ANCH’IO HO UN PAPÀ?
di Franca Feliziani Kannheiser
Tra le situazioni che richiedono al catechista una particolare delicatezza c’è quella della presenza nel proprio gruppo di catechesi di bambini a cui manca una figura genitoriale. Un bambino, che non ha mai conosciuto il suo papà e non ha potuto usufruire di una figura paterna sostitutiva, è molto sensibile a tutti quei riferimenti che, nell’educazione religiosa, rimandano alla figura di Dio Padre. Alcuni bambini, poi, possono fare un’esperienza di paternità particolarmente negativa a causa della presenza, in famiglia, di un papà violento o indifferente. Molti catechisti pensano di risolvere la situazione evitando (ma come è possibile?) di parlare esplicitamente di Dio Padre, magari tralasciando quelle pagine del Vangelo, come la parabola del padre misericordioso, che mettono al centro la figura di Dio Padre buono. È evidente che questa non può essere una soluzione né dal punto di vista educativo né catechistico.
Ancora una volta è necessario partire da noi catechisti e dal nostro atteggiamento nei confronti dei bambini che ci sono affidati, che possono vivere realtà familiari complesse e ambivalenti, dolorose e difficili da affrontare. Non è chiudendo gli occhi o ignorandole che aiutiamo i bambini a sostenerle. Partiamo allora dall’ipotesi che nel nostro gruppo ci sia un bambino che non ha mai conosciuto il papà, oppure che lo ha perduto per decesso o perché i genitori si sono separati e il papà è lontano da casa. Casi certamente molto diversi, ma che hanno in comune un’assenza.
È logico pensare che questo bambino non sappia che altri compagni abbiano un papà che vive con loro, li accompagna magari a scuola o al catechismo? Certamente no. Il bambino è ben consapevole di tutto ciò, ma spesso non ha la possibilità di parlarne, di esprimere le sue emozioni, i suoi interrogativi. Quando tocca questo argomento vede magari che la mamma si rattrista, che gli altri adulti assumono un’aria imbarazzata. Ne parla con lui solo qualche compagno, magari per gioco o per ferirlo. Accade così che, per paura di soffrire e di non sapere come contenere la sofferenza del bambino, l’adulto neghi ciò che non si può negare e non svolga la sua funzione genitoriale/educativa che è quella di aiutare il bambino a trovare un senso a ciò che sta vivendo e a scoprire le risorse che possono permettergli di fronteggiare una situazione difficile e complessa, ma che solo se riconosciuta potrà essere integrata nel suo cammino di vita.
È chiaro che questa funzione di supporto deve essere esercitata soprattutto dalla famiglia, ma anche gli altri educatori non possono esimersene quando le circostanze lo rendono necessario. Ma come?
I bambini parlano spontaneamente della loro famiglia, riportano spesso ciò che accade fra le mura domestiche, soprattutto quando quegli avvenimenti li hanno colpiti emotivamente. Il racconto delle proprie esperienze sarà reso più libero se, parlando della famiglia, il catechista dirà che ogni bambino nasce da una mamma e da un papà, ma non tutti vivono con entrambi i genitori e ciò avviene per motivi diversi… Queste situazioni ci fanno pensare… forse ci spaventano o ci rattristano un po’, ma possiamo parlarne insieme… fra amici.
Non ci stancheremo mai di sottolineare che ciò di cui ha bisogno il bambino non è qualcuno che dia risposte chiare e definitive, ma qualcuno che lo ascolti amorosamente e che gli permetta di esprimere i suoi dubbi e le sue sofferenze.
• Il bambino che si sente «contenuto» nelle sue ansie e nelle sue paure diventa capace, tenuto per mano dall’adulto, di dare senso a ciò che sta vivendo e di scoprire, in se stesso e nell’ambiente, le risorse per affrontarlo. Anche il bambino, che ha perso il papà o non lo ha mai conosciuto, può scoprire che vicino a lui ci sono persone (nonni, parenti, ecc.) che si curano di lui come farebbe un papà.
• Se il papà è morto, può essere aiutato a ricordarlo e a sentirlo vicino così da vivere meno la sua morte come un abbandono.
• Se il papà non è più in casa a causa della separazione o del divorzio, sarà per lui importante sentirsi dire che un papà è per sempre… I genitori non divorziano mai dai loro figli.
Anche Gesù, quando parlava di Dio, si rivolgeva a persone che facevano esperienze diverse di paternità, sicuramente alcune anche negative.
• Gesù, però, non si stanca mai di usare la parola«padre», anzi «abba», «papà», per riferirsi a lui. Questa parola, sebbene richiami l’immagine di un padre terreno, non si appiattisce su di essa, ma rivela un’Alterità.
• Il Padre di cui parla Gesù è come un padre che… e da qui si spiega la narrazione della parabola che presenta un padre diverso da quelli umani… Ecco allora che, partendo dal cuore dell’esperienza umana, Gesù la trascende e addita la novità del rapporto che Dio stabilisce con noi, un rapporto che apre nuovi orizzonti anche ai legami che ci uniscono.
• La novità della paternità di Dio nei nostri riguardi è così radicale che Gesù giungerà a comandare di non chiamare nessuno padre, perché: «Solo Dio è vostro Padre». Queste pa role, ben lontane dal negare la validità dei rapporti umani, offrono loro un modello. Come scrive Benedetto XVI: «Il Padre nostro non proietta un’immagine umana nel cielo, ma a partire dal cielo – da Gesù – ci mostra come dovremmo e come possiamo diventare uomini».
Questi e molti altri suggerimenti, nel numero di Marzo 2014 di Catechisti Parrocchiali.
Per info, abbonamenti e novità:
—> Clikka sull’immagine <—