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Una promessa per i lontani – BUONA DOMENICA! IV DOMENICA DI PASQUA – ANNO A

Se uno entra attraverso di me, sarà salvato
(Gv 10,9)

Siamo cristiani. Sì, lo siamo. O almeno diciamo di esserlo. Ma tecnicamente che cosa intendiamo quando lo diciamo? Se diciamo siamo italiani, o pugliesi, o campani, o veneti, o lombardi significa che ci riconosciamo appartenenti a una particolare comunità che condivide dei valori, riconosce delle radici comuni; ci sentiamo impastati di una determinata cultura e sentiamo di essere figli di specifiche tradizioni. Cosa significa allora essere cristiani?
Voi mi direte: «Ma cosa c’entra questa domanda con il bellissimo brano evangelico del Buon Pastore?».
Ve lo confesso: a sollecitare questa domanda sono le affermazioni di Pietro nella Prima lettura. In questi giorni del Tempo di Pasqua più volte sono risuonate queste parole: «Quel Gesù che voi avete crocifisso Dio lo ha risuscitato, lo ha costituito Signore». E quindi: «Convertitevi! Fatevi battezzare! Salvatevi da questa generazione perversa!». Ve lo confesso. Non so stare nella pace davanti a queste frasi. Sì, frasi. Perché spesso noi cristiani riduciamo il Vangelo a questo: a frasi estrapolate e scaraventate contro qualcuno. A frasi che come pesanti macigni piombano nella vita delle persone e le fanno sentire meno di zero, o colpevoli, o inadatte, o deboli rispetto alle attese di chi sa sempre qual è la via giusta. Certe volte penso che abbiamo imparato più da Pietro che da Gesù. Viviamo un cristianesimo di sentenze, di annunci. Raccontiamo lui, ma forse dovremmo puntare ad altro. A cosa? Se abbiamo conosciuto aspetti bellissimi di Dio lo dobbiamo a quel Gesù che di Dio ci ha mostrato il cuore. E allora forse più che limitarci a raccontare che cosa ha fatto Gesù non dovremmo puntare a far vedere con la nostra vita, le nostre scelte quanto è grande il suo cuore? E non me ne vogliate, ma sempre più frequentemente mi chiedo quanto sarebbe stato diverso un cristianesimo fatto non di parole (e di scomuniche) ma di gesti e parole intimamente connessi, proprio come quelli di Gesù, il Buon Pastore.
Già, caro Pietro… perché non possiamo dire che la “promessa” è per quelli che sono lontani, se poi chi è lontano lo definiamo “generazione perversa”. Chi è lontano andrebbe semplicemente raggiunto, ma non a forza di parole, ma di gesti, di scelte, di una pienezza che sa raccontarsi da sola, senza finzioni, senza sforzi, senza artifici.
Guardate quanto è credibile quel Pastore buono che dà la vita – e la dà in abbondanza – per coloro che gli sono affidati (vicini e lontani). È credibile perché pur di salvare non lesina nulla, non fa passi indietro, non contraddice la sua parola. Ha annunciato pace? E lo fa fino alla fine: non risponde con insulti né con vendetta o inganno. Ha promesso di salvare? E lo fa fino alla fine: si carica di un peccato non suo e lo crocifigge su una croce, lasciandosi crocifiggere.
È questo il Signore che dovremmo lasciar trasparire nelle nostre scelte quotidiane. Il suo amore, la sua cura, la sua promessa di vita dovrebbero poter raggiungere “i lontani” attraverso scelte di inclusione, di accompagnamento, di attenzione, di premura, di difesa dell’escluso, di riconoscimento della dignità, anche della dignità di chi ha sbagliato. Così, e solo così oggi la voce di Dio, Pastore buono, potrà continuare a chiamare. Perché chiunque si sentirà raggiunto da una parola di vita e non di condanna, da una parola di salvezza e non di morte possa scegliere di seguirlo.
Possa il Vangelo fare breccia in noi credenti per spalancare vie di una umanità nuova, autentica e vera.

