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I nostri occhi vedono la presenza del Signore – BUONA DOMENICA! Solennità del Natale – ANNO A


Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi.
(Gv 1,14)

Che cosa contempliamo nel Natale? Che cosa celebriamo in questo giorno santo?
Nella prima lettura il profeta Isaia apre uno scorcio felice: sentinelle che alzano la voce per esultare, messaggeri di pace che annunciano salvezza, antiche rovine ricostruite, canti di gioia e confini estremi raggiunti da Dio. Nella seconda lettura l’autore della Lettera agli Ebrei non ci gira attorno: «Dio in questi giorni ha parlato a noi per mezzo del figlio».
Ma chi è davvero «il figlio» e che cosa possiamo vedere quando guardiamo a lui? Quando lo ascoltiamo? Quando riusciamo a vedere i suoi gesti?
L’evangelista Giovanni diversamente da Luca o da Matteo non ci racconta gli eventi della nascita e dell’infanzia di Gesù. Qui non c’è Maria e Giuseppe, non c’è Elisabetta e Zaccaria. In Giovanni non ci sono i magi e neppure i pastori. È come se in questo giorno davvero santo, l’evangelista ci spingesse un po’ più in là. È come se si avvicinasse a noi, fermi davanti al presepe, e ci dicesse: «Avanti, non è questo il Natale… non finisce qui. Basta con quegli occhi languidi e con quello spirito tenero la cui scadenza è il 26 dicembre. Vai oltre, vai dentro! Spingiti all’origine di ogni cosa. Cerca di capire il perché di quella grotta, di quella mangiatoia, di quell’evento, di quella nascita!».
Ogni pagina del Vangelo di Giovanni instancabilmente sembra ripeterci la stessa cosa: «Dio è luce. La luce vera. La luce contro cui le tenebre non smetteranno di combattere. La luce che non si stancherà di illuminare. La luce capace di trasformarci in luce». Dio è la luce che sceglie di entrare nelle tenebre, di penetrare gli abissi, di abitare la notte. Non c’è oscurità che lo possa allontanare. Dio è luce che penetra la storia, facendosi storia. Ma a noi tutto questo non basta ancora. Noi abbiamo bisogno di concretezza. Ci serve qualcuno che ci dica: «Amica, amico, guarda che qui non c’è poesia. È tutto vero! E di fronte hai un Dio in carne e ossa».
Già… di fronte a noi c’è un Dio in carne ossa. Perché per quanta poesia possa esserci nel prologo di Giovanni, quel primo capitolo non è altro se non una delle più belle e straordinarie premesse: Vangelo è l’essersi fatto carne di Dio. La più bella notizia è poter seguire il Dio che ci ha talmente amato da lasciare i cieli per sposare la terra, per farsi noi, per essere come noi a tal punto da aprirci alla possibilità di diventare come lui, diventare Dio. Lui non viene per chiedere, per prendere, per assicurarsi che tutto vada come voluto e sperato. Lui viene per aprirci definitivamente all’incontro con la luce, con l’amore. Si carica in modo totale della nostra povera e fragile umanità perché ognuno di noi, nessuno escluso, possa sentirsi attraversato dalla grazia, da quel dono gratuito e immeritato di pienezza.
Quel Bambino che oggi contempliamo è la luce che fin dalla notte dei tempi abita gli universi e attraversa il tempo. Quel Bambino è l’Onnipotente Parola che ha creato il mondo. Quel Bambino è il Dio crocifisso che non tratterrà la sua vita pur di darci vita in abbondanza.

UNA PREGHIERA COME SOSTEGNO

Luce vera del mondo

Luce del mondo, Verbo del Padre,
Vita che dona vita,
nasci ancora nel mondo,
nasci nelle nostre storie personali,
nelle pieghe disordinate
della nostra esistenza.
Emmanuele, Dio-con noi,
ti contempliamo presente
lì dove la notte spegne la speranza.
Parola fatta carne,
possa ogni spazio aprirsi a te,
per essere in te ricreato,
riaperto alla vita,
riconsegnato alla luce.
In questo giorno santo,
noi ti lodiamo e ti benediciamo.
Amen.

