Lo Spirito del Signore è sopra di me:
mi ha mandato a portare
ai poveri il lieto annuncio.
(Cf. Lc 4,18)
Che cosa ci trasforma in una “genìa di ribelli”? Che cosa rende la nostra vita, la nostra mente, il nostro cuore un luogo inospitale per Dio?
La Prima lettura apparentemente scoraggia. Di fronte a noi il popolo scelto è incapace di riconoscere Dio all’opera. I figli di Israele a cui Ezechiele viene mandato vengono descritti come figli ribelli, figli ri-voltatisi – voltati dalla parte opposta rispetto a Dio; figli testardi e dal cuore indurito che si sono sollevati contro il loro Dio.
La Prima lettura però solo apparentemente scoraggia, perché di fatto è come un urlo potente – o forse anche un flebile sussurro – che Dio rivolge a noi come a loro; è la conferma della sua presenza; è l’alleanza che si rinnova; è Dio che dice: «Ascoltino o non ascoltino, sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro». E non saprei… ci pare poco? Pare poco sapere che nonostante tutto, nonostante la durezza del nostro cuore, nonostante la caparbietà delle nostre chiusure interiori, nonostante la superbia delle nostre convinzioni ci sono profeti in mezzo a noi, c’è Dio che tenta tutti i modi possibili per raggiungerci?
Di fronte a noi c’è un Signore che scende in campo, che non mantiene le distanze, che sceglie profeti – donne e uomini cioè che si lasciano attraversare dalla sua volontà e ne divengono docilmente strumenti, interpreti, canali; donne e uomini che imparano – pagando con la loro stessa vita – modi e linguaggi per comunicare la presenza del Dio vivo – generatore e rinnovatore – a chi oggi lo cerca, a chi lo ha smarrito, a chi non ne ha mai sentito il bisogno o non ne vuole più sapere nulla.
Il nostro Dio non mantiene le distanze. Che cosa allora ci può impedire di riconoscerlo e di seguirlo?
Il Vangelo che questa XIV domenica del Tempo Ordinario ci regala è diretto e senza fronzoli. Di fronte a noi un Gesù che insegna e guarisce – così lo abbiamo visto anche nelle domeniche precedenti, e nei brani di Vangelo che precedono questo. Ma insieme a lui Marco ci mette a tu per tu anche con genti, folle, parenti che si stupiscono. Il loro stupore però sembra avere il retro gusto amaro della sfiducia… Sono stupiti… ma non riescono a fare altro che ad ammettere che quel “profeta” è semplicemente uno di loro, uno di cui conoscono casa e origini… Quel profeta è troppo uno di loro per essere quell’atteso messia che tanto avrebbero desiderato.
Cosa impedisce a chi vede di credere?
Cosa impedisce a chi fa esperienza di Dio di affidarsi seriamente e decisamente?
E perché un profeta non può che essere disprezzato… non accolto?
Forse perché Dio quando entra nella storia non lo fa nel rispetto delle condivise comodità?
Forse perché lui altera certi equilibri?
Forse perché lui respinge tutto ciò che non è generativo? E chiede ai profeti di farlo?
Quanto accade all’apostolo Paolo, e che lui descrive nella Seconda lettera ai Corinzi, è esperienza-chiave anche per noi.
La superbia, l’avere in tasca verità tali da ergersi a maestri in nome di Dio, bloccare Dio in regole, norme e convinzioni del passato è ciò che lo stesso Paolo temeva. La debolezza invece sembra essere il suo consiglio per noi: quella debolezza di chi sa che ogni giorno deve imparare ad ascoltare e riconoscere Dio in sé stesso e nella storia. La debolezza è il passaggio chiave, paradossalmente è il segreto del successo. Ma non una debolezza fine a sé stessa che ci faccia sentire inutili di fronte a un dio forte, tutt’altro! Ma la debolezza e la fragilità di chi è consapevole di un limite che però può diventare canale di Dio.
Dio si fa storia nella nostra storia.
Dio si fa tenerezza nei nostri gesti e nelle nostre parole.
Dio vive nella storia e la fa germogliare attraverso le nostre quotidiane scelte.
Noi possiamo essere attraversati dalla sua potenza. Possiamo, ci è proposto. Ben consapevoli che la non accoglienza, la non comprensione è una possibilità, anche se non sarà mai l’orizzonte.
Insegnaci a scoprirti vivo
Signore Gesù, Dio vivo tra noi,
ne siamo certi, tu continui
a essere presenza che dà vita
e rende nuova ogni cosa:
aprici a te, perché lo stupore
per ciò che ci sorprende
diventi via per una fede autentica,
capace di spingerci
oltre i nostri stessi orizzonti.
Insegnaci ad accorgerci di te
negli eventi e nelle situazioni, nelle persone,
e a coltivare il sano dubbio interiore
che ci apre alla scoperta di te nel mondo.
Amen.
DAL VANGELO DELLA DOMENICA
(Mc 6,1-6)
In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono.
Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità.
Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.
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