Sulla strada verso Emmaus – BUONA DOMENICA! III DOMENICA DI PASQUA – anno A

Lo riconobbero nello spezzare il pane.
(Cf. Lc 24,35)

Allora, oggi, su che cosa vogliamo concentrarci? Sui due discepoli che si allontanano da Gerusalemme verso Emmaus? Su che cosa vogliamo puntare la nostra attenzione? Sulla loro tristezza, nostalgia o delusione? E se lo facessimo, che cosa ne ricaveremmo? Nulla se non forse mezzo gaudio dovuto a un mal comune. Sì, mal comune perché magari anche noi in una situazione storica non così esaltante potremmo provare le stesse emozioni. Ma poi? Correremmo il loro stesso rischio: parlottare tra noi, o peggio, con noi stessi, e convincerci che tanto alla fine tutto è inutile e che magari non vale neppure la pena sprecare energie per sognare o per credere in qualcosa… fosse pure Dio.
Ecco, oggi, terza domenica di Pasqua, facciamo un esercizio: scrolliamoci di dosso, e scrolliamo dalle nostre sinapsi, dagli occhiali del nostro cuore, dalle idee che ci frullano in testa tutto quel nerume che offusca i nostri occhi. Spalanchiamo le finestre del cuore e concentriamo tutta la nostra attenzione su una, ed una sola, certezza: abbiamo a che fare con un gran Signore. E ci metto la maiuscola. Un gran Signore davvero! Ma chi lo ferma quel Gesù? Guardiamo quant’è bello. Ma ci pensate a quel giorno?
Lì a Gerusalemme era un gran caos. Ed era più che legittimo per quei poveracci non capirci nulla. Era legittima la nostalgia di quei discepoli e discepole di Gesù, era legittimo il loro bisogno di mettere una certa distanza tra le loro vite e quel sepolcro… e quel cenacolo… e quelle tre croci ancora lì fissate nel terreno.
Ma chi lo ferma quel Gesù! Se l’odio non è riuscito a farlo tacere, se la morte non è riuscita a tenerlo in suo potere, potevano forse riuscirci stanchezza, amarezza, delusione? Nulla lo ferma!
Gli occhi dei suoi sono incapaci di riconoscerlo? Pietro è incapace di vedere un sepolcro vuoto e di capire? Le donne non riuscivano a cercare altro in quel sepolcro se non un corpo morto? Ma a lui tutto questo non importa! Lui si affianca, lui si lascia rallentare, interrogare, invitare.
Per raggiungerci, oggi esattamente come ieri, non ha bisogno di essere riconosciuto, onorato, lodato. A lui stiamo a cuore noi. A lui sta a cuore la nostra vita. Questa è la bellezza degli eventi accaduti lungo quella strada da Gerusalemme a Emmaus.
I nostri occhi, esattamente come quelli di Cleopa e dell’altro discepolo (che in realtà potrebbe essere anche una discepola), possono riconoscerlo nello spezzare il pane solo perché prima di quel pane c’è una fatica condivisa, c’è la condivisione di una storia e di tanta difficoltà. Quel “pane spezzato” può accadere proprio perché c’è strada fatta insieme prima di un invito.
È disarmante quello che succede trai due discepoli e il Maestro: all’inizio del Vangelo è Gesù a passare e a chiamare quelli che sarebbero stati i suoi discepoli. Ora sono loro a chiamare lui, a chiedergli di far parte della loro vita, di entrare in quella loro impotenza, di sostare con loro sulla soglia della loro voglia di speranza.
È qualcosa di straordinario, che tocca in profondità e commuove. Ed è ciò che continua ad accadere, anche per noi tutte quelle volte in cui gli eventi oscurano la nostra speranza, attentano alla nostra fede, spengono la nostra passione. Lui c’è! A tratti con una parola forte che riesce a scuoterci da noi stessi, altre volte con un segno, con una presenza, anche invisibile, capace di farci battere il cuore di nuovo, per ripartire, magari anche ritornando sui nostri passi, ma con una vita nuova da condividere. Lui c’è! Si affianca a noi, e questa è la nostra certezza, quella certezza che fa vivere!

Pasqua è crederci! – BUONA DOMENICA! DOMENICA DI PASQUA – Risurrezione del Signore

Il Signore è veramente risorto. Alleluia. 
(Cf. Lc 24,34)