DAL VANGELO DELLA DOMENICA (Gv 1,1-18)

In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta.
Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
Giovanni gli dà testimonianza e proclama:
«Era di lui che io dissi:
Colui che viene dopo di me
è avanti a me,
perché era prima di me».
Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto:
grazia su grazia.
Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio, nessuno lo ha mai visto:
il Figlio unigenito, che è Dio
ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato.

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Gesù, Vangelo di Dio, fatto carne – BUONA DOMENICA! IV di Avvento – ANNO A


La vergine concepirà e darà alla luce un figlio
(Mt 1,23)

La quarta domenica di Avvento ci accompagna alle soglie del Natale. Siamo ormai prossimi, stiamo per celebrare il grande mistero della nostra fede: l’incarnazione di Dio, il farsi carne di colui che è oltre la carne.
C’è qualcosa di più in-credibile di un Dio che nasce? di una donna vergine che genera? di un Onnipotente bambino? Ecco, la quarta domenica ci corazza per farci affrontare ciò che la nostra mente con molta difficoltà tratterà con opportuna serietà. Perché diciamocelo, il Natale è una bella poesia, il suo spirito è una ricarica per l’anima, ma poi, chiuso il sipario sulla grotta, la verità delle cose sarà tutt’altro. E noi lo sappiamo bene. E in fondo ci piace così!
Invece Matteo è un evangelista con i piedi per terra, ama fare i conti con la storia, con le promesse, con la concretezza del vivere. La stessa concretezza che si respira nelle parole del profeta Isaia.


Quello che accade a Betlemme ha a che fare con una storia fatta di storie. Quello che accade a Betlemme è la risposta di Dio alle mani tese di donne e uomini che chiedono; è il farsi presenza di Dio per donne e uomini che cercano. Isaia tuona oggi esattamente come ieri: «Non vi basta stancare Dio?». Colui che vi è stato dato è la presenza tangibile di Dio, che non si stanca di nascere tra le pieghe sgualcite o strappate di ogni vita.
Leggendo il Vangelo, noi oggi partiamo con: «Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria…», eccetera… Ma quei versetti che precedono questo brano, per quanto possa essere noioso ascoltarli, sono di una grande consolazione. Dicono tutta la genealogia di Gesù, dicono cioè quanto sia stato concreto e scandaloso Dio, scegliendo di avere nel proprio albero genealogico, traditori, prostitute, peccatori incalliti, omicidi. Le madri di Dio, nella storia, non sono state grembi puri e per questo benedetti. I padri di Dio non sono stati semi puri e per questo benedetti. È Dio ad aver benedetto con la sua presenza una storia di peccato. Ed è forse questo il cuore delle letture che la domenica-soglia, la quarta domenica appunto, ci invita a dischiudere. È questo quel passo che Dio chiede a Giuseppe di compiere.
In Maria Dio sta urlando al mondo il suo farsi salvatore, il suo farsi prossimo, il suo farsi salvezza, il suo farsi vicino a noi e al nostro dolore, alle nostre sconfitte, al nostro peccato. Giuseppe è giusto, ma Dio non ha bisogno del giusto per entrare nella storia: si fa vita dove vita non c’è, dove il grembo non può generare; e chiede al giusto di restare a guardare, di difendere ciò che non comprende, accompagnando con stupore il compiersi della salvezza che solo la mano di Dio e il sì della creatura realizzano in pienezza.
Il Natale, permettendoci di contemplare il nascere di Gesù, sarà per ognuno di noi l’occasione per riscoprire ciò che lui veramente è: vangelo di Dio, bella notizia di Dio per noi. Non ci sono storielle a cui credere. Dio sceglie sempre la carne, quella vera, attraversata dal sangue e segnata dalla vita. Nel silenzio operoso di chi ogni giorno sceglie di vivere, lui si fa salvezza, si fa presenza, si fa Vangelo.
E a noi, come ad Acab è chiesto di ascoltare; come a Giuseppe, di credere; come a Maria, di fare spazio.

