre agli ascoltatori occasionali: «La vita è uguale a una scatola di cioccolatini, non sai mai quello che ti capita». È la lezione che la madre ha tratto dalla propria esperienza e ha trasmesso al figlio.
«Mamma diceva sempre che Dio è misterioso»… Forrest non cerca di chiarire questo mistero. Lo contempla, vi si immerge, apre il cuore ad esso: proprio per questo, pur non cercando, è trovato da Dio.
L’atteggiamento di Forrest che ha il suo perno nel cuore, lo mette in contatto naturale con Dio, e gli permette di vedere ciò che sfugge agli intelligenti: la complessa trama del mondo terreno che sembra autonoma e in balìa del caso, ma che invece è attraversata da un disegno superiore.

Dietro la forma comica e paradossale del racconto, individuiamo la parabola che risponde alla preghiera di Gesù: «Ti benedico, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli» (Mt 11,25).
Ricostruiamo il percorso del protagonista e mettiamo a fuoco la sua sapienza.
Forrest è consapevole di non essere intelligente, ma è anche cosciente di qualcosa che fa sì che lui non sia stupido, al contrario, fa di lui un uomo. Come lo dimostra nel corso del film?
Nell’ultima scena Forrest dice al figlio che sta salendo sullo scuolabus: «Senti Forrest! Non… volevo dirti che ti voglio bene. Starò qui quando tornerai». Perché si è interrotto e ha modificato la frase?
Nella scena precedente, sulla tomba di Jenny, aveva affermato: «Se hai bisogno di qualcosa non sarò molto lontano». È soltanto una battuta, oppure dice una verità sul modo di essere al mondo di Forrest?
Il modo in cui termina il film riprende l’inizio, variandolo (analizzate immagini, musica, movimenti della piuma, il libro e il luogo in cui sta Forrest). Che cosa ci suggerisce il regista? Che relazione c’è tra la piuma e il protagonista?
«Mamma diceva sempre che morire fa parte della vita. Magari non fosse così… – sulla tomba di Jenny, Forrest arriva a un’ipotesi teologica sulla condizione umana – Non lo so se abbiamo ognuno il suo destino o se siamo tutti trasportati in giro per caso, come da una brezza. Ma io credo: può darsi le due cose…». Che cosa vuole suggerire con questa riflessione?

Questi e molti altri suggerimenti per la catechesi dei ragazzi sul numero di Ottobre dell’inserto Ragazzi & Dintorni dossier mensile di Catechisti Parrocchiali.

Per vedere il sommario di Ragazzi & Dintorni clicca qui

Per info e abbonamenti: