Abituarsi fa male!

Era il 4 ottobre 2013.
Sulle nostre pagine non ci fu nessun commento, nessun messaggio, nulla… se non una frase e una foto:
“Silenzio, lutto e dissenso, perché ciò che è stato non sia più!”.

Fu il nostro unico commento a una delle più terribili stragi di cui il mar Mediterraneo fu uno dei pochi testimoni oculari. Il 3 ottobre un’imbarcazione naufragò, al largo di Lampedusa. Delle circa 545 persone imbarcate solo 155 furono i superstiti.stragi del mare

Ma oggi, a distanza di due anni, nulla è cambiato eppure tutto è profondamente cambiato… 

Le popolazioni migrano in modo sempre più massiccio.
Le condizioni peggiorano.
I chilometri percorsi aumentano, via mare o su strada, lungo binari che uniscono i sud e i nord del mondo.

Aumenta la gente che spezza fili spinati con la sola forza della disperazione.
E aumentano coloro che si indignano per la durezza di foto che disturbano la propria indifferenza.
Quanti commenti sui social rispetto alle foto dei corpi dei bambini naufragati. Indignati per l’immagine più che per la loro morte.

Ma le domande sono tante e purtroppo sono sempre più silenziate dal nostro esserci abituati: a quei volti, a quelle guerre, a quella fame, a quelle colonne, lunghe migliaia di chilometri, di famiglie che cercano di ridare ai propri figli nuovamente vita.

lacrimeAbituarsi al male, fa male. Ci rende impermeabili. Ci convince a cambiare scena. Ci fa credere che in fondo quella sia una storia che non ci appartiene.
Qualcuno ha trovato soluzioni interessanti: non vede più i telegiornali, non sfoglia più i quotidiani. Non vedere, in fondo, è non soffrire.
Altri hanno deciso di partire, di andare alle frontiere e violare, in nome della fraternità umana, le regole dei propri governi.
Altri ancora, riflettono su come e cosa fare.
Nel frattempo, nel “nostro” nord del mondo si avvicinano due realtà: il freddo inverno e la famiglie denudate dalle guerre.
Riusciremo, in nome di quella misericordia che predichiamo a non farli incontrare?

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