FELICE NATALE, SCROOGE!
di Cecilia Salizzoni
Vale la pena di iniziare con un classico, per intraprendere il percorso sulle Beatitudini: un classico dei classici come il Canto di Natale di Dickens (A Christmas Carol, 1842), che è stato portato sullo schermo cinematografico molte volte. La versione più recente è della Disney che, nel 2009, ne ha affidato la realizzazione a Robert Zemeckis, una garanzia sul piano tematico-letterario e sul fronte dello spettacolo. Il regista ha rispettato la lettera del racconto e ha scelto la tecnica della motion-capture, già utilizzata con successo in Polar Express (2004). Unendo la ripresa in live action (con attori veri) e il disegno animato in 3D, ottiene un’immagine fantastica e realistica insieme, antica come la più classica illustrazione del libro pubblicato a metà Ottocento, e contemporanea, moderna e vertiginosa.
Un ossimoro, a ben vedere. Adatto a introdurre la prima delle Beatitudini – «felici i poveri» – che suona anch’essa contraddittoria. Lo era ieri, tanto più oggi in un contesto materialista e consumista, percepito da tutti, e in particolare dai ragazzi, come naturale e scontato.
Al vecchio Ebenezer Scrooge suona, in modo analogo, l’espressione «Felice Natale». La seconda scena del film (la prima, in realtà, dopo il prologo che introduce in modo formidabile il carattere del protagonista e l’ambientazione del racconto), quella in cui il nipote Fred arriva nell’agenzia per fare gli auguri allo zio e invitarlo alla cena di Natale, prospetta una questione drammatica che sarà dipanata e risolta nel resto del racconto. «Che ragione hai tu di essere felice? Sei piuttosto povero…», è la considerazione astiosa con cui il vecchio Scrooge respinge l’augurio. «Che diritto avete voi di essere cupo? Siete piuttosto ricco…», è l’obiezione del nipote, che provoca una risposta feroce: «Felice Natale!? Cos’è il Natale, se non un giorno di scadenze quando non si hanno denari?
Un giorno in cui ci si trova più vecchi di un anno e neanche un’ora più ricchi. Se potessi fare a modo mio, ogni idiota che se ne va in giro con codesto Felice Natale in bocca, andrebbe bollito insieme al suo pudding e sotterrato con uno stecco di agrifoglio nel cuore…».
Il seguito degli eventi, che metteranno in discussione questo punto di vista e indurranno il vecchio Ebenezer a far suo quello del nipote, ci condurrà a scoprire come tutta la vita di Scrooge sia stata una fuga mossa dalla paura della povertà: ha dato tutto per garantirsi la ricchezza e c’è riuscito.
Ha soldi, ma non ha altro. Non è neppure in grado di goderli, perché è ossessionato dal pensiero dell’accumulo. «Un idolo d’oro ha preso il mio posto», gli rimprovera la fidanzata nel lasciarlo.
Il denaro come pensiero totalizzante; è un vero avaro il signor Scrooge, un «ricco infelice», che non sa di esserlo, ma lo scoprirà, con orrore sempre maggiore, nel corso della notte di Natale grazie alla visita dei tre Spiriti che incarnano il Natale passato, presente e futuro.
Fin dal prologo Zemeckis pigia sul tasto orrorifico, proprio del mondo dei morti e della cultura anglosassone pre-cristiana, in contrasto con l’atmosfera natalizia, calda e vitale, nonostante il freddo e la neve, che pervade il racconto.
Scrooge appartiene già al regno dei morti, come il socio Marley di cui ha constatato il decesso sette anni prima; Scrooge è ancora al di qua, nel mondo dei vivi, ma non ha nulla della vita.
- Vita è quella del suo lavorante, Bob Cratchit che sa gioire con la sua famiglia nonostante la miseria, l’avvilimento giornaliero sul posto di lavoro e la disgrazia del figlio più piccolo, Tim, sciancato e condannato a morte prematura per mancanza di cure.
- Vita è quella del nipote Fred che si è sposato per amore e apre la casa ad amici e parenti, perfino al più gelido e odioso fra essi. Essi sanno benedire Dio per ciò che hanno e che più conta, e riescono a vedere la miseria del ricco Scrooge e a compatirlo. Così, mentre il vecchio avaro precipita rovinosamente a terra, «come accade ai mortali», loro e quelli che «sanno la felicità» volteggiano e danzano nell’aria, liberi dalla legge di gravità. Ci sarebbe da discutere se i tre spiriti usciti dalla penna di Dickens siano coerenti con lo spirito evangelico, e tuttavia la relazione diretta tra il Natale e la prima delle Beatitudini è ineccepibile, così come ciò che lo Spirito del Natale passato dice al vecchio dal cuore fossilizzato: «Permettimi di toccarti qui (sul cuore) e riuscirai a volare a ben altre altezze».
È un apologo morale di portata universale, la novella di Charles Dickens; Zemeckis sottolinea tale carattere, giocando contemporaneamente sui due registri: il fascino antico e il gusto contemporaneo. L’impianto strutturale-tematico del racconto è lineare e immediato, nonostante la sospensione temporale della notte di Natale, in cui il tempo, teso drammaticamente tra la morte e la vita, sembra concentrarsi e implodere.
L’evidenza dell’assunto consente di:
- Scandagliare la relazione diretta tra la povertà evangelica e il Natale.
- Valutare a chi sentiamo di assomigliare di più nel nostro modo di pensare e agire: a Scrooge, oppure al nipote e a Bob Cratchit, e perché?
- Compiere un passo ulteriore rispetto al testo filmico, mettendo a confronto il racconto di Dickens con la parabola evangelica del ricco Epulone: quali sono le somiglianze? Dove, invece, il racconto diverge?
- Perché il padre Abramo non concede al ricco della parabola ciò che gli Spiriti del Natale concedono a Scrooge
- Che cosa permette all’uomo di convertire il proprio modo di giudicare la realtà e di credere?
- Che cosa gli può permettere di accettare, come vero, ciò che sembra in contrasto con la logica comune?
- Confrontarsi con un’altra metafora evangelica: il Regno di Dio è un tesoro nascosto.
- Che cosa consente di vendere tutto ciò che si ha per acquistare il campo in cui è sepolto quel tesoro? Che cosa lo ostacola?
Questo e molti altri suggerimenti per la catechesi dei ragazzi sul numero di Settembre/Ottobre 2014 dell’inserto Ragazzi & D’intorni dossier mensile di Catechisti Parrocchiali.
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