Archivi tag: catechismo

Dio nutre – BUONA DOMENICA! Solennità del Corpo e Sangue del Signore – ANNO A

«Chi mangia la mia carne
e beve il mio sangue
rimane in me e io in lui»
(Gv 6,56)

Che cosa celebriamo nella solennità del Corpo e Sangue di Gesù?
Oggi credo che i bambini a messa potrebbe restare un po’ perplessi. Forse accade così anche quando iniziamo a parlare loro della Prima comunione. Quando gli diciamo che ci prepariamo a mangiare il Corpo e Sangue del Signore. Nella loro logica, detta così, sembra di aver a che fare più con una prospettiva degna del migliore cannibalismo che non con amore, bontà, dono. Ma forse non sono i soli. Anche chi è lontano dalla nostra fede e dalla comprensione del nostro linguaggio potrebbe pensarla così, e restare alquanto perplesso. E poi ci siamo noi! Noi che da anni celebriamo questa solennità in grande stile e “partecipiamo” con fedeltà di quel Corpo e di quel Sangue che sono la nostra salvezza. Noi che a quel dono dovremmo lasciarci andare e da quel dono farci impastare.
Continuo a chiederlo a me stessa: che cosa celebriamo nella solennità del Corpo e Sangue di Gesù?
Diciamo, e crediamo, che Gesù di Nazaret è il Dio fatto carne, è la nostra possibilità di vedere Dio, di sentire e percepire il suo cuore, di lasciarci attraversare dal suo amore. Verissimo! E infatti la solennità che oggi celebriamo spalanca le porte a una specifica caratteristica di Dio: Dio nutre; e nutrendo sostiene; e sostenendo dà la vita; e la vita è salvezza.
Dio nutre: che meravigliosa certezza! È ciò che Mosè chiede al popolo di ricordare. Quel Dio che fa uscire, poi si prende cura. A quanto pare è la sua logica. Ha fatto uscire i progenitori dal giardino, perché imparassero a desiderare la Vita, e li ha vestiti, prendendosene cura. Ha fatto uscire Israele dall’Egitto, perché sperimentasse la sua presenza e imparasse a contare sulla sua cura, e lo ha nutrito, sostenuto, difeso, accompagnato. Ha spinto Gesù nel deserto, perché in quanto uomo sentisse il limite delle sue forze e in quanto Dio indicasse nella Parola il vero nutrimento. Ha incontrato le folle fuori da case, città e paesi, dove nulla se non ciò che è condiviso può diventare cibo che nutre. Ha oscurato e fatto tremare la terra e squarciato il velo del tempio, perché fosse chiaro che né la terra né il cielo sono sicurezza, e in quel momento, in un luogo detto Cranio, luogo di condanna e morte, ha spezzato per noi suo figlio, e in suo figlio se stesso. Lo ha reso pane, cibo, nutrimento. In quel momento, sulla croce, qualcuno ha visto la morte di un figlio d’uomo e ha accusato l’uomo; altri hanno visto morire il Salvatore, reggitore di mille speranze, e sono fuggiti; altri hanno sentito morire il figlio di Dio e hanno alzato il dito verso Dio.
Ma colui che aveva preso il pane, lo aveva benedetto, spezzato e condiviso, colui che aveva detto: «Prendete e mangiate, questo è il mio corpo», lui offre tutto se stesso, il suo stesso spirito, la sua vita, perché chi di lui si fida possa riceverla con abbondanza.
Ecco, celebrare la solennità del Corpo e Sangue di Gesù significa ricordare a noi stessi che Dio, il Dio comunione, il Dio vitalità, il Dio trinità ed effervescenza d’amore, ci raggiunge sempre e ci nutre. E si fa per noi pane, cibo, sorgente inesauribile di vita e di gioia!

UNA PREGHIERA COME SOSTEGNO

Pane di vita, sorgente di gioia

Signore Gesù, pane del cielo,
ogni giorno ci nutri di vita,
di quella vita infinita
che vibra nel cuore di Dio.

Sei pane che alimenta
il più flebile dei nostri respiri.
Se nutrimento che dà forza
quando tutto sembra consumarci.
Sei cibo che sazia la fame di senso
e acqua che disseta l’arsura più tenace.

Possa il nostro cuore cercarti, Signore Gesù,
possa tutto di noi desiderare te,
pane della vita, sorgente della gioia.
Amen.

