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Buona domenica! – I di Quaresima (Anno B)

«Stava con le bestie selvatiche e
gli angeli lo servivano»

Dal Vangelo di Marco (Mc 1, 12-15)
I DOMENICA DI QUARESIMA – Anno B

Via le maschere, adesso! Quelle di Carnevale, certo, ma soprattutto quelle che indossiamo sempre. E’ iniziata la Quaresima, il tempo che ogni anno ci viene donato per tornare all’essenziale, per tornare a noi stessi, per fare in modo che l’anima ci raggiunga, per incontrare Dio. Lo desideriamo, certo, ma sappiamo bene quanto sia difficile conservare la fede, fare del Vangelo il metro di giudizio della nostra vita, restare in intimità con noi stessi. Questo tempo di essenzialità ci prepara alla grande festa della Pasqua e dobbiamo vegliare finché le tante iniziative proposte dalle parrocchie in queste settimane non ci giungano abitudinarie e fiacche. Non lasciamo la maschera che indossiamo per indossare la maschera del penitente pensando, così, di far piacere a Dio. Il problema non è mangiare il prosciutto di venerdì, o mettere da parte dei soldi per le missioni, né fare le facce da mortificati, ma vivificare la nostra fede. Come Gesù è entrato nel deserto per decidere come affrontare la sua missione, così anche noi entriamo del deserto per mettere a fuoco le scelte che vogliamo fare. Certo: leggendo il vangelo di Marco si resta piuttosto delusi: l’evangelista sintetizza le tentazioni di Gesù in due soli versetti, senza entrare nel dettaglio. Ma stiamo imparando a diffidare dell’apparente semplificazione di Marco. Le sfumature che contraddistinguono il suo racconto sono un universo da scoprire.

LO SPIRITO
È lo Spirito che spinge Gesù nel deserto per soddisfare il suo desiderio di verità, di preghiera, di silenzio. Lo abbiamo già incontrato, di notte, da solo, a pregare il Padre, il Maestro.  Ora lo ritroviamo per un lungo periodo a concentrarsi solo sul suo rapporto con Dio. Avessimo il coraggio anche noi di imparare il silenzio! Di scoprire una preghiera fatta di ascolto! Di osare, sospinti dallo Spirito, qualche giorno all’anno da dedicare allo spirito! Avessimo anche noi il coraggio di ridire al nostro cristianesimo tiepido che lo Spirito ci spinge! Che ci obbliga all’interiorità!
Per quaranta giorni Gesù resta nel deserto, tentato da satana. Non è una parentesi nella sua vita: i quaranta giorni, nel cammino dell’Esodo, indicando una generazione, cioè una vita.  Per tutta la vita Gesù ha voluto stare in contatto intimo con Dio, nel deserto del suo cuore.  Per tutta la vita Gesù ha combattuto contro colui che divide, contro l’avversario, il satana. Il termine usato da Marco, uno dei tanti a sua disposizione, non indica, in questo caso, la personificazione del male, ma lo spirito maligno, l’avversario, il divisore. La parte oscura della realtà che ci mette a dura prova, continuamente. Esiste il male e ci porta alla paralisi, come dicevamo domenica scorsa. Esiste ed agisce continuamente nelle nostre vite. Siamo liberi ed è impegnativo scegliere la parte luminosa della realtà, quella che proviene da Dio. Anche noi a volte abbiamo l’impressione di essere sempre in battaglia.  È consolante sapere che anche Gesù ha vissuto così. E ha vinto.

FIERE E ANGELI
Fiere e angeli lo servono. Che significa? Gli esegeti danno due spiegazioni, scegliete voi quella che vi convince di più. Forse Marco sostiene che Gesù sta creando una nuova realtà. L’uomo che vive in armonia con il creato, con le bestie feroci, richiama lo stato iniziale di Adamo. Come a dire: Gesù è il nuovo Adamo.  Ma, aggiungo io da birichino, come a dire che nel deserto il Maestro ritrova l’armonia primigenia, e anche noi. Cosa altro dobbiamo sentirci dire per riappropriarci del silenzio e della preghiera? Forse Marco si riferisce alle fiere della profezia di Daniele: lì indicavano le grandi potenze straniere dell’epoca, qui indica i poteri contro cui Gesù deve fare i conti (Roma, il sinedrio, i farisei…) ma, anche, i poteri che riconoscono la supremazia del Signore.
La nostra vita è come un tessuto: la trama siamo noi a disegnarla, ma deve essere necessariamente intrecciata con l’ordito. La sensazione che la nostra vita non vada da nessuna parte ci deriva, forse, dal fatto che ci illudiamo di intessere una stoffa senza un ordito a cui appoggiare le nostre trame. Gli angeli, in questo caso, indicano le tante presenze che Gesù, e noi, incontriamo nel nostro percorso di fede e che ci riportano verso Dio. Un amico, un prete, un evento, un libro possono diventare angeli che ci aiutano a superare le tentazioni.