UNA PREGHIERA COME SOSTEGNO

Vieni, Emmanuele!

Come pioggia buona
che irrora il deserto, così,
Signore Gesù, nasci in noi,
nasci tra noi, nasci per noi.
I cieli si aprano perché,
abbondante, piova la vita,
e la nostra terra si apra perché,
abbondante, cresca la gioia.

Alle soglie del Natale,
vogliamo contemplarti, Vita di Dio,
vogliamo aprirci allo stupore dell’assurdo,
vogliamo permettere all’incredibile
di trovare spazio nelle nostre logiche.

Vieni, o Emmanuele, vieni!

DAL VANGELO DELLA DOMENICA (Mt 1,18-24)

Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.
Però, mentre stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».
Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa “Dio con noi”.
Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.

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C’è davvero qualcosa di cui gioire? – BUONA DOMENICA! III di Avvento – ANNO A

Lo Spirito del Signore è sopra di me,
mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio
(Is 61,1 (cit. in Lc 4,18)

È la terza domenica di Avvento, domenica della gioia… e di una gioia fondata! Prima lettura e Vangelo sono un tripudio di festa: tutto è pienezza, luce. Ogni cosa, persone o natura, sembra vibrare di una vitalità nuova. Quello che era attraversato dal dolore ora sembra diffondere vita a piene mani. L’attesa si carica di una speranza rinnovata, di una bellezza desiderata.
Oggi possiamo andare a Dio, rivolgerci a lui – in qualunque ambiente siamo e in qualsiasi condizione ci troviamo – e fare quello che Giovanni ha chiesto di fare ai suoi discepoli. Chiedere al Signore: «Sei tu colui che stiamo aspettando? Sei tu il portatore della nostra gioia? Sei tu che darai vita ai nostri deserti e riporterai i colori nelle nostre ombre? Gesù, sei tu colui che guarirà le nostre ferite e spezzerà i legami della morte?».
E certamente anche a noi lui risponderà nello stesso modo: «Guardatevi attorno, la risposta sta in ciò che vedete e ascoltate!».
In ciò che vediamo? In ciò che ascoltiamo? Forse Gesù voleva dire: in ciò che speriamo! In ciò in cui crediamo!
E invece no. I due verbi che l’evangelista Matteo mette in bocca a Gesù sono proprio: udire e vedere. Ed è qui il problema. È in questo che le sue parole potrebbero scandalizzarci. Anzi, diciamocela tutta: le sue parole suonano più come una bestemmia che come una promessa. Quello che vediamo e udiamo fa male, stritola il cuore.
La terra che frana e inghiotte futuro, e stritola vite, e spezza legami, e vìola la vita… È solo una terra matrigna, non è un deserto che fiorisce.
Uomini che uccidono altri uomini, donne che vengono violate e lacerate, figli che non possono aggrapparsi a coloro da cui sono stati generati, fratelli e sorelle in umanità che lasciano che altri muoiano tra stenti o onde… Sono solo ciechi che non vedono, muti che non si aprono all’incontro, sordi che non ascoltano, morti chiusi alla vita. Quando vedranno, Signore? Quando si apriranno all’altro? Quando ritorneranno a vivere e far vivere?
Quello che vediamo e udiamo ha il gusto amaro della sofferenza, del dolore, dell’innocente colpito, dell’altro non riconosciuto. È come se tutto ci dicesse che dobbiamo attendere ancora… dobbiamo aspettarne un altro…
Ma, ritorniamo un attimo al Vangelo e poi alla lettura di Isaia. Gesù aggiunge: «Beati coloro che non troveranno in me motivo di scandalo». Forse è qui il nucleo di tutto. Isaia invita la terra arida e il deserto a rallegrarsi, a riscoprire cioè motivi di gioia per una fecondità ancora solo promessa. È alle mani fiacche che dice di irrobustirsi, non alle robuste. È alle ginocchia vacillanti che chiede di diventare salde. È come se ad attraversare la Prima lettura e il Vangelo ci sia un invito a guardare e a udire oltre noi, oltre i nostri smarrimenti, oltre le nostre ferite.
Beati coloro che non si scandalizzano di Gesù di Nazaret, delle sue parole e dei suoi gesti, e sanno ascoltare la vita che dalla morte si genera come tralci nuovi da un innesto; e sanno vedere la luce splendere tra le feritoie di un’umanità colpita a morte.
Il segreto di questa beatitudine ce lo svela il contadino: vedrà e udrà colei, colui che pazientemente seminerà vita e attenderà che germogli.