DAL VANGELO DELLA DOMENICA
(Gv 6,51-58)

In quel tempo, Gesù disse alla folla:
«Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

Liturgia completa su >>> CLICCA QUI

La PREGHIERA e le COVER in formato da scaricare e condividere sui social

I nostri social:

«Dio misericordioso e pietoso, ricco di amore e di fedeltà»- BUONA DOMENICA! Solennità della Santissima Trinità – ANNO A

Sia benedetto Dio Padre,
e l’unigenito Figlio di Dio,
e lo Spirito Santo;
perché grande è il suo amore per noi.
(Antifona)

Ve lo confesso. Oggi anno, quando arriva il momento di commentare le letture che la liturgia di questa splendida solennità ci propone vado in crisi. La Trinità è un mistero immenso e ogni parola non fa altro che chiudere ciò che è aperto, mettere un limite anche se non intenzionale e solo linguistico a ciò che di per sé è l’infinito per eccellenza.
Oggi il modo migliore per meditare questo grande mistero è il silenzio. Certo non si possono lasciare pagine bianche, né si può registrare il nulla. Ma quello che oggi chiedo a me e propongo a voi è di celebrare la Trinità ricavandoci del tempo per contemplare la sua presenza tra noi, le sue meraviglie, la sua opera.
“Certo”, mi direte… “e come si fa? C’è qualcosa di più invisibile? Di più intoccabile? Di più misterioso?”.
E avete ragione! Come fare allora per contemplare le opere che Dio – Padre, Figlio e Spirito Santo – compie? Cosa ci dicono le letture?
Partiamo dalla prima. Nel Libro dell’Esodo il Signore si presenta a Mosè, e lo fa chiamandosi per nome: «Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà». Questo è il suo nome! Nella seconda lettura, san Paolo, scrivendo ai Corinzi, non ha dubbi e parla di un Dio dell’amore e della pace, di un Dio che nella grazia offerta dal Figlio, nell’amore partecipato del Padre e nella comunione donata dallo Spirito diventa benedizione. In ultimo il Vangelo – quasi come una ciliegina sulla torta – mette un punto definitivo, semmai fosse rimasto qualche dubbio: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio». E tutto questo ha un’unica motivazione: salvare, donare vita eterna, letteralmente vita che non muore. E noi lo sappiamo: il Figlio donato significa molte cose. 1: la nostra umanità non è più altro rispetto a Dio. Dio non la salva come altro da sé. Dio ci ha portato in sé. 2: nel Figlio abbiamo ricevuto lo Spirito, che è sempre molto altro e molto oltre il nostro pensiero. Lo Spirito è la vita di Dio, la sua generatività, il suo continuo e instancabile soffiare vita nella morte. 3: nel Figlio noi possiamo conoscere il volto, il cuore, la passione di Dio, che altro non desidera se non includerci in sé, in quella vita che non è mai uno, non è mai chiusa e definita, non è mai fissità inscalfibile. Dio ha mandato suo Figlio perché l’umanità smetta di credere in un Dio irraggiungibile e tremendo e inizi a credere in quel Dio che dal primo momento – nella notte del tempo e dello spazio –, quando nulla era, nulla esisteva, ha voluto che la vita fosse, e fosse in eterno divenire, mai uguale a se stessa, mai ripetitiva, mai bloccata. Dio ha mandato suo Figlio perché ricordassimo che il suo nome e il suo volto è misericordia, amore, tenerezza, fedeltà.
Alla luce della Parola che oggi la liturgia ci ha donato, come possiamo allora contemplare la sua presenza tra noi, le sue meraviglie, la sua opera? Dio ha a che fare con l’amore, con la bellezza, con la fedeltà, con la vita in tutte le sue trasformazioni, con il non-finito, il non-determinato, il non-bloccato.
Oggi allora prendiamoci del tempo e contempliamo ciò che nella nostra vita a che fare con tutto questo. Perché dove c’è amore, bellezza, vita, fedeltà, autenticità, lì c’è Dio. E non un Dio monolitico, ma un Dio plurale; non un Dio “bloccato”, ma un Dio in eterno movimento, perché questo è amore.
Oggi, contempliamo e ringraziamo. Perché lui, «Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà» continua ad amarci e a includerci in sé. Sempre. Tutti.

Li udivano parlare la propria lingua: raccontavano le opere di Dio – BUONA DOMENICA! SOLENNITA’ DI PENTECOSTE – ANNO A

Come il Padre ha mandato me anch’io mando voi.
(Gv 20,21)

