… sarai chiamata Mia Gioia …
Dal libro del profeta Isaìa (Is 62, 1-5)
II DOMENICA del TEMPO ORDINARIO – Anno C
L’incontro con Dio è una festa ben riuscita. Una festa in cui sentiamo la gioia dilagare e riempire ogni singola fibra del nostro corpo: perché siamo attorniati dai nostri amici, perché siamo innamorati, perché tutto ci sorride. Ma esiste anche una visione oscura della fede e di Dio,
che sostituisce alla gioia il dovere, che scivola nell’obbligo del precetto, che occhieggia ai sensi di colpa e fa del peccato il metro di giudizio di una vita. Così si era ridotta l’esperienza di Israele, la sposa. Così, spesso, abbiamo ridotto la Chiesa, la sposa. Perciò Giovanni inizia il primo sei suoi sette miracoli con un matrimonio. Perciò dice che quello fu il segno numero uno, il principale. Perciò leggiamo questa pagina all’inizio dell’anno: per riscoprire che credere è gioire.
STRANEZZE
Quello che Giovanni racconta è il più strano dei matrimoni: manca del tutto la sposa, lo sposo è coinvolto solo per ricevere i complimenti dal sommelier per una cosa che, in teoria, non lo riguarda e per cui non ha fatto assolutamente nulla. A margine notiamo la scortesia di Gesù verso sua madre, che non chiama per nome e che compare solo qui e sotto la croce e, ciliegina sulla torta, l’assurda presenza di giare di pietra da cento litri per la purificazione nella casa in cui si festeggia: cosa semplicemente illogica ed impossibile. Le giare in pietra c’erano, certo, ma nel cortile del Tempio a Gerusalemme, certamente, non a Cana. Sono tutti indizi che ci aiutano a capire che Giovanni, al solito, sta giocando a nascondino con noi. Osiamo, allora.
TRISTEZZE
Il matrimonio fra Israele e il suo Dio langue, è come quelle giare: impietrito e imperfetto (sono sei le giare: sette – numero della perfezione – meno una): la religiosità di Israele è
stanca e annacquata, non dona più gioia, non è più festa. Il popolo vive una fede molto simile alla nostra religiosità contemporanea, stanca e distratta, travolta dalle contraddizioni e dalla quotidianità. Nemmeno il capo del banchetto, i responsabili della vita religiosa dell’epoca, i sacerdoti, si accorgono della mancanza della gioia. Maria, la prima tra i discepoli, se ne accorge, e invita Gesù a intervenire. I servi fedeli, figura centrale del racconto, sono coloro che tengono in piedi il matrimonio fra Israele e Dio, coloro che – con fatica e senza capire – obbediscono, che perseverano, che non mollano. Ancora non lo sanno, ma il loro gesto fedele porterà frutto e rianimerà la festa. Quando continuiamo a credere, ad appartenere alla Chiesa nonostante i suoi evidenti limiti, quando non molliamo nelle nostre tristi periferie e ci raduniamo per pregare, per parlare di Cristo, per annunciare la Parola, stiamo riempiendo le giare.
La nostra fedeltà è necessaria al miracolo del vino nuovo! È Gesù, lo sposo dell’umanità, che trasforma l’acqua dell’abitudine nel vino della passione, è lui che riceve i complimenti da noi discepoli ubriacati dall’ebbrezza della Parola.
DA MADRE A DONNA
È Maria che si accorge della mancanza del vino. È sempre lei che, discretamente, vede che non c’è più gioia nella nostra vita. E interviene. Gesù ascolta la sua richiesta e le risponde malamente (all’apparenza): “Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora”. Che rispostaccia! Che maleducato! No, Maria ha capto benissimo cosa sta dicendo suo figlio. Gesù sta dicendo alla madre: “Io sono un perfetto sconosciuto, il falegname di Nazareth, tuo figlio. Se intervengo ora, madre, mi allontanerò per sempre da te, tu per me sarai una delle tante donne che incontrerò”. E Maria accetta. E dice ai servi, e a noi: “Fate quello che vi dirà”.
Quanto è difficile tagliare il cordone ombelicale che ci lega ai figli! Quanto più duro deve essere stato, per Maria, rinunciare ad avere Dio per casa per donarlo (davvero!) al mondo. Maria bene-ama suo figlio e lo lascia andare. Scomparirà, Maria, nel vangelo di Giovanni, per riapparire, ancora e solo, donna sotto la croce.
Per tornare a diventare madre, ma di tutti i discepoli, questa volta. E l’ultima sua parola è un invito a seguire il figlio.
GIOIA
Così è la fede, amici: un matrimonio in cui il vino non viene mai a mancare, un incontro che, sempre, suscita gioia e passione. Se, invece, la fede, per voi, è noiosa e siete cristiani solo per dovere, piacevole come andare dal dentista, delle due cose l’una: o state vivendo un faticosissimo momento, e allora chiedete al Signore di trasformare l’acqua in vino e dimorate nella fedeltà, come i servi, o proprio non siete presenti al banchetto nuziale. Così inizia l’anno nuovo, con semplicità e stupore. Qualunque cosa accadrà, quest’anno è l’anno in cui vogliamo dare al Signore la nostra fedeltà imperfetta, la nostra vita pietrificata, per vederla trasformare nel vino nuovo del Regno.
(PAOLO CURTAZ)
che sostituisce alla gioia il dovere, che scivola nell’obbligo del precetto, che occhieggia ai sensi di colpa e fa del peccato il metro di giudizio di una vita. Così si era ridotta l’esperienza di Israele, la sposa. Così, spesso, abbiamo ridotto la Chiesa, la sposa. Perciò Giovanni inizia il primo sei suoi sette miracoli con un matrimonio. Perciò dice che quello fu il segno numero uno, il principale. 