UNA PREGHIERA COME SOSTEGNO

Occhi che vedono la salvezza

Signore Gesù,
Astro che splende nelle tenebre,
donaci occhi che sappiano
scrutare nella notte
le scintille della vita;
donaci orecchie che sappiano
ascoltare nel dolore
il sussurro della speranza;
donaci un cuore che
nelle solitudini che ci attraversano
sappia essere grembo di nuova umanità.

Vieni! Tu sei Colui che stiamo aspettando.
Sei tu il Dio-con-noi che
ci fa attraversare la morte
per incontrare la Vita.
Vieni, Signore Gesù.

DAL VANGELO DELLA DOMENICA (Mt 11,2-11)

In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».
Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”.
In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui».

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Che cosa fare? – BUONA DOMENICA! III DOMENICA AVVENTO – ANNO C

«Vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco»
Lc 3,16

«Che cosa dobbiamo fare?». Nel brano che oggi la liturgia ci propone, questa domanda si ripete per ben tre volte. Le folle, i pubblicani e alcuni soldati lo chiedono a Giovanni. E lo chiedono in risposta a quanto avevamo già ascoltato nella domenica precedente: Giovanni chiede a chi va da lui per battezzarsi «frutti buoni», «frutti degni di conversione», opere buone cioè che siano visibilità, manifestazione di un cammino interiore, di una apertura radicale a colui che ci chiama e ci viene incontro.
Aggiunge l’evangelista Luca, «il popolo era in attesa e tutti si domandavano se non fosse lui [Giovanni] il Cristo».
Oggi dobbiamo fare un esercizio di collegamento: dobbiamo legare due elementi importanti presenti in questa pagina evangelica. La domanda che riecheggia nel cuore di tutti, quel «Che cosa dobbiamo fare?», e l’attesa, quella condizione cioè di instabilità e allo stesso tempo di apertura. Perché chi attende si apre spontaneamente. Chi attende è proteso verso un arrivo, aperto a un incontro, disposto a una novità. Ed è proprio questa radicale disposizione interiore a consentire la domanda. E solo il coraggio di porre la domanda fa sì che ci si apra a un possibile cambiamento.

Chi non attende non spera.
Chi non attende non è disposto a incontrare.
Chi non attende preferisce le più riposanti risposte alle inquiete domande.
Chi attende corre il rischio dell’incontro.
Chi attende preferisce la speranza alla visione.
Chi attende chiede a se stesso, ogni giorno, un passo in avanti, uno sguardo più aperto, una scelta più determinata.
L’invito di questa terza domenica di Avvento, domenica della gioia, lo possiamo sintetizzare in una sola parola. Mi direte: gioire. E invece vi chiedo di andare ancora più a monte. Per me oggi la parola chiave è: attendere, «non lasciarsi cadere le braccia», direbbe il profeta Sofonia, non arrendersi, non lasciarsi abitare dall’angoscia, non puntare sulle proprie forze e risorse. Oggi c’è un di più che vuole raggiungerci, abitare in noi, trasformarci. C’è un Salvatore che vuole fare di noi la sua casa.

UNA PREGHIERA COME SOSTEGNO

Vieni, Dio in mezzo a noi!

Vieni, Signore Gesù, Dio con noi,
Dio in mezzo a noi.
Aprici a te, liberaci da noi stessi
e dai timori che intorpidiscono il nostro cuore
e fanno tentennare i nostri passi.
Aprici alla tua presenza
per riconoscerti negli sprazzi di vita
che si fanno largo
tra le preoccupazioni quotidiane.
Insegnaci ad attendere con determinazione,
confidando in te e affidandoci a te.