Quanto ne avremmo bisogno! Quanto avremmo bisogno di parlare ogni lingua possibile per raccontare le grandi opere di Dio, soprattutto una, la più inedita e sorprendente: Gesù! Non mi sono sbagliata, intendo proprio dire Gesù. È lui la più straordinaria “opera di Dio”. Lui, il non-creato, è stato generato per noi, perché la vita di Dio, il suo soffio, la sua generatività ci raggiungesse, ci penetrasse e facesse esplodere in noi Amore. Ditemi, non è forse immenso tutto questo?
Dobbiamo imparare a raccontare Gesù, dobbiamo desiderarlo, dobbiamo lasciare spazio allo Spirito perché diventi in noi parola buona, parola che salva, parola bella che genera vita, e ci genera alla vita. È questo il progetto di Dio, è questa la sua opera, iniziata al principio del tempo, quando nulla esisteva ancora, portata a compimento nella vita, nella morte e risurrezione del Figlio suo, e realizzata ogni volta che ognuno di noi si apre a lui.
Non c’è nulla che possa frenare lo Spirito di Dio se non noi stessi. Gesù è abituato a entrare varcando porte chiuse. Sa sostare tra chi per paura preferisce posizioni di chiusura e prudenza. Sa abitare le nostre paure. Sa parlare al nostro dubbio. Sa placare le nostre inquietudini.
Non c’è nulla che possa bloccare noi. Non c’è nulla che possa impedirci di accogliere, di aprirci, di diventare casa del dono. Non c’è nulla che ci renda incapaci di dire il nostro sì. Una cosa però è certa: non possiamo confrontare le risposte né possiamo indicare uno le vie all’altra. Nessuno di noi può farsi misura per un altro. I carismi sono diversi, perché infinite sfumature ha la vita di Dio, e lo Spirito ci rende parte di quella vita. In Gesù Signore continuiamo a riceverlo, e lui in noi si fa molteplicità e differenza.
Quanto è bello lo Spirito, che ci rende uguali proprio perché diversi; e chiede a ognuno di noi una risposta unica, perché unico e non omologabile è il dono.
L’intelligenza, la parola, la creatività, la lentezza, la vivacità, la pacatezza, la profondità, il brio, l’arguzia, la determinazione, la delicatezza… e ognuno ne aggiunga di propri: sono tutti doni dello Spirito, doni non legati ad alcun merito, e per questo gratuiti, doni per il bene comune. Il bene comune, già… Che magica parola. Il bene comune. Il bene di tutti. Non il proprio, non il mio. Ma il bene di tutti, di tutti noi, perché noi siamo corpo. Per questo non possiamo essere io. Noi siamo corpo. Per questo non possiamo che vivere e far vivere. E lo Spirito in questa meravigliosa avventura è dalla nostra parte. Invochiamolo, lasciamogli spazio, diventiamo la sua casa!
Il tempo di Pasqua si conclude oggi, solennità di Pentecoste, facendo risuonare per noi una promessa compiuta. Quel «ricevete lo Spirito Santo», pronunciato da Gesù per i suoi discepoli continua a essere una promessa certa anche oggi, per noi: è risposta a ogni nostra invocazione, è certezza di un dono che continuamente ci supera e ci rende nuovi. Lo Spirito di Dio, il soffio della sua vita, l’Amore che costantemente unisce il Padre e il Figlio, scorre anche in noi, tra noi, vivifica il mondo e lo rende vivo. Invochiamolo! Senza mollare mai. Oltre ogni scoraggiamento, c’è lui, lo Spirito Santo di Dio, capace di abitare ogni nostra timore, di dare vita in ogni situazione di morte, di risollevarci e riportarci a Dio, di renderci nuova creazione, capace di rendere visibile la straordinaria opera di Dio per noi.

Stare a guardare il cielo… – BUONA DOMENICA! ASCENSIONE DEL SIGNORE – ANNO A

Questo Gesù,
che di mezzo a voi
è stato assunto in cielo,
verrà allo stesso modo
in cui l’avete visto
andare in cielo.
(At 1,11)

«Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?»
Domanda tosta e diretta, rivolta a quegli undici apostoli ancora troppo divisi tra terra e cielo, tra gli eventi ancora vivi della crocifissione e morte e quello straordinario stare di Gesù con loro. Quasi una seconda vita, una nuova possibilità per ridare senso a quelle sue parole e gesti che ora possono essere guardati con occhi e cuore nuovo.
Ma la stessa domanda è rivolta anche noi, donne e uomini che abbiamo scelto di avere in Gesù la via verso la pienezza, il senso stesso della nostra vita, la verità che può donare nuove lenti con cui scoprire e vivere il mondo: «Donne e uomini di Gesù Cristo, perché state a guardare il cielo?».
Il messaggio è chiaro: non siamo fatti per stare con gli occhi all’insù, per attendere che i miracoli accadano da soli, per legare la nostra fede e la fede delle nostre sorelle e fratelli a cose che non hanno nulla a che fare con la terra. Ma d’altra parte non siamo neppure donne e uomini di sola terra. Non può bastarci misurare, governare, gestire, calcolare. La sola terra o il solo cielo sono infondo le due tentazioni con cui gli apostoli si misurano: prima cercano di allontanare Gesù da tutte le possibili situazioni rischiose, poi tentano di depistarlo da quelle sue strane premonizioni che sanno di incomprensione, sofferenza, rifiuto e morte. Quindi, quando finalmente sembrerebbe tutto chiaro, quando, dopo la Passione e risurrezione, Gesù sta con loro e li apre a una nuova presenza e a una nuova relazione, gli undici non mollano e cercano ancora una volta di tenere tutto sotto controllo: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostruirai il regno per Israele?».
Niente da fare: ancora una volta la terra vince, e vince il tentativo di rimettere ordine nelle cose, nella storia e nella propria vita. Vince il bisogno di certezze… la risurrezione è troppo destabilizzante e l’ascensione non ne parliamo…
Eppure ancora una volta la risposta di Gesù non si fa attendere: di fatto non dà risposte, non impone certezze. Offre e promette un dono, anzi il dono: lo Spirito Santo, colui che solo può aprire al diverso, colui che solo rende capaci di sostenere l’incerto, colui che solo può rendere forti al punto tale da guardare il cielo, da reggere le sue logiche e da trasformare la propria vita in un cantiere. Proprio così, un cantiere, per costruire quotidianamente ponti tra la terra e il cielo, tra la porzione di terra e di vite che abitiamo e quel cielo che costantemente ci chiama.
Noi, donne e uomini che hanno messo Gesù di Nazaret al centro delle proprie scelte, non dobbiamo fare altro: invocare il Dono, lasciarci invadere dal Dono – lo Spirito di Dio – per rendere discepole le genti, dove in quel «discepole» c’è tutta la pienezza di un incontro e di una relazione che rende autentica e piena la vita, capace di bene, capace di futuro, capace di umanità.
Avanti. Nessuna nostalgia ci rallenti. L’amaro in bocca per ciò che non ci saremmo aspettati non ci paralizzi. Possa il dono che attendiamo dal Risorto renderci capaci di costruire vie, ponti, anche nel deserto, anche dove è rischioso, anche quando è difficile se non impossibile… È di questo che ci rende capaci colui che un giorno da quel cielo tornerà.