Pasqua! E finalmente possiamo ritornare a cantare il nostro Alleluia. Quello che abbiamo contemplato e celebrato è il dono dei doni, la pienezza di un amore totalmente gratuito e assolutamente privo di condizioni. E per quanto questo possa sembrarci strano, le cose stanno esattamente così: quel Gesù di Nazaret, che con le sue parole e i suoi gesti ha fatto vedere la bellezza e l’intensità di un Dio molto oltre ogni umana immaginazione, si è spinto davvero fino all’estremo. Dove per estremo intendo proprio il suo essersi fatto dono per un gruppo di irriducibili increduli, traditori, codardi…
Penso a Pietro. Sì, certamente, il Pietro che la Prima lettura ci fa incontrare è un apostolo convinto e convincente, ma lo stesso Pietro incontrato nel Vangelo lo vediamo alle prese con un sepolcro vuoto, con teli posati in un angolo, un sudario e tanta confusione (nella testa e nel cuore). Già… Pietro: figura di chi non corre dietro a una croce, di chi non ha sempre la forza di riconoscere Dio. Pietro che, sì, alle parole di Maria di Magdala, corre; anche se la sua sembra essere una corsa rallentata. Una certa filmografia ce lo fa vedere appesantito anche dall’età rispetto al giovane Giovanni. Eppure chissà davanti all’annuncio di quel sepolcro vuoto che cosa sarà scattato nel suo cuore. Cosa avrà ricordato in quel momento del maestro? Forse a rallentare la corsa più dell’età avrà pesato la delusione o la rabbia verso se stesso: per aver rinnegato, per non aver seguito… Lui che avrebbe dato la vita per Gesù di Nazaret.
Eppure, che bello oggi poter accostare il Pietro testimone con il Pietro confuso e… non ancora credente. Già… non ancora credente: perché il suo è un «vedere» diverso da quello di Giovanni. “Il discepolo che Gesù amava” vede e crede; infatti con quel verbo «vide» abbinato “all’altro discepolo” l’evangelista ci dice un di più. Quello che noi traduciamo con «vide» è un vero e proprio contemplare; mentre il verbo abbinato a Pietro è «osservare», per vedere, per capire.
Eccolo Pietro: testimone da una parte e non ancora credente dall’altra. Perché l’uno non esiste senza l’altro, e proprio per questo Pietro diventa testimone credibile di colui che si è fatto salvezza, che ha inchiodato con se stesso ogni colpa sul legno della croce; che ha sconvolto ogni attesa, ogni equilibrio, ogni logica; che ha dato fiducia a un debole, ha confermato un traditore, ha chiamato uno dalla testa dura.
Gesù è Signore e dà la vita davvero a tutti: questo è il grande annuncio di Pasqua. E nessuno ne può restare escluso. La Pasqua ci raggiunge anche quando i nostri occhi non riescono a vedere risurrezione, ma solo assenza. La risurrezione ci attraversa anche quando non riusciamo a vedere altro se non spazi vuoti, macerie, segni di qualcosa ormai passato.
Possa la voce di Maria di Magdala, scossa dall’assenza, tirarci fuori dalle nostre zone di comodo standby. Possa chi nella notte vede pietre rimosse, correre con coraggio per svegliare i sonni più stanchi e rassegnati. Molti di noi vivranno questa Pasqua come Maria, altri come Giovanni, altri ancora come Pietro. Ma proprio ognuno di questi tre apostoli, con i suoi tempi e le sue risposte, ci dice che la Pasqua è possibile per tutti noi, sempre.
Buona Pasqua di risurrezione!

Imitiamo le folle di Gerusalemme! Ma che, davvero? – BUONA DOMENICA! DOMENICA DELLE PALME – ANNO A

Osanna al Figlio di Davide!     
Benedetto colui che viene nel nome del Signore,
il re d’Israele!
Osanna nell’alto dei cieli! 
(Mt 21,9)

