Ci sono volte in cui si dovrebbe tacere e ascoltare le altrui scelte, perché le parole più preziose, spesso si nascondono nel non detto. E questa, a mio parere, sarebbe una di queste volte.
Tante parole già dette (troppe e in alcuni casi fuori luogo) a cui non avrei voluto aggiungere le mie, ma siete stati in molti a chiedere un parere, una condivisione, una riflessione pronunciata ad alta volte circa la scelta del Santo Padre di rinunciare al suo ministero.
C’è un passaggio di fondamentale importanza a cui il Papa accenna nel comunicare il perché della sua decisione. Egli scrive: “Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio...“ e la coscienza, cari amici, è il luogo in cui ognuno, personalmente, risponde a Dio. E’ questo che dovrebbe suggerire a tutti noi un profondo e irrinunciabile rispetto di fronte a tutto questo. Lo stesso rispetto che ognuno di noi esige dagli altri, di fronte a scelte difficili.
Nessuno di noi potrà sapere quali siano stati i termini reali di questo durissimo discernimento, ma una cosa è indubbia: la coscienza di Benedetto XVI è una coscienza che ha visto, ha toccato con mano, ha sofferto l’immobilità di un pontefice sofferente che con la sua vita ha portato tutta la Chiesa a vivere il silenzio, l’impotenza, la consumazione della Croce. Per Giovanni Paolo II è stata teologia del dolore, ma forse, proprio quel silenzio impotente, ha permesso al peccato di insinuarsi più profondamente nelle maglie larghe di una rete forse un po’ troppo lasciata a se stessa.
Tutto questo Joseph Ratzinger lo ha visto, vissuto e sofferto. E una coscienza che vede e impara è una coscienza che diventa responsabile, che non può ignorare.
“Sono pervenuto – dice il Santo Padre – alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino. Sono ben consapevole che questo ministero, per la sua essenza spirituale, deve essere compiuto non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando. Tuttavia, nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato. Per questo, ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma“.
Di fronte a questo, nulla ha senso: né il giudizio, né il confronto, né alcuna forma di timore o paura, né il sospetto. Occorre l’umiltà di chi vuole e sa guardare oltre il visibile, nella certezza che quel Dio che, fino a oggi ha condotto la sua Chiesa, continuerà a farlo, tra mille bufere e mille nuove albe, passando nei deserti di un’umanità che se ieri doveva imparare la forza della debolezza, oggi ha la possibilità di imparare la profezia dell’umiltà.
Buon tutto cari amici, restiamo nella preghiera fiduciosa in comunione di preghiera con quel Papa dal singolare pontificato… singolare nel riconoscere le colpe, singolare nello smascherare il marcio, singolare nel denunciare il peccato nel cuore della Chiesa, singolare nel guardarsi dentro e passare il testimone.
Grazie, Santità, per la profezia che oggi riaffida al futuro di una Chiesa, chiamata a riscoprirsi al servizio di un Dio che ama questa umanità.
suor Mariangela, fsp