Io vivo e voi vivrete – BUONA DOMENICA! VI DOMENICA DI PASQUA – ANNO A

Se uno mi ama, osserverà la mia parola, dice il Signore,
e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui.
(Gv 14,23)

Siamo nel tempo pasquale, tempo liturgico in cui riecheggiano parole quali risurrezione, gioia, Spirito Santo, amore. Parole straordinariamente piene di vita, di novità, di ripartenza, di dono. Perché altro non dovrebbe essere la nostra fede, altro non dovrebbe assorbire le nostre energie.
Se potete, leggete l’antifona di ingresso: “Con voce di gioia date l’annuncio, fatelo giungere ai confini della terra: il Signore ha riscattato il suo popolo”. Leggetela, trasformatela in preghiera e perdetevi dentro, perché altro davvero non serve. Siamo dei riscattati. E lo siamo per amore. Nessun prezzo, nessun ricatto, nessun debito: tutto è stato pagato da colui che per noi non vuole altro che salvezza: Gesù, il Maestro di Nazaret che insegna a tavola, il Dio fatto carne, il crocifisso innocente, l’ucciso risorto, colui che è il paradosso fatto persona. E allora di che stupirsi? Perché continuiamo a voler addomesticare il Vangelo? Perché vogliamo tenere sotto schiaffo lo Spirito?
Pasqua è il fondamento della nostra fede, Pasqua ci ricorda in chi crediamo e su che cosa investiamo le nostre energie migliori e la nostra vita. Sì, investiamo. Non rinneghiamo nulla, perché ciò che abbiamo è dono. E il modo migliore per onorare un dono è trasformarlo in dono.
Pasqua è inaudita e improbabile novità che, accadendo, ha messo in questione tutta la storia, e sì, anche il consueto modo di pensare Dio e di porsi nei suoi confronti.
Ora mi chiederete: “Ma che cosa c’entra tutto questo con le letture della liturgia della VI domenica di Pasqua?”. Tutto e niente.
Se cercavate un commento letterale, nulla; se con me preferite prima di tutto gustare e immergervi nella bellezza della Parola, tutto. Respirate la parola di Dio, prima di approfondirla con opportuni commentari. Respiratela, ma non usatela, non manipolatela, non trasformatela in ciò che non è: un’arma. Respiratela perché è voce di Dio che tocca e cambia ciò che incontra!
Ma torniamo alla forza dei brani che la liturgia ci propone.
Filippo, con le sue parole e i segni compiuti, semina fiducia e gioia. Su coloro che scelgono di credere scende lo Spirito Santo. E la novità spacca otri vecchi già in queste prime parole. Perché? Siamo in Samaria, mica a Gerusalemme. Terra di cani, mica di santi? Terra di chi è scomunicato e fuori dal buon seminato. E infatti Pietro e Giovanni partono… A Gerusalemme gli apostoli hanno bisogno di certezze, non di voci. Ma lo Spirito, si sa, segue le sue vie. E scende con abbondanza anche dove meno te lo aspetti.


E lo Spirito è una promessa, è un dono, anzi, è il dono! Dono che per noi, per ognuno di noi, si fa quotidianamente consolazione, forza, determinazione, difesa. Per noi è il ponte verso Dio. È colui che può convincerci a credere nell’impossibile, a generarlo, ad attenderlo. È lui che può portarci nel cuore stesso di Dio, svelarci la pienezza fuori misura di quelle parole del Signore che altro non sono se non la nostra possibilità di pienezza. Per questo ci è chiesto di seguirle, di ascoltarle e accoglierle: perché sono segno di un amore che si fa realtà nella nostra storia personale e nelle nostre scelte quotidiane. Perché sono la condizione di possibilità di quella speranza che non muore, non cede, non molla.
E allora perché perdere tempo in altro? Facciamo della nostra fede in Gesù un esercizio continuo di accoglienza della Parola e delle sue destabilizzazioni, di speranza instancabile, di annuncio gioioso di risurrezione.