Con la domenica delle Palme inizia la Settimana santa, la grande settimana che ci porterà nel cenacolo, che ci farà sostare accanto al Gesù in preghiera nell’Orto degli Ulivi, e poi con lui lungo la via della croce, fino al Calvario e nel silenzio del sepolcro…
Di solito la domenica delle Palme inizia con una processione, breve o lunga che sia, e con la benedizione di nuovi rami di ulivo, per poi portarci all’ascolto del Passio, una vera e propria immersione nei racconti della Passione.
L’inizio della processione sarà in qualche modo rievocazione. Andremo anche noi lì, dove altri erano. Canteremo e alzeremo anche noi rami di ulivi o di palme. E invocheremo, e diremo il nostro Osanna. E le parole che ci introdurranno o che ci hanno introdotto potrebbero essere proprio queste: «Imitiamo le folle di Gerusalemme». E io mi chiedo: «Davvero?». Quelle folle non fanno una gran bella figura. Sì, la partenza è decisamente buona, ma poi? E in tempi di populismi, di “esisti se ti acclamano a suon di like”, di influencer, che cosa quelle folle hanno da dirci e da insegnarci?
Mi chiedo: chi era parte di quelle folle?
Quando noi pensiamo alla folla che accompagnò la permanenza di Gesù a Gerusalemme ci sembra di essere davanti a dei volta gabbana. Prima mantelli stesi e osanna a tutto andare, poi con la stessa forza un unico grido: «Sia crocifisso!», ripetuto più e più volte. Uomini e donne assolutamente inconsistenti su cui dei poteri forti hanno fatto leva per ottenere dal potente di turno, sempre a caccia di consensi, ciò che alcuni avevano deciso essere il bene di tutti.
Eppure, quella folla è davvero molto eterogenea. È fatta sì dal popolo ignaro, buono solo a farsi trascinare, ma era costituita anche da discepoli e discepole, dai Dodici, dalla Madre di Gesù e dalle altre donne, da quei capi e anziani che in vari modi avevano manifestato apprezzamento per quel Maestro di Nazaret e da lui avevano anche ricevuto molto, dagli amici, da chi pur guardando da lontano aveva riconosciuto in quel Galileo un uomo dalla parola autorevole. Quante emozioni contrastanti avranno attraversato quella folla anonima e indistinta! Quante lacrime inascoltate e coperte dalle urla dei più forti (o forse solo dei più deboli e per questo facilmente trascinabili)!
È folla, quella dei discepoli (e certamente anche discepole, Madre inclusa) che vive una cena pasquale unica nel suo genere e indimenticabile. È folla quella di chi nel Getsemani si addormenta, di chi arresta, di chi reagisce. È folla quella che assiste impotente, dentro e fuori i palazzi del potere, il compiersi di un’ingiustizia. È folla quella che condanna e quella che segue e accompagna il condannato. È folla anche quella che segue da lontano.
Noi chi siamo? Perché in quella folla ci siamo anche noi, oggi. Di fronte al Figlio di Dio crocifisso e risorto c’è ognuno di noi che può e deve scegliere se restare o uscire dalla folla, se lasciarsi compromettere dalla Pasqua o continuare a osannare sì, ma guardando alla giusta distanza.
È facile scegliere chi essere rispetto a quel Gesù, condannato e ucciso duemila anni fa. Il punto è chi decido di essere oggi perché ogni figlio di Dio non sia più accompagnato a un patibolo, ma alla vita. A una vita risorta prima ancora che uccisa. Questa Pasqua può essere per noi una nuova Pasqua, un passaggio verso la vita che Dio vuole generare attraverso noi!

Lazzaro… quando l’amicizia fa strani doni -BUONA DOMENICA! V DI QUARESIMA – ANNO A

Io sono la resurrezione e la vita.
(Gv 11,25)

Lazzaro. Basta dire il suo nome perché a tutte e tutti noi venga in mente un’unica scena: un uomo morto riportato da Gesù in vita. Non vi nascondo che tutte le volte in cui penso a quest’uomo non posso fare a meno di chiedermi se Gesù gli sia stato davvero amico. Intendiamoci, non metto in dubbio le Scritture… ma certo, se la morte è una delle esperienze più drammatiche della vita, viverla per ben due volte non credo che sia classificabile tra i regali più desiderati. E Gesù al suo amico Lazzaro lo ha fatto. Ma certo – mi direte – era necessario perché attraverso la malattia e la morte di Lazzaro, Gesù venisse glorificato, perché così fosse chiara a tutti l’opera di Dio, perché finalmente davanti a un evento tanto straordinario avrebbero iniziato a credere anche i più determinati tra gli increduli. Ed effettivamente molti, tra i Giudei che videro, credettero (così si chiude il brano del Vangelo di questa V domenica di Quaresima). Ma – scrive Giovanni nei versetti successivi – alcuni di loro andarono dai farisei e riferirono ogni cosa. E così la risurrezione di Lazzaro non ha fatto altro che ottenere un verdetto: «Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma per riunire insieme i figli di Dio dispersi» (Gv 11,51-52). Ricordiamo questo passaggio importante (anche se non incluso nel Vangelo che la liturgia ci propone), perché in questi versetti c’è la chiave di tutto.
Ritorniamo per un attimo alla frase storica di Gesù, che lascia sbigottiti anche i suoi discepoli: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio» (Gv 11,4). Eppure Lazzaro muore e tutto lascia pensare che Gesù non muova un dito. Letteralmente resta fermo per due giorni. Assurdo se si pensa che i Vangeli non fanno altro che raccontarci le sue continue ripartenze. Ora sembra quasi che attenda la morte dell’amico. Sembra che abbia bisogno di far capire a tutti qualcosa. Ma che cosa?
Ecco, ve lo confesso: di fronte a questa frase io tremo. Perché troppe volte, in bocca anche ai migliori predicatori quel «è per la gloria di Dio» diventa una clava che cade sulla testa di chi è già un colpito dalla vita. Quella malattia, come ogni malattia e ogni morte, troppe volte la sentiamo diventare una prova, un’occasione per manifestare la nostra fede, un male permesso da Dio e persino un atto di benevolenza da parte di Colui che ci rende partecipi della sua passione. E invece no! E invece tutt’altro è il dire di Gesù, tutt’altro il suo obiettivo.
La sua è una dichiarazione ufficiale di presenza. La morte di Lazzaro diventa occasione per Gesù di ricordare a tutti che il Dio dei Padri, il Dio delle promesse, il Signore delle galassie e degli universi, il Creatore è il Presente: anche nella morte. È colui che fa suo il pianto di chi ama, la disperazione di chi si scopre a mani vuote e impotenti. Lui non ha bisogno della nostra malattia o della morte per mettere alla prova la nostra fede, lui sceglie di abitare la nostra malattia e la nostra morte facendosi accanto, tendendoci le mani, richiamandoci sempre alla vita.
Non si stanca di ripeterci che siamo eredi dello stesso Spirito di Dio, e che per questo siamo noi stessi vita. Non si stanca di aprire i mille sepolcri che ci costruiamo con le nostre mani per ricondurci a casa, nel cuore del Padre. Questa è la gloria di Dio, questo il senso stesso del dono di Gesù che raggiunge negli eventi della Pasqua il suo apice.