GALILEA
Marco è l’unico che lega la fine del deserto con l’inizio della predicazione in Galilea. Non entriamo nel deserto per restarci, non costruiamo un mondo a parte, ma il superamento della tentazione e il ritorno all’armonia iniziale, conseguiti grazie all’aiuto dei tanti inviati con cui Dio accompagna il nostro cammino ci spingono a diventare testimoni. Credibili.
Buona Quaresima, cercatori di Dio, lasciamo che lo Spirito ci spinga nel deserto.

(PAOLO CURTAZ)

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Buona domenica! – Mercoledì delle Ceneri

«Laceratevi il cuore e non le vesti»

Dal libro del profeta Gioèle (Gl 2, 12-18)
MERCOLEDI DELLE CENERI

Se in questo Mercoledì delle Ceneri qualcuno si presentasse in mezzo a noi girando per le strade, nei luoghi di lavoro e di studio con gli abiti strappati, seminudo e lacero, è molto probabile che qualche pietosa e anonima telefonata lo farebbe velocemente prelevare e ricoverare in qualche casa di cura. Se ci capitasse di vedere qualcuno impegnato a far rimanere visibile sulla fronte per tutta la durata della Quaresima la cenere ricevuta durante la Messa del mercoledì, scuoteremmo la testa disgustati dall’inutilità e dall’ostentazione del suo gesto.
È ovvio che non ci occorrono spiegazioni complicate per chiarire che cosa intende il profeta Gioèle quando esorta: “Laceratevi il cuore e non le vesti”. Il simbolo delle vesti strappate e del cuore lacerato è così chiaro ed eloquente che per capirlo non c’è bisogno di aver studiato né l’ebraico né le figure stilistiche del linguaggio biblico. L’immagine del cuore lacerato fa subito intuire che siamo di fronte ad una decisione seria in merito ad un cambiamento di vita radicale e che non si tratta solo di un gesto esterno limitato ad un determinato periodo di tempo.  Quanti propositi quaresimali, però, sono davvero un ritorno radicale al Signore misericordioso e pietoso e quanti invece solo un esteriore strapparsi le vesti che – passati i quaranta noiosi e tetri giorni – vengono di nuovo ricucite come se niente fosse?

(ANNA MATIKOVA, fsp)

Per riflettere con la Chiesa…

Messaggio di Benedetto XVI per la Quaresima 2012
(clikka e scarica)

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Buona domenica! – VII T.O. (Anno B)

«Che cosa è più facile: dire al paralitico
“Ti sono perdonati i peccati”, oppure dire
“Àlzati, prendi la tua barella e cammina”?»

Dal Vangelo di Marco (Mc 2, 1-12)
VII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno B

Il lebbroso, domenica scorsa, ha chiesto di essere purificato e Gesù lo ha esaudito. La lebbra, dicevamo, è la malattia della solitudine, dell’assenza di contatto fisico, del senso di colpa. L’evolversi della malattia corre parallelo all’evolversi dell’abisso morale in cui si cade: i lebbrosi erano convinti, come l’approssimativa visione di Dio lasciava intendere, di essere puniti per qualche colpa nascosta. Non c’era compassione verso i lebbrosi, né verso gli ammalati, in genere. La compassione è un sentimento entrato nel mondo religioso da quando un falegname di Galilea si è identificato con gli ammalati.
Oggi incontriamo nuovamente un ammalato, un paralitico. E Gesù lo libera dai suoi peccati e, davanti allo scetticismo degli scribi, lo guarisce fuori, dopo averlo guarito dentro. Non lo guarisce subito, la chiassosa testimonianza del lebbroso ha messo a dura prova il Maestro che non vuole essere scambiato per un guaritore. Lo guarisce quando vede i devoti scettici e polemici con la sua pretesa di donare il perdono divino. Sì, c’è una continuità nei due racconti: anche il peccato, in un certo modo, è un lebbra che ti consuma.