Vedere Dio, conoscerne la via – BUONA DOMENICA! V DOMENICA DI PASQUA – ANNO A

Io sono la via, la verità e la vita.
(Gv 14,6)

Vedere Dio… Lasci un commento chi tra noi non ha mai desiderato vederne il volto, scoprire l’intensità dei suoi occhi, ascoltare la profondità della sua voce, sentirsi raggiunto dalla sua tenerezza. E dico proprio a livello fisico, tangibile.
A meno che io non sia proprio strana, credo che molti lo desiderino, soprattutto quando le cose si fanno serie, il carico pesante e il colore della giornata sembra deciderlo più la desolazione che la consolazione. Eppure…
Sì, eppure… lo dico e lo ripeto… Eppure! Eppure non è strano desiderarlo anche se ci siamo abituati a vivere la fede come qualcosa di assolutamente cerebrale. Non è strano desiderarlo e non è strano viverlo. Già… viverlo! Perché Dio è un incontro, non un ragionamento; un’esperienza, non una dimostrazione. È come quando un bambino sente di essere al sicuro tra le braccia della mamma. Puoi dimostrarlo? No, ma è vero. Con Dio funziona esattamente così: lo puoi sentire, lo puoi vivere, lo puoi sperimentare, anche se le tue parole e soprattutto i ragionamenti non riescono a dimostrare quanto sia vero quello che vivi.
Ecco, io credo che quel meraviglioso scambio tra Gesù e Tommaso, tra Gesù e Filippo, Gesù e i discepoli, punti proprio lì. Gesù sposta i suoi discepoli da quelle prospettive di normalità e tradizione. Perché Dio è sempre oltre. E con Gesù lo è stato decisamente molto. Un Dio Figlio… ci può anche stare, ma un Dio uomo è decisamente strano, e un uomo Dio è proprio fuori misura. Eppure è questo ciò che l’evangelista Giovanni descrive: un nuovo modo di scoprire e avvicinarci a Dio, un modo che cambia decisamente anche la nostra vita.
In che senso?! Proviamo a entrare nella Parola che la V domenica di Pasqua ci consegna. Con il capitolo 14 è come se nel Vangelo di Giovanni iniziasse un’ampia parentesi che si chiude solo con il primo versetto del capitolo 18, quando Gesù esce con i suoi dal Cenacolo e si dirige verso il giardino nel quale fu arrestato.
Ma cosa succede prima, alla fine del capitolo 13? A che cosa si legano quelle parole con cui oggi inizia il Vangelo: «Non sia turbato il vostro cuore»?
Gesù nel cenacolo ha appena finito di lavare i piedi ai suoi recalcitranti discepoli, ha annunciato il tradimento, ha intinto un boccone di pane e lo ha dato a Giuda, ha consegnato il comandamento nuovo e ha spezzato il prorompente ardore di Pietro: «Darai la tua vita per me? Non canterà il gallo prima che tu non m’abbia rinnegato».
Possiamo dire senza alcun dubbio che questo brano di Vangelo dalle parole rassicuranti e dagli orizzonti decisamente ampi, arrivi in un momento di grande disorientamento per i discepoli.
Davanti a loro le promesse che hanno valicato i secoli stanno diventando realtà. Almeno nelle parole di Gesù. Colui che aveva detto di essere la porta per tutti coloro che gli sono affidati, colui la cui voce avrebbe condotto verso la salvezza, colui che non avrebbe lasciato che neppure uno solo si perdesse, beh proprio lui, lui che si è appena chinato a lavare le loro sozzure, lui è la via verso il Padre, lui il volto di Dio, lui il suo cuore, lui le sue parole, lui la sua tenerezza.
Non c’è più distanza tra noi e Dio. Noi possiamo vedere, possiamo toccare, possiamo raggiungere.
Lui, troppo uomo per poter essere Dio, ha aperto per ogni essere umano la possibilità di essere Dio. Ma non uno dei tanti dèi potenti e sfruttatori. Lui, Dio respinto e ucciso perché troppo umano, ha reso proprio l’umanità, e l’umanità autentica, la via per scoprire la verità di Dio e poterne ricevere la vita.

Una promessa per i lontani – BUONA DOMENICA! IV DOMENICA DI PASQUA – ANNO A

Se uno entra attraverso di me, sarà salvato
(Gv 10,9)