Luce tra le tenebre? – BUONA DOMENICA! IV DI QUARESIMA – ANNO A

Andò, si lavò e tornò che ci vedeva.

(Gv 9,7)

Nel tempo penitenziale che caratterizza la Quaresima splendono in questa IV domenica significative scintille di gioia. Adesso qualcuno mi dirà: «Letizia, sr Mariangela. Siamo in Quaresima… gioia è troppo!». E perché mai è troppo? Di gioia ci parla l’antifona di ingresso. E l’antifona di ingresso – lo sappiamo – dà sempre il tono a tutta la celebrazione. Quindi: gioia! Auguriamoci reciprocamente di poterla sperimentare, di poterla vivere nel più profondo del nostro cuore. Auguriamoci di poterla desiderare… poiché in molti hanno messo la gioia nella categoria delle cose impossibili. Una gioia fondata, una gioia motivata e consapevole, non superficiale.
La fonte della nostra gioia è la Pasqua.
È la risurrezione del Dio che si è lasciato crocifiggere per amore che ci abilita a provare gioia, che ci autorizza a desiderarla.
La gioia non è possibile solo quando qualcosa ci va particolarmente bene; e non è impossibile quando tutto attorno a noi e in noi sembra franare.
Esiste qualcosa di più profondo che nasce dalla consapevolezza di essere amati, di essere preziosi, di essere importanti per qualcuno; e questo qualcuno per noi è il Signore della vita, il Dio delle promesse, il Nazareno morto e risorto.
Le letture di questa domenica laetare ci svelano un singolare volto di Dio: ce lo fanno contemplare come colui i cui progetti poco si sposano con i nostri. Nella prima lettura leggiamo di un profeta inviato a consacrare re un giovanissimo pastore. Un profeta certamente stravolto da quelle parole divine che gli dicono quanto sbagliati siano i suoi criteri di scelta quando i suoi occhi si poggiano sul più grande e forte: «Non guardare al suo aspetto… Io l’ho scartato, perché non conta quel che vede l’uomo… il Signore vede il cuore». E così Samuele fortemente orientato dalle parole di Dio consacra non il più grande, ma il più piccolo. È una storia, questa, che si ripeterà più e più volte. E pur facendo le debite differenze è la stessa storia che vediamo accadere tra Gesù e l’uomo nato cieco.
Maestri della Legge, anziani, capi del popolo, il popolo stesso, restano tutti fortemente interdetti di fronte a quell’opera straordinaria avvenuta nei confronti di chi è palesemente fuori da ogni retta via e per giunta in giorno di sabato. Anche in questo caso la potenza di Dio si rivolge verso un escluso, un non considerato, un “fatto fuori”.
E poi, Dio stesso… chi sceglie di essere? E come sceglie di finire? Un uomo errante, preso per lo più per matto se non per bestemmiatore, condannato e crocifisso.
Eppure… proprio tutto questo ci fa dire che la gioia è possibile. Sapere di avere a che fare con un Dio illogico (rispetto alle nostre logiche) ci permette di credere nella possibilità di una vita straordinaria. Sapere di essere amati, voluti, creati, salvati dal Dio ultimo ed escluso, ci dice che per tutti noi c’è una possibilità concreta e reale di svoltare. E svoltare davvero!
Vogliamo provare a crederci? Provarci! Semplicemente provare a fidarci di colui che davvero può portare luce nella nostra vita, amore nelle nostre solitudini, speranza nelle nostre fatiche, fiducia nelle nostre delusioni.
Proviamo a tirarci fuori da noi stessi?
La Pasqua è vicina. Proviamo a lasciarci invadere dalla Luce? Gli consentiamo di capovolgerci? Dio non misura, non è misura. Lui è sovrabbondanza!