DOMANDE
Perché costui parla così? La domanda posta dagli scribi è al centro del racconto, il punto focale della narrazione, secondo gli esegeti. È la domanda che si pone il discepolo davanti a quest’uomo che pretende di liberare il paralitico dal peccato. Hanno ragione gli scribi scettici: solo Dio può liberare dai peccati. Se Gesù libera il paralitico dal suo peccato, e conferma questa liberazione con la guarigione, allora la sua identità crea problema.
Tutto il vangelo di Marco ruota intorno a questa domanda: chi è veramente il Nazareno? Marco dona la sua testimonianza: il titolo che usa, figlio dell’uomo, il più usato nel suo vangelo per indicare Gesù, richiama l’Antico Testamento dove il termine viene usato per indicare un uomo con una prerogativa divina ma anche, in altri casi, come segno di umiltà. Le due cifre del mistero di Gesù: l’umanità e la divinità, sono presenti sin dall’inizio. Ma ci sono molti altri particolari, nel racconto, che ci allargano il cuore.

NOMI E SPAZI
Il racconto definisce l’ammalato semplicemente paralitico. È identificato con la sua malattia, con la tragica conseguenza della sua patologia. La malattia ha invaso ogni suo spazio mentale, al punto da togliergli identità. Identità che Gesù gli restituisce: viene chiamato figlio. Noi non siamo la nostra malattia, le nostre disgrazie, i nostri peccati. Noi siamo anzitutto e per sempre figli.
E anche l’annotazione dello spazio è importante: la folla fa ressa davanti alla casa di Pietro, è accalcata. Quella folla che, due domeniche fa, cercava Gesù per “costringerlo” a tornare, lui che invece vuole andare altrove. Questa chiusura si apre, improvvisamente, quando qualcuno sfonda la terrazza fatta di canne e terra che copre l’abitazione. Il movimento non è più orizzontale, ma verticale. E le cose cambiano: il paralitico, scopertosi figlio, torna a casa sua tenendo in mano la barella, la folla anonima se ne va, lodando Dio, diventando testimone della meraviglia che si sta compiendo. Come sarebbe bello se anche noi la smettessimo di accalcarci intorno alle nostre piccole convinzioni per essere finalmente la Chiesa sognata da Dio!

PECCATO
Oggi non si pecca più, meno male! Per peccare bisogna almeno fare il kamikaze o stuprare i bambini, per il resto sono solo cattive abitudini o innocenti trasgressioni. Forse è una reazione ad una visione incentrata sul peccato di una certa predicazione del passato (tutta da dimostrare, io non c’ero): da “tutto è peccato” a “quasi nulla è peccato” il passo è stato breve ma, ahimè, ci ha fatto perdere l’equilibrio. In un giorno di nebbia tutto è grigio uguale: solo la Parola di Dio può disegnare le ombre della nostra vita. Purtroppo abbiamo ancora un approccio moralistico al peccato, come se peccare fosse trasgredire alla legge di un Dio geloso della nostra libertà che ci mette i paletti nella vita solo per farci tribolare (e tanto). Un approccio adolescenziale: in fondo ci sono persone che vivono peggio di me, cosa vuole Dio dalla mia vita? Nulla, Dio non vuole nulla dalla mia vita. La Scrittura ci svela un Dio che desidera per me la felicità, e sa come ottenerla. È lui che mi ha creato, lui sa come funziono, forse varrebbe la pena di ascoltarlo con maggiore attenzione e serietà…

LIBERI E GUARITI
Le parole che Dio ci dona sono l’indicazione verso un percorso di pienezza, di libertà, di gioia profonda e duratura. Il peccato è male perché ci fa del male, Dio mi ha pensato come un capolavoro, e io mi accontento di essere una fotocopia sbiadita… Il peccato dovrebbe essere la nostra prima preoccupazione, perché c’è in gioco la nostra realizzazione profonda, la nostra verità interiore che Dio conosce e che mi aiuta a scoprire… Non possiamo inventarci i peccati, o farci fare l’esame di coscienza dal mondo contemporaneo (non è vero che non c’è più senso del peccato, c’è, fortissimo, il senso del peccato. Quello degli altri!): è la frequentazione di Cristo che ci porta alla conoscenza del nostro limite, per affidarglielo e trasfigurarlo. È difficile conoscere ciò che è male, il male si presenta sempre come un ipotetico bene per sedurci e ingannarci.
Lasciamoci guarire, dentro e fuori.