Siamo cristiani. Sì, lo siamo. O almeno diciamo di esserlo. Ma tecnicamente che cosa intendiamo quando lo diciamo? Se diciamo siamo italiani, o pugliesi, o campani, o veneti, o lombardi significa che ci riconosciamo appartenenti a una particolare comunità che condivide dei valori, riconosce delle radici comuni; ci sentiamo impastati di una determinata cultura e sentiamo di essere figli di specifiche tradizioni. Cosa significa allora essere cristiani?
Voi mi direte: «Ma cosa c’entra questa domanda con il bellissimo brano evangelico del Buon Pastore?».
Ve lo confesso: a sollecitare questa domanda sono le affermazioni di Pietro nella Prima lettura. In questi giorni del Tempo di Pasqua più volte sono risuonate queste parole: «Quel Gesù che voi avete crocifisso Dio lo ha risuscitato, lo ha costituito Signore». E quindi: «Convertitevi! Fatevi battezzare! Salvatevi da questa generazione perversa!». Ve lo confesso. Non so stare nella pace davanti a queste frasi. Sì, frasi. Perché spesso noi cristiani riduciamo il Vangelo a questo: a frasi estrapolate e scaraventate contro qualcuno. A frasi che come pesanti macigni piombano nella vita delle persone e le fanno sentire meno di zero, o colpevoli, o inadatte, o deboli rispetto alle attese di chi sa sempre qual è la via giusta. Certe volte penso che abbiamo imparato più da Pietro che da Gesù. Viviamo un cristianesimo di sentenze, di annunci. Raccontiamo lui, ma forse dovremmo puntare ad altro. A cosa? Se abbiamo conosciuto aspetti bellissimi di Dio lo dobbiamo a quel Gesù che di Dio ci ha mostrato il cuore. E allora forse più che limitarci a raccontare che cosa ha fatto Gesù non dovremmo puntare a far vedere con la nostra vita, le nostre scelte quanto è grande il suo cuore? E non me ne vogliate, ma sempre più frequentemente mi chiedo quanto sarebbe stato diverso un cristianesimo fatto non di parole (e di scomuniche) ma di gesti e parole intimamente connessi, proprio come quelli di Gesù, il Buon Pastore.
Già, caro Pietro… perché non possiamo dire che la “promessa” è per quelli che sono lontani, se poi chi è lontano lo definiamo “generazione perversa”. Chi è lontano andrebbe semplicemente raggiunto, ma non a forza di parole, ma di gesti, di scelte, di una pienezza che sa raccontarsi da sola, senza finzioni, senza sforzi, senza artifici.
Guardate quanto è credibile quel Pastore buono che dà la vita – e la dà in abbondanza – per coloro che gli sono affidati (vicini e lontani). È credibile perché pur di salvare non lesina nulla, non fa passi indietro, non contraddice la sua parola. Ha annunciato pace? E lo fa fino alla fine: non risponde con insulti né con vendetta o inganno. Ha promesso di salvare? E lo fa fino alla fine: si carica di un peccato non suo e lo crocifigge su una croce, lasciandosi crocifiggere.
È questo il Signore che dovremmo lasciar trasparire nelle nostre scelte quotidiane. Il suo amore, la sua cura, la sua promessa di vita dovrebbero poter raggiungere “i lontani” attraverso scelte di inclusione, di accompagnamento, di attenzione, di premura, di difesa dell’escluso, di riconoscimento della dignità, anche della dignità di chi ha sbagliato. Così, e solo così oggi la voce di Dio, Pastore buono, potrà continuare a chiamare. Perché chiunque si sentirà raggiunto da una parola di vita e non di condanna, da una parola di salvezza e non di morte possa scegliere di seguirlo.
Possa il Vangelo fare breccia in noi credenti per spalancare vie di una umanità nuova, autentica e vera.

Sulla strada verso Emmaus – BUONA DOMENICA! III DOMENICA DI PASQUA – anno A

Lo riconobbero nello spezzare il pane.
(Cf. Lc 24,35)

