Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza,
perché io potessi portare a compimento
l’annuncio del Vangelo.
(2Tm 4,17)
Oggi sono proprio felice di poter commentare una solennità a me molto cara per una serie di motivi. Indubbiamente, anche in forza della mia specifica vocazione, mi sta a cuore Paolo, l’Apostolo delle genti, ma oggi, soprattutto in questo momento, mi sta a cuore riflettere insieme sulle due colonne della Chiesa, Pietro e Paolo, appunto.
Due colonne, per noi emblema di solidità, compattezza, forza, stabilità. Come dire, due apostoli su cui abbiamo costruito tutto il resto. Eppure, se proviamo a guardarle da vicino, queste due colonne ci danno subito il senso della differenza. E oggi, in un mondo che sta affilando le armi per distruggere ogni possibilità di differenza, non riesco a non pensarci.
Negli ultimi secoli, ci siamo abituati a pensare la Chiesa come una struttura estremamente fissa, protetta proprio dalla sua compattezza. E guai a uscire fuori dai binari segnati. Ci siamo abituati a considerare un fallimento il contraddittorio, arrivando a metterlo fuori dalla porta delle nostre realtà ecclesiali (siano esse comunità religiose, parrocchie, movimenti, diocesi…). Ci siamo abituati a pensarci dentro canoni ben stabiliti e soprattutto chiaramente rispettati. E tutto questo lo abbiamo eretto a simbolo di efficienza e perfetto funzionamento. Abbiamo pensato che il regno diviso in sé stesso fosse null’altro che il classico elemento fuori dal coro, da cui quindi guardarsi e prendere sane distanze… per proteggere il regno ovviamente.
Ma poi ci troviamo davanti Pietro e Paolo, e a capire che non è sempre stato così ci vuole davvero solo un attimo. Pietro e Paolo sono due colonne dagli stili architettonici decisamente differenti. In loro tutto era differente: punti di partenza, punti di arrivo, esperienze, formazione, orizzonte culturale, obiettivi missionari, stili di evangelizzazione. Tutto era talmente differente da arrivare anche al contrasto dichiarato.
Ma Pietro e Paolo, anche presi singolarmente, non possono certo essere definiti colonne compatte, forti e stabili. Men che meno colonne perfettamente allineate tra loro. Di Pietro ci sono note molte pagine di Vangelo che fanno venir fuori l’uomo, la sua fragilità, i suoi tentennamenti, l’andare fuori dai binari segnati dal Maestro. E questo sia prima che dopo la risurrezione di Gesù. Che dire di Paolo? Temperamento tosto e a tratti difficile e spigoloso. Lo riconosce da solo. E gli Atti degli Apostoli come le sue lettere in più occasioni lo ribadiscono.
Eppure di loro il Signore si è servito, rendendo la loro fragilità, la loro debolezza, e al tempo stesso la loro natura caparbia e determinata, uno strumento del suo Regno, del suo Vangelo, della sua salvezza.
Oggi, ci troviamo a ringraziare Dio per aver posto come fondamento della sua Chiesa due colonne tra loro non omogenee, per dire a noi che la nostra fede non può e non deve tendere all’omologazione, ma all’incontro con il Risorto, alla costruzione di una nuova fraternità tra sorelle e fratelli battezzati, all’edificazione non di nostre strutture ma del suo regno, sempre capace di reinventare vie di giustizia, liberazione, umanità, pienezza di vita, uguaglianza, pace.
È difficile? Sì.
È faticoso? Sì.
E Pietro e Paolo di fatiche, di superamenti, di difficoltà, di pericoli di morte, di dure battaglie anche con la propria fragilità ne sono l’emblema. Ma entrambi, nelle letture che la liturgia oggi ci dona, ringraziano.
Entrambi si accorgono dell’opera di Dio.
Entrambi riconoscono di essere stati da lui scelti, salvati, custoditi.
Entrambi alla fine della loro vita potranno dire di aver corso verso un’unica meta: l’annuncio del Vangelo.
Entrambi potranno dire di aver scelto un unico centro: Dio, le sue vie, le sue genti, la sua salvezza.
E noi di questo oggi lodiamo il Padre!
UNA PREGHIERA COME SOSTEGNO
Per Pietro e Paolo
Noi ti lodiamo, Padre,
per i santi Pietro e Paolo,
colonne della Chiesa,
colonne anche della nostra fede.
Le loro divergenze ci insegnino a vivere
una fede fatta di ricerca e differenze,
di cadute e nuovi affidamenti,
di fragilità e ripartenze.
Il loro diverso modo di donarti al mondo
sia per noi via per un’evangelizzazione
davvero nuova.
La loro fede appassionata,
radicale, sia per noi uno stile,
un traguardo, una possibilità.
Noi ti lodiamo, Padre,
perché fin dalle origini hai voluto
una Chiesa ricca di differenze.
DAL VANGELO DELLA DOMENICA
(Mt 16,13-19)
In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti».
Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».
E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».
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Sofferenza, dolore, morte, incomprensione: sono alcune delle parole che non vorremmo mai dover usare; sono logiche da perdenti o, per dirla più precisamente, da sfigati! Eppure gli insegnamenti dello strano maestro di Nazaret ne sono pieni…

certi di Colui che li ha mandati e spinti da una Parola d’amore che li precede. Liberi e leggeri per entrare in ogni casa, in ogni vita, in ogni storia, in punta dipiedi, senza far rumore, regalando la Parola che salva, seminando la misericordia del Padre, diffondendo guarigione e liberazione. Sono i messaggeri del Vangelo, mandati a due a due tra la gente.