(PAOLO CURTAZ)

Per riflettere sorridendo…

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CATECHISTI PARROCCHIALI – Febbraio 2012: AMANTI DELLA VITA

GESÙ CI AMA E CI PERDONA

di Anna Maria D’Angelo

Gesù è venuto a guarirci dal male più grande che è il peccato.
Nessuno può dire: «Sono senza peccato. Non ho bisogno di perdono». Se abbiamo fiducia in Gesù e riconosciamo di essere peccatori, scopriamo che Dio non è lontano da noi e ci dona la sua pace.

«Che male c’è?». La televisione, i giornali, la vita del quartiere presentano comportamenti contrari al rispetto della vita, della verità, delle persone, della proprietà altrui: gesti violenti come del tutto «normali». Nelle relazioni interpersonali vige sempre più la legge del taglione «occhio per occhio, dente per dente». «Che male c’è? Fanno tutti così!».

Con questo percorso intendiamo aiutare i ragazzi a scegliere il bene e a evitare il male, e iniziare, così, la preparazione alla prima confessione.
Nella sala dell’incontro i ragazzi trovano una piccola mongolfiera il cui pallone tocca il soffitto, mentre la navicella è sollevata da terra all’altezza dei ragazzi. Accanto, un mucchio di sassi. Il catechista guida l’osservazione della mongolfiera, fatta per «volare alto»! Ma se è molto pesante, si abbassa fino a terra, e per far provere, si distribuisce a ciascuno dei ragazzi un sasso per deporlo nella mongolfiera.
Si può spiegare il senso della metafora ai ragazzi in questo modo: «Anche noi con le nostre azioni quotidiane siamo un po’ come la mongolfiera: quando facciamo il bene, seguiamo Gesù e ci sentiamo come se andassimo verso il cielo; quando facciamo il male, ci allontaniamo da Gesù e caliamo sempre più giù. Questo è capitato a una donna ai tempi di Gesù. Ce ne parla l’evangelista Giovanni (8, 1-11)».
Il catechista, con lo stile della narrazione, accompagnata da gesti, racconta l’episodio della donna adultera, evidenziando alcuni punti:
• La donna peccatrice è trascinata davanti a Gesù, come davanti al giudice.
• Gesù non risponde alla provocazione degli avversari, ma si mette a scrivere con il dito per terra.
• Gli accusatori, uno a uno, lasciano cadere le pietre e vanno via perché si riconoscono peccatori.
• La peccatrice, riceve lo sguardo misericordioso di Gesù che la chiama «donna» e la perdona, ridonandole la sua dignità di persona capace di amare e di non peccare più.

Si continua l’incontro di catchesi con uesta dinamica: tutti seduti intorno alla mongolfiera (rimasta «a terra», appesantita dai sassi). Accanto, il cartellone dei Comandamenti preparato precedentemente. Sottofondo musicale.
Il catechista dice ai ragazzi: «Aiutiamo la mongolfiera a riprendere il volo».
A questo punto, ogni ragazzo, leggendo il cartellone dei Comandamenti, pensa a un comportamento non buono che vuole eliminare. Spontaneamente, poi, un ragazzo per volta, preleva un sasso dalla mongolfiera, lo presenta al gruppo e dice il cambiamento che vuole realizzare nella sua vita quotidiana. Depone, quindi, il sasso a terra. Tutti cantano l’alleluia oppure un breve ritornello gioioso, mentre il compagno torna al suo posto.
A conclusione si recita questa prehiera:

Caro Gesù, anch’io,
come gli accusatori della donna adultera,
sono sempre pronto a scagliare la pietra
delle mie accuse contro i miei compagni,
appena ricevo uno sgarbo, un torto,
un gesto un po’ violento.
Gesù, aiutaci a guardare il nostro cuore
prima di giudicare gli altri, e di scagliarci contro
con le pietre delle parolacce e dei gesti violenti.
Aiutaci a cambiare le pietre
in gesti sinceri di amicizia e di perdono.
Amen.