Allora, oggi, su che cosa vogliamo concentrarci? Sui due discepoli che si allontanano da Gerusalemme verso Emmaus? Su che cosa vogliamo puntare la nostra attenzione? Sulla loro tristezza, nostalgia o delusione? E se lo facessimo, che cosa ne ricaveremmo? Nulla se non forse mezzo gaudio dovuto a un mal comune. Sì, mal comune perché magari anche noi in una situazione storica non così esaltante potremmo provare le stesse emozioni. Ma poi? Correremmo il loro stesso rischio: parlottare tra noi, o peggio, con noi stessi, e convincerci che tanto alla fine tutto è inutile e che magari non vale neppure la pena sprecare energie per sognare o per credere in qualcosa… fosse pure Dio.
Ecco, oggi, terza domenica di Pasqua, facciamo un esercizio: scrolliamoci di dosso, e scrolliamo dalle nostre sinapsi, dagli occhiali del nostro cuore, dalle idee che ci frullano in testa tutto quel nerume che offusca i nostri occhi. Spalanchiamo le finestre del cuore e concentriamo tutta la nostra attenzione su una, ed una sola, certezza: abbiamo a che fare con un gran Signore. E ci metto la maiuscola. Un gran Signore davvero! Ma chi lo ferma quel Gesù? Guardiamo quant’è bello. Ma ci pensate a quel giorno?
Lì a Gerusalemme era un gran caos. Ed era più che legittimo per quei poveracci non capirci nulla. Era legittima la nostalgia di quei discepoli e discepole di Gesù, era legittimo il loro bisogno di mettere una certa distanza tra le loro vite e quel sepolcro… e quel cenacolo… e quelle tre croci ancora lì fissate nel terreno.
Ma chi lo ferma quel Gesù! Se l’odio non è riuscito a farlo tacere, se la morte non è riuscita a tenerlo in suo potere, potevano forse riuscirci stanchezza, amarezza, delusione? Nulla lo ferma!
Gli occhi dei suoi sono incapaci di riconoscerlo? Pietro è incapace di vedere un sepolcro vuoto e di capire? Le donne non riuscivano a cercare altro in quel sepolcro se non un corpo morto? Ma a lui tutto questo non importa! Lui si affianca, lui si lascia rallentare, interrogare, invitare.
Per raggiungerci, oggi esattamente come ieri, non ha bisogno di essere riconosciuto, onorato, lodato. A lui stiamo a cuore noi. A lui sta a cuore la nostra vita. Questa è la bellezza degli eventi accaduti lungo quella strada da Gerusalemme a Emmaus.
I nostri occhi, esattamente come quelli di Cleopa e dell’altro discepolo (che in realtà potrebbe essere anche una discepola), possono riconoscerlo nello spezzare il pane solo perché prima di quel pane c’è una fatica condivisa, c’è la condivisione di una storia e di tanta difficoltà. Quel “pane spezzato” può accadere proprio perché c’è strada fatta insieme prima di un invito.
È disarmante quello che succede trai due discepoli e il Maestro: all’inizio del Vangelo è Gesù a passare e a chiamare quelli che sarebbero stati i suoi discepoli. Ora sono loro a chiamare lui, a chiedergli di far parte della loro vita, di entrare in quella loro impotenza, di sostare con loro sulla soglia della loro voglia di speranza.
È qualcosa di straordinario, che tocca in profondità e commuove. Ed è ciò che continua ad accadere, anche per noi tutte quelle volte in cui gli eventi oscurano la nostra speranza, attentano alla nostra fede, spengono la nostra passione. Lui c’è! A tratti con una parola forte che riesce a scuoterci da noi stessi, altre volte con un segno, con una presenza, anche invisibile, capace di farci battere il cuore di nuovo, per ripartire, magari anche ritornando sui nostri passi, ma con una vita nuova da condividere. Lui c’è! Si affianca a noi, e questa è la nostra certezza, quella certezza che fa vivere!

Pasqua è crederci! – BUONA DOMENICA! DOMENICA DI PASQUA – Risurrezione del Signore

Il Signore è veramente risorto. Alleluia. 
(Cf. Lc 24,34)

Pasqua! E finalmente possiamo ritornare a cantare il nostro Alleluia. Quello che abbiamo contemplato e celebrato è il dono dei doni, la pienezza di un amore totalmente gratuito e assolutamente privo di condizioni. E per quanto questo possa sembrarci strano, le cose stanno esattamente così: quel Gesù di Nazaret, che con le sue parole e i suoi gesti ha fatto vedere la bellezza e l’intensità di un Dio molto oltre ogni umana immaginazione, si è spinto davvero fino all’estremo. Dove per estremo intendo proprio il suo essersi fatto dono per un gruppo di irriducibili increduli, traditori, codardi…
Penso a Pietro. Sì, certamente, il Pietro che la Prima lettura ci fa incontrare è un apostolo convinto e convincente, ma lo stesso Pietro incontrato nel Vangelo lo vediamo alle prese con un sepolcro vuoto, con teli posati in un angolo, un sudario e tanta confusione (nella testa e nel cuore). Già… Pietro: figura di chi non corre dietro a una croce, di chi non ha sempre la forza di riconoscere Dio. Pietro che, sì, alle parole di Maria di Magdala, corre; anche se la sua sembra essere una corsa rallentata. Una certa filmografia ce lo fa vedere appesantito anche dall’età rispetto al giovane Giovanni. Eppure chissà davanti all’annuncio di quel sepolcro vuoto che cosa sarà scattato nel suo cuore. Cosa avrà ricordato in quel momento del maestro? Forse a rallentare la corsa più dell’età avrà pesato la delusione o la rabbia verso se stesso: per aver rinnegato, per non aver seguito… Lui che avrebbe dato la vita per Gesù di Nazaret.
Eppure, che bello oggi poter accostare il Pietro testimone con il Pietro confuso e… non ancora credente. Già… non ancora credente: perché il suo è un «vedere» diverso da quello di Giovanni. “Il discepolo che Gesù amava” vede e crede; infatti con quel verbo «vide» abbinato “all’altro discepolo” l’evangelista ci dice un di più. Quello che noi traduciamo con «vide» è un vero e proprio contemplare; mentre il verbo abbinato a Pietro è «osservare», per vedere, per capire.
Eccolo Pietro: testimone da una parte e non ancora credente dall’altra. Perché l’uno non esiste senza l’altro, e proprio per questo Pietro diventa testimone credibile di colui che si è fatto salvezza, che ha inchiodato con se stesso ogni colpa sul legno della croce; che ha sconvolto ogni attesa, ogni equilibrio, ogni logica; che ha dato fiducia a un debole, ha confermato un traditore, ha chiamato uno dalla testa dura.
Gesù è Signore e dà la vita davvero a tutti: questo è il grande annuncio di Pasqua. E nessuno ne può restare escluso. La Pasqua ci raggiunge anche quando i nostri occhi non riescono a vedere risurrezione, ma solo assenza. La risurrezione ci attraversa anche quando non riusciamo a vedere altro se non spazi vuoti, macerie, segni di qualcosa ormai passato.
Possa la voce di Maria di Magdala, scossa dall’assenza, tirarci fuori dalle nostre zone di comodo standby. Possa chi nella notte vede pietre rimosse, correre con coraggio per svegliare i sonni più stanchi e rassegnati. Molti di noi vivranno questa Pasqua come Maria, altri come Giovanni, altri ancora come Pietro. Ma proprio ognuno di questi tre apostoli, con i suoi tempi e le sue risposte, ci dice che la Pasqua è possibile per tutti noi, sempre.
Buona Pasqua di risurrezione!

