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E noi, che cosa dobbiamo fare? – BUONA DOMENICA! III di Avvento – ANNO C

UNA PREGHIERA COME SOSTEGNO

DAL VANGELO DELLA DOMENICA
(Lc 3,10-18)

In quel tempo, le folle interrogavano Giovanni, dicendo: «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto».
Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato».
Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe».
Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».
Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.

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Quanto abbiamo bisogno di Dio? – BUONA DOMENICA! III di Avvento – ANNO B

UNA PREGHIERA COME SOSTEGNO

DAL VANGELO DELLA DOMENICA
(Gv 1,6-8.19-28)

Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Questa è la testimonianza di Giovanni,
quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo:
«Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?».
Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa».
Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei.
Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo».
Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.

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Buona domenica! – III di Avvento (Anno B) – Gaudete

Guarda, o Padre, il tuo popolo, che attende
con fede il Natale del Signore, e fa’ che
giunga a celebrare con rinnovata esultanza
il grande mistero della salvezza.

Colletta
III DOMENICA DI AVVENTO – Anno B – GAUDETE

Sarà un Natale sottotono, dicono gli esperti. Vorrei vedere il contrario!
La crisi economica che sta travolgendo il mondo, complessa a articolata, ma sempre e comunque una nostra creatura, fragilizza le nostre vite, ci rende insicuri. La festa di Natale rappresenta il culmine dello shopping, ma quest’anno dobbiamo fare i conti con gli aumenti dei beni di prima necessità e agiamo tutti con maggiore prudenza.
Quanto attuali risuonano, allora, gli inviti alla fiducia e alla gioia presenti in questa terza domenica di avvento! Il mondo ci dimostra ampiamente i suoi limiti, le false promesse di benessere diffuso e di crescita globale fanno i conti con la dura realtà: ogni progetto, anche il più virtuoso, si confronta con l’egoismo umano, con i pochi che, già ricchi, sono travolti dalla bramosia del potere e della ricchezza, impoverendo gli altri. Dobbiamo trovare delle soluzioni comuni e condivise, certo, ma dobbiamo anzitutto guardare con autenticità alla natura umana e ai suoi limiti.
Solo uno sguardo che sa andare oltre, che volge l’attenzione verso l’altrove può costruire un mondo diverso.
Rimanere nella gioia, allora, significa fare una scelta di campo, schierarsi.
Gioire non è, anzitutto, un’emozione, ma un gesto di volontà. Si può gioire anche nella difficoltà.
Come fanno gli esiliati di Gerusalemme.

RITORNI
Ricordate la prima lettura di domenica scorsa? Quando un nuovo scrittore riprende in mano il libro di Isaia, la profezia si è avverata: sono i persiani, ora, a dominare la scena politica: i babilonesi sono sconfitti e gli ebrei liberati, dopo settant’anni di deportazione. Il rientro a casa è difficile e pieno di pericoli ma, la cosa peggiore, è che a Gerusalemme nessuno più si ricorda di loro. I deportati vengono confinati al margini della città, sull’altura di Sion, le loro terre sono ormai coltivate da altri, ebrei senza scrupoli approfittano della crisi finanziaria (!) per prestare a tassi di usura e un’inattesa carestia porta alle soglie della morte gli scampati. Sopravissuti alla prigionia, ora rischiano di morire di stenti nella città che li ha dimenticati. E Isaia, il cosiddetto terzo Isaia, profetizza e invita tutti alla gioia.
Nel dolore la verità si fa più chiara, scrive uno visionario Dostoevskij, e, a volte, è vero.
Per restare nella gioia occorre fede, una prospettiva diversa.
Se la gioia mi deriva dall’emozione di realizzare un sogno, di possedere un oggetto da sempre desiderato, è fragile e qualunque ostacolo la può distruggere. Se la mia gioia è riposta in Dio, come sono invitati a fare i deportati, posso coltivare la speranza per il futuro.

PREGHIERA
La gioia dell’altrove che mi permette di vivere il dolore presente con fiducia nasce dalla preghiera, afferma Paolo scrivendo ai Tessalonicesi. Un preghiera che non è l’insistente richiesta di risoluzione dei problemi, ma l’abbandono fiducioso in chi può darmi la forza per affrontare ogni notte, ogni dolore.
È possibile prepararsi al Natale nonostante la grande fatica che stiamo sperimentando. È possibile vivere con una gioia che nasce dalla fede ed è nutrita, nello Spirito, dalla preghiera.
Cristo nasce nei nostri cuori, se lo desideriamo. Lo incontriamo vegliando su noi stessi, lasciando che l’interiorità riprenda il suo spazio nelle nostre vite travolte dagli affanni. Ma esiste una condizione, semplice.
Per poter accogliere Dio che nasce, dobbiamo camminare verso l’autenticità.

CHI SEI?
Giovanni
riceve la visita degli inviati del Sinedrio che si interrogano, loro, i detentori del potere a proposito di questo strano personaggio che non si spaventa neppure di fronte alle autorità religiose, che non ne enfatizza il ruolo, che tira diritto per la sua accidentata strada.
«Chi sei?», chiedono. Giovanni è chiaro: lui non è il Cristo.
Potrebbe pensarlo: gli altri lo pensano di lui (bisognosi come siamo di Cristi).
Potrebbe approfittarne, cedere alla più subdola delle tentazioni, quella del delirio di onnipotenza. No, dice Giovanni, lui non si prende per Dio. Anche lui, come i penitenti, ne è disperatamente alla ricerca…
Giovanni ci ammonisce: solo riconoscendo il proprio limite, che è opportunità e non mortificazione, possiamo diventare liberi per accogliere il Dio fragile che nasce. Solo riconoscendo che non abbiamo in noi tutte le risposte, possiamo metterci alla ricerca. Solo entrando nel profondo di noi stessi possiamo trovare la nostra vera identità in Dio.

VOCE
«Chi sei, allora?». Chi siamo, allora?
La logica mondana dice: sei ciò che produci, sei ciò che appari, sei ciò che guadagni, sei ciò che guidi, sei ciò che conti, sei quanto urli. Giovanni sa che non è così, che è illusoria e menzognera questa logica, che, mai, siamo ciò che possediamo o facciamo. Giovanni ha pensato e ha capito, l’attesa spasmodica di un messia hanno creato dentro di lui uno spazio che saprà riconoscerlo e riconoscersi.
«Chi sei, allora?». Un mistico? Un provocatore? Un guru? No, egli è voce.
Voce, voce prestata ad una Parola, voce che amplifica un’idea non sua, voce, che fa riecheggiare un’intuizione di cui anch’egli è debitore.
Poco, vero? O tutto?
Ci immaginiamo sempre di essere dei grandi, di compiere (o scrivere) cose memorabili, di restare nella storia o, perlomeno, nella piccola storia delle persone che amiamo. Dio ci svela cosa siamo in profondità.

Tu, amico lettore, cosa sei? Cosa dici di te stesso?
Forse sei pazienza, o attesa, o sorriso, o perdono, o sogno, o inquietudine.
Contrariamente alla falsa idea del cattolicesimo che mortifica e castra le ambizioni degli uomini (“Se Dio c’è io sono fregato”, pensa Erode), il Vangelo ci svela un Dio che ci aiuta a cogliere la verità di noi stessi.

(PAOLO CURTAZ)

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