«C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?»
(Cfr. Gv 6,9)
È inutile, a noi il poco fa problema. Sfido chiunque a dire che non sia così.
Se abbiamo poco non facilmente condividiamo… anche se poi, se abbiamo tanto ugualmente non condividiamo. Ma pur partendo da chi è più avvezzo a “donare”, se non si ritiene di avere tra le mani qualcosa di sufficiente, beh allora piuttosto che fare figuracce si preferisce tenere quel poco in saccoccia.
E, se ci facciamo caso, questa logica non ci guida solo nelle cose da dare… spesso diventa una vera e propria logica di vita. Per esempio, a chi di noi non è mai capitato di pensare: “Ma cosa posso fare io di fronte a tutti questi problemi?”. O ancora: “Di poveri ce ne sono ovunque, e in che situazioni… a che servono i miei due euro? Due coperte o un piatto di pasta?”. “Io sono un povero cristo, continuo a credere in certi valori, ma ormai se parli ti coprono pure di insulti. Cosa volete che faccia? Me ne sto a casa mia e coltivo il mio orticello. Almeno non do fastidio a nessuno”.
Ecco… frasi come queste sono lo specchio di quelle convinzioni interiori e atteggiamenti descritti nella Prima lettura e nel Vangelo di questa XVII domenica del Tempo Ordinario.
Nel Secondo libro dei Re quell’incredulità del servo di Eliseo è anche un po’ nostra. Quelli descritti sono giorni di carestia, la gente è affamata e attende che il profeta, oggi diremmo l’uomo della Provvidenza, li aiuti. E l’aiuto arriva. Ma arriva da altre mani. Eliseo non fa altro che accogliere e condividere. E il dono del poco, dello sproporzionato rispetto a ciò che potrebbe davvero servire, è la vera risposta alla fame di tanti.
Il miracolo del pane è legato a doppia mandata