Imitiamo le folle di Gerusalemme! Ma che, davvero? – BUONA DOMENICA! DOMENICA DELLE PALME – ANNO A

Osanna al Figlio di Davide!     
Benedetto colui che viene nel nome del Signore,
il re d’Israele!
Osanna nell’alto dei cieli! 
(Mt 21,9)

Con la domenica delle Palme inizia la Settimana santa, la grande settimana che ci porterà nel cenacolo, che ci farà sostare accanto al Gesù in preghiera nell’Orto degli Ulivi, e poi con lui lungo la via della croce, fino al Calvario e nel silenzio del sepolcro…
Di solito la domenica delle Palme inizia con una processione, breve o lunga che sia, e con la benedizione di nuovi rami di ulivo, per poi portarci all’ascolto del Passio, una vera e propria immersione nei racconti della Passione.
L’inizio della processione sarà in qualche modo rievocazione. Andremo anche noi lì, dove altri erano. Canteremo e alzeremo anche noi rami di ulivi o di palme. E invocheremo, e diremo il nostro Osanna. E le parole che ci introdurranno o che ci hanno introdotto potrebbero essere proprio queste: «Imitiamo le folle di Gerusalemme». E io mi chiedo: «Davvero?». Quelle folle non fanno una gran bella figura. Sì, la partenza è decisamente buona, ma poi? E in tempi di populismi, di “esisti se ti acclamano a suon di like”, di influencer, che cosa quelle folle hanno da dirci e da insegnarci?
Mi chiedo: chi era parte di quelle folle?
Quando noi pensiamo alla folla che accompagnò la permanenza di Gesù a Gerusalemme ci sembra di essere davanti a dei volta gabbana. Prima mantelli stesi e osanna a tutto andare, poi con la stessa forza un unico grido: «Sia crocifisso!», ripetuto più e più volte. Uomini e donne assolutamente inconsistenti su cui dei poteri forti hanno fatto leva per ottenere dal potente di turno, sempre a caccia di consensi, ciò che alcuni avevano deciso essere il bene di tutti.
Eppure, quella folla è davvero molto eterogenea. È fatta sì dal popolo ignaro, buono solo a farsi trascinare, ma era costituita anche da discepoli e discepole, dai Dodici, dalla Madre di Gesù e dalle altre donne, da quei capi e anziani che in vari modi avevano manifestato apprezzamento per quel Maestro di Nazaret e da lui avevano anche ricevuto molto, dagli amici, da chi pur guardando da lontano aveva riconosciuto in quel Galileo un uomo dalla parola autorevole. Quante emozioni contrastanti avranno attraversato quella folla anonima e indistinta! Quante lacrime inascoltate e coperte dalle urla dei più forti (o forse solo dei più deboli e per questo facilmente trascinabili)!
È folla, quella dei discepoli (e certamente anche discepole, Madre inclusa) che vive una cena pasquale unica nel suo genere e indimenticabile. È folla quella di chi nel Getsemani si addormenta, di chi arresta, di chi reagisce. È folla quella che assiste impotente, dentro e fuori i palazzi del potere, il compiersi di un’ingiustizia. È folla quella che condanna e quella che segue e accompagna il condannato. È folla anche quella che segue da lontano.
Noi chi siamo? Perché in quella folla ci siamo anche noi, oggi. Di fronte al Figlio di Dio crocifisso e risorto c’è ognuno di noi che può e deve scegliere se restare o uscire dalla folla, se lasciarsi compromettere dalla Pasqua o continuare a osannare sì, ma guardando alla giusta distanza.
È facile scegliere chi essere rispetto a quel Gesù, condannato e ucciso duemila anni fa. Il punto è chi decido di essere oggi perché ogni figlio di Dio non sia più accompagnato a un patibolo, ma alla vita. A una vita risorta prima ancora che uccisa. Questa Pasqua può essere per noi una nuova Pasqua, un passaggio verso la vita che Dio vuole generare attraverso noi!