Vieni, Signore Gesù, maranathà!

DAL VANGELO DELLA DOMENICA (Lc 3,10-18)

Albero da costruire per le 4 domeniche di Avvento – https://wp.me/p77nS-8v9

In quel tempo, le folle interrogavano Giovanni, dicendo: «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto».
Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato».
Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe».
Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».
Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.

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Gioire? – BUONA DOMENICA! III di Avvento – ANNO B

«Rallegratevi. Il Signore è vicino! »
Cf. Fil 4,4.5

La liturgia, in questa terza domenica di Avvento, sembra far risuonare un unico messaggio: gioire, rallegrarsi, essere lieti. In ogni cosa rendere grazie, sottolinea l’apostolo Paolo nella seconda lettura. Ma qual è la sorgente della nostra gioia? Perché anche in situazioni attraversate da sofferenza e morte possiamo permetterci di gioire? Quando tutto attorno a noi e in noi è difficile, da dove attingiamo motivi di gratitudine? Se il futuro è incerto e poca è la luce attorno, di che cosa dovremmo rallegrarci davvero?
Ora, smettiamo per un attimo di guardare in noi stessi e di pensare alle nostre attese. Mettiamoci in ascolto della parola di Dio che la liturgia ci offre. Isaia, Paolo, Giovanni sono chiarissimi: ognuno di noi può gioire perché tra noi e per noi splende la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Il Signore della vita continua a farsi dono, rivestendoci di lui, ammantandoci di salvezza, mettendo in noi il suo stesso Spirito. Il Dio della pace continua instancabilmente a generare vita in noi e attorno a noi, anche ora, anche in questo momento… per quanto sia difficile vederlo all’opera, notare la sua azione, cogliere i segni della sua presenza operosa.
Paradossalmente la luce splende di più proprio di notte, quando tutto è più buio. Quindi se attorno a noi e dentro di noi c’è notte, allora è questo il momento in cui Colui che viene può brillare di più. E allora apriamoci! Apriamoci al Dio che sta portando novità in noi. Ma non cose, non soluzioni. Nella nostra storia personale e nella storia umana, Dio continua a offrire se stesso. La sua luce non è una fonte alternativa, una sorgente artificiale. Dio è la Luce che dona luce, donando se stesso. È la luce che disperde tenebre, che riattiva la vita, che guarisce, che libera.
La Vita – Dio stesso – si sta donando a noi, semplicemente a noi, così come siamo. Oggi. Qui. Ora.
Di questo e per questo possiamo gioire.

UNA PREGHIERA COME SOSTEGNO

Io gioisco, Signore

Io gioisco, Signore,
anche se attorno a me è notte.
Io gioisco, Signore,
anche se nulla di quanto speravo è accaduto.
Io gioisco, Signore,
anche se lacrime solcano il mio cuore.
Io gioisco, Signore,
anche se la notte avvolge la storia.
Io gioisco, Signore,
anche se non c’è sorriso sulle mie labbra.

Io gioisco, Signore,
perché tu sei la Luce vera in questa notte.
Io gioisco, Signore,
perché tu vieni e liberi la vita.
Io gioisco, Signore,
perché solo di te la storia ha bisogno.
Io gioisco, Signore,
perché tu sei Colui che stiamo tutti aspettando.
Vieni, Signore della gioia!

DAL VANGELO DELLA DOMENICA (Gv 1,6-8.19-28)

Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa».
Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo».
Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.

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Il coraggio della letizia – BUONA DOMENICA! – III AVVENTO – ANNO C

«Rallegratevi il Signore è vicino».

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Il Signore è con te – Buona domenica! – IV AVVENTO – Anno B

«Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». (lc 1,38) 

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Germogli di gioia – Buona domenica! – III AVVENTO – Anno B

«Io sono voce di uno che grida nel deserto». (Gv 1,23) 

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