che solo le donne, somiglianti a Dio, possono vivere. Il Verbo cresce dentro di lei e con la Parola fatta carne crescono anche i tentennamenti. Maria sale da Elisabetta: forse lei saprà darle una risposta definitiva, forse lei saprà dirle che sì, è tutto vero. E accade. Elisabetta si asciuga le mani nel grembiule e riconosce la piccola Maria (ormai si è fatta donna). Le si avvicina sorridendo e scuotendo la testa. Come hai fatto a credere?, le dice.
consunta del rotolo di Isaia. È vero,
come un neonato, è una felicità accessibile anche al povero, anzi forse più ancora al povero perché più disposto, più accogliente.

Tutti, bene o male, cerchiamo la felicità ma non sappiamo bene a chi dare retta. Anche la Bibbia ha qualcosa da dirci:
E se avesse ragione lui? Se, sul serio, la vita non fosse quel caos inestricabile che ci dona più fatica che gioia? È esigente Giovanni, duro come solo i profeti sanno essere. Qualcuno, timidamente si avvicina al profeta e chiede:
Giovanni ha ragione: dalle cose piccole nasce l’accoglienza. Perché forse anche a voi, come a me, succede di immaginarmi capace di improbabili eroismi: partirò in Africa volontario – e intanto non vedo la mia dirimpettaia anziana sola – andrò una settimana in monastero nel silenzio – e intanto non trovo neppure cinque minuti di preghiera al giorno – dedicherò del tempo alla riflessione – e non ho neppure il coraggio di depennare qualche riunione dall’agenda al collasso… Giovanni ha ragione, fai bene ciò che sei chiamato a fare, fallo con gioia, fallo con semplicità e diventa profezia, strada pronta per accogliere il Messia. Era normale per i pubblicani rubare, normale per i soldati essere prepotenti, normale per la gente accumulare quel poco che guadagnava.
Arriva il Cristo, è lui la risposta a cosa dovete fare, è lui colui che brucia dentro, che dà forza. Giovanni ancora non lo conosce eppure il suo cuore pulsa di gioia.
iovanni ha già il cuore colmo di gioia anche se ancora aspetta, anche se ancora non vede. Ma già gioisce. L’annuncio che vi faccio, la “buona novella” in mezzo a tante orribili notizie che ci raggiungono è proprio questa: 

Certo, non è facile e tutto ci rema contro: la crisi economica, il clima dolciastro, lo scippo natalizio perpetrato dal mercato che fa leva sui buoni sentimenti, le difficoltà della vita di tutti i giorni. Non è facile, ma è possibile:
detengono in mano il potere assoluto, sanno di potere decidere i destini dei popoli, si sentono e sono grandi. 





A che è servita la presenza di Cristo?
E lo fa per fare un’affermazione forte, di speranza, di gioia:
Le ubriachezze: il nostro mondo ci invita a fare esperienza di tutto, a osare, a sperimentare. E alla fine ci ritroviamo a pezzi. Attenti, amici, a non cadere nell’inganno che le sirene del nichilismo ci propongono: abbiamo bisogno di unità, non di frantumazione. E questa scelta compiamola non in rispetto ad una ipotetica scelta morale, ma nella consapevolezza che Dio solo conosce la verità dell’essere. Gli affanni della vita che esistono e non possiamo eliminare possiamo però controllarli 

“Dunque tu sei re?”