«Quando pregate, dite: “Padre,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno”»
(Lc 11,2)
La storia della salvezza scorre sotto ai nostri occhi, grazie alle letture che di domenica in domenica ci accompagnano a scoprire tratti particolari della presenza di Dio, del suo amore, dell’opera con cui lui accompagna la nostra storia. E per nostra intendo quella dei popoli, quella del mondo.
Lettura dopo lettura incrociamo storie di affidamento, di consolazione, di terrore, di violenza, di superamento, di richieste. Storie che in un modo o in un altro ci riportano a noi e ci chiedono di fare i conti con la nostra vita, ci confrontano, a volte ci incoraggiano, altre volte ci mettono con le spalle al muro.
Le letture della XVII domenica del Tempo Ordinario rimettono al centro della nostra riflessione la preghiera: quella di intercessione, che svetta nel rapporto tra Abramo e Dio. Una preghiera, espressione di una relazione talmente forte, da riuscire a intercettare, frenare, orientare Dio. Abramo conosce la fragilità di chi vive il suo stesso tempo, conosce il male che come grido efferato sta scuotendo anche Dio. Eppure sceglie consapevolmente di fare della sua vita un argine all’ira e a nuova violenza, fosse pure a quella giustificata e mossa da Dio in persona.
Ma al centro, grazie al Vangelo, c’è anche una preghiera di affidamento e, direi, di riconoscimento. La preghiera di chi sa di avere un padre su cui contare, un padre da cui tutto proviene, un padre che ascolta, risolleva, apre, sostiene, dà e ridona vita, ama… di quell’amore libero e liberante. Un Padre però che ama segnare sentieri perché la vita donata diventi possibile per tutti, e sia segnata da condivisione, giustizia, perdono, fedeltà.
Poi però, a introdurre il Vangelo, c’è un versetto alleluiatico che è di una potenza infinita: «Avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: Abbà! Padre!» (Rm 8,15bc). Noi possiamo pregare quel Padre, possiamo riconoscerci figlie e figli perché abbiamo ricevuto lo Spirito di Dio. E la nostra prima preghiera da figlie e figli non può che essere «Abbà, padre!»; ed è un grido che conta, anzi è IL grido che conta. Poterlo dire con convinzione e libertà, prima ancora di qualsiasi richiesta, oltre qualsiasi richiesta. Dirlo e ripeterlo più volte, e nelle più disparate situazioni che la vita ci chiede di vivere: con il nodo in gola o con il cuore che esplode dalla gioia, quando il non-senso consuma lentamente ogni energia o quando l’entusiasmo riesce a sfinirci e a ricaricarci.
«Abbà, padre!», è il grido di chi sa di non essere solo.
«Abbà, padre!», è la certezza lapidaria quando tutto si sta sgretolando.
«Abbà, padre!», è l’unica parola che resiste nel cuore mentre le guerre continuano a dilaniare persone, popoli, storie, mondi, fraternità. Resiste, e riaccende scintille proprio di quella fraternità ferita.
«Abbà, padre!», lo diciamo sapendo che per noi non ci sono serpi o scorpioni, divine ritorsioni o punizioni, ma pesci, pani, uova, che chiedono però di essere condivisi tra sorelle e fratelli in umanità ancora prima che in fede.
E se anche, oggi, il cuore si stringe nell’impotenza di fronte a ennesime guerre, e violenza, e ingiustizie, e illegittime violazioni della dignità umana, noi ti preghiamo, Padre, ti invochiamo, Abbà, perdona i crimini di cui ci stiamo macchiando per azione o per omissione, per superficialità o per apatia, per incoscienza o per volontà.
Padre, Abbà, continuiamo ad aver bisogno del tuo pane, del tuo bene, del tuo amore.
Ascolta il grido della nostra preghiera e insegnaci a coltivare un cuore che sappia ascoltare il grido di chi oggi non ha più voce per urlare né lacrime da piangere.
Abbà, Padre
Padre, Abbà, dacci oggi e in ogni istante
il pane del tuo amore
perché amore sia ciò di cui
possiamo diventare capaci e testimoni.
Padre, Abbà, insegnaci a far spazio
nel mondo al tuo nome, al tuo regno,
ai tuoi sogni di bene per noi.
Padre, Abbà, perdona il male
che generiamo per superficialità
o indolenza, per azione o omissione.
Padre, Abbà, resta con noi
quando tutto si fa oscuro.
Padre, Abbà, riempici di te,
della tua santità, perché in questo mondo
ancora troppo bagnato da lacrime
e indurito da violenze, ancora una volta
possa risorgere la vita.
Amen.
DAL VANGELO DELLA DOMENICA
(Lc 10,38-42)
Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite:
“Padre,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno;
dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano,
e perdona a noi i nostri peccati,
anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore,
e non abbandonarci alla tentazione”».
Poi disse loro: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”; e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono.
Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto.
Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!».
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