«Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette». (Mt 18,22)
Ci sono doni che non sono fatti per essere ricevuti e dimenticati perché portano con sé un importante carico di responsabilità. Più volte il Vangelo ci suggerisce: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date». E forse proprio la carica di gratuità con cui il Signore arricchisce i suoi doni ci rende responsabili nei confronti degli altri. Non so se vi capita, ma non poche volte io penso a quanto sia stata fortunata, a quando in fondo la bellezza della mia vita dipenda dal numero infinito di doni che il Signore mi ha fatto. Doni che non potranno mai essere ripagati sufficientemente. Doni totalmente immeritati e senza prezzo. Ebbene proprio questo mi rende debitrice verso Dio e verso il mondo.
Uno di questi doni è la misericordia: quello sguardo d’amore con cui Dio mi raggiunge; quel perdono instancabile che lui mi offre sempre. E di fronte a questa certezza non riesco a non chiedermi: chi sono io per preferire l’intransigenza al perdono?
Rifletto sul Vangelo di questa XXIV domenica, e le due contrapposte figure del re compassionevole e del servo intransigente mi interrogano profondamente (cfr. Mt 18,23-30). Quante volte, in fondo, nella vita di ogni giorno accade anche a noi, a me almeno, di assumere atteggiamenti simili: per se stessi si chiedono favori enormi e poi non si è disposti a offrire comprensione o aiuti, anche molto semplici e quasi scontati, a chi ce li chiede.
Sempre più spesso si sentono nei discorsi quotidiani espressioni cariche di violenza, odio, vendetta. Sempre meno si è capaci di comprendere l’altro e i suoi bisogni, di perdonare, di offrire seconde possibilità; e questo perché si è letteralmente accecaci dai propri desideri e opinioni. Eppure questo modo di vivere ci rende persone ingiuste: di fronte a Dio e di fronte al mondo.
UNA PREGHIERA COME SOSTEGNO
Il gusto del perdono
Trasformaci, Signore,
in canali sempre aperti,
che ricevono e donano;
rendici come fontane:
capaci di lasciar prendere
a coloro che chiedono.
Che l’amore ricevuto
ci renda capaci di amare.
Che la misericordia ricevuta
ci renda capaci di misericordia.
Che la salvezza ricevuta
ci renda uomini e donne
capaci di far gustare il perdono.
Amen.
DAL VANGELO DELLA DOMENICA (Mt 18,21-35)
In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.
Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.
Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.
Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto.
Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».
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