Questi e molti altri suggerimenti per la catechesi dei ragazzi nel numero di Febbraio di Catechisti Parrocchiali.

Per vedere il sommario di Catechisti Parrocchiali di Febbraio 2012 clicca qui

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CATECHISTI PARROCCHIALI – Marzo 2011: Un dono di amore

GESÙ RINNOVA LA SUA AMICIZIA –
Il sacramento della riconciliazione

di Anna Maria D’Angelo

Un cammino di conversione e di riconciliazione è possibile solo se c’è la fiducia in Dio. Perciò i fanciulli hanno bisogno di un ambiente di comprensione e di perdono.
Anche per loro è doloroso e umiliante riconoscere di non saper fare il bene come vorrebbero.
Il sacramento della penitenza è un punto di arrivo della riconciliazione: è il segno visibile ed efficace del perdono che viene dal Signore, attraverso la sua Chiesa ed è inizio di un rinnovato impegno di amore.
È giunto il momento opportuno, seguendo l’Anno liturgico, di celebrare con i fanciulli il sacramento della penitenza o riconciliazione, perché essi incontrino più profondamente Gesù che ci conosce e rinnova la sua proposta di amicizia con ciascuno di noi.
Prepariamo i fanciulli alla celebrazione della riconciliazione aiutandoli a:
• distinguere i comportamenti positivi da quelli negativi, il bene dal male;
• comprendere l’orientamento della propria vita alla luce della parola di Dio;
• cogliere il senso del peccato;
• sviluppare un atteggiamento di fiducia in Dio Padre che perdona;
• vivere il sacramento della penitenza come incontro con Gesù, nostro amico.
I fanciulli, gradualmente, lasciano i giocattoli e si aprono all’amicizia con i compagni. È l’età in cui cominciano ad avere l’«amico del cuore»: a lui confidano crucci, gioie e dispiaceri. È anche l’età in cui vivono litigi e piccole gelosie di gruppo. La vita in famiglia non risparmia, spesso, conflittualità e la cronaca quotidiana presenta sovente comportamenti e circostanze di separazioni irreversibili.
Nel percorso che proponiamo i ragazzi potranno scoprire le parole, i gesti del sacramento del perdono e prepararsi all’esame di coscienza.
I catechisti predispongono due grandi poster, uno bianco e uno nero. Presentano ai fanciulli ritagli di giornali (uno per volta) con notizie belle e notizie negative, immagini o foto con scene di fatti positivi e di fatti che denotano dolore o violenza…
A ogni notizia o immagine i catechisti invitano i fanciulli a riflettere in silenzio, ad ascoltarsi dentro per cogliere se quella notizia o immagine è «positiva» o «negativa».
Quando tutti concordano, un bambino fissa il ritaglio sul poster bianco se si tratta di notizia «buona», sul poster nero se si tratta di notizia «negativa».
Nel gruppo i fanciulli fanno esperienza di litigi, antipatie, beghe… Aiutiamoli a trasformarle in occasione di pace e di perdono.
In silenzio ogni fanciullo posa lo sguardo su ciascun compagno. Riflette sul rapporto reciproco e cerca di ascoltare che cosa l’altro potrebbe rimproverargli.
Il catechista aiuta chi vede disorientato a fare il suo confronto.
Quando ritiene che tutti sono pronti, mette un sottofondo musicale e invita a muoversi in sala e a cercare, uno per volta, i compagni ai quali si vuole chiedere perdono e offrire di nuovo l’amicizia.
Il fanciullo, avvicinatosi, offre il palmo della mano, dicendo: «Batto cinque» (come a dire: voglio ricominciare).
Si può accompagnare il gesto con un sorriso, una parola, una promessa sincera; il compagno risponde: «Batto cinque» (cioè: ci sto).
Il catechista farà attenzione a predisporre i fanciulli ad accogliere l’amicizia dei compagni.

Questi e molti altri suggerimenti per la catechesi dei ragazzi  nel numero di Marzo di Catechisti Parrocchiali

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