L’audacia di non accontentarsi – BUONA DOMENICA! III DI QUARESIMA – ANNO A

Chi berrà dell’acqua che io gli darò,
non avrà più sete in eterno.

(Gv 4,5-42)

Il Vangelo di Giovanni è carico di incontri, incontri che Gesù fa. E la terza domenica di Quaresima dell’anno A fa risuonare per noi uno dei più straordinari incontri: quello con la donna samaritana. È una pagina intensa e a tratti rivoluzionaria, almeno per come noi ci siamo abituati nel tempo a pensare Dio e la relazione con lui. Questa donna, come altre donne del Vangelo di Giovanni – Marta, Maria nell’unzione a Betania, Maria di Magdala, la stessa Maria madre di Gesù –, appaiono al limite dell’ammissibile, a tratti dissacranti: nei loro atteggiamenti, nelle loro richieste sembrano lontane anni luce dalla riverenza di chi non osa chiedere e resta sempre un passo indietro, di chi ha un sacro rispetto del Maestro di Nazaret, e piuttosto parla con altri a bassa voce, di nascosto… La Samaritana è sfacciata. Marta sembra richiamare Gesù in più occasioni. Maria di Betania, ungendo Gesù, scandalizza i Dodici. Maria di Magdala prova a trattenere il Risorto e la Madre, a Cana, fa scoccare l’ora di Dio. Pagine strane… pagine che non lasciano tranquilli… Ma se queste pagine esistono hanno un senso. I Vangeli nascono dalla memoria di comunità che raccontano la fede, che riscoprono nel quotidiano le vie Dio e le sfumature della sua presenza, che cercano risposte, che vogliono capire come può trovare realizzazione concreta quel comandamento dell’amore lasciato dal loro Signore risorto. Per questo ogni pagina che arriva a noi, che è stata scritta perché noi credessimo è una pagina preziosa che può aprire vie per il nostro cammino di fede.
Oggi, lasciamoci invadere dall’audacia della Samaritana. Una donna capace di portare il carico della vita, il peso di quei cinque mariti che la rendono sospetta tanto a noi quanto ai suoi stessi contemporanei, tanto da costringerla ad andare a prendere acqua nell’ora più calda del giorno. Una donna la cui concretezza emerge anche nei dettagli: «Signore, non ha un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva?». Una donna che non tace, non si accontenta, non si fa zittire e interroga, scava e cerca un senso. Una donna che intuisce la novità di quell’uomo, di quelle parole, di quell’atteggiamento, e va fino in fondo.
L’acqua resta la grande metafora di questa domenica, il segno che attraversa le promesse di Dio al suo popolo e arriva a noi. L’acqua non conosce mai confini. È disponibile per chiunque la raccolga. Sgorga dalle profondità della terra o scende dalle altezze delle vette, e non sceglie, non evita, non esclude: invade, penetra, riempie. Così Dio: acqua che sgorga dalla roccia in un deserto. Così il Cristo: acqua viva che zampilla irrefrenabile e rende vivo chi ha sete.
Davanti a noi, oggi, il fermo immagine va su un Gesù che ci viene incontro nell’ora più calda, quando forse, stanchi e sfiduciati, ci nascondiamo anche a noi stessi. E va sulla donna di Samaria, sulle sue domande, su quelle perplessità tangibili, su quella sua anfora lasciata lì ormai non più necessaria, o comunque superata da un’urgenza interiore: andare perché anche altri vedano, incontrino, scoprano colui che lei stessa ha visto, ha incontrato, ha scoperto: l’acqua viva che può dissetare ogni sete.
«Dacci da bere, Signore Gesù, rendici acqua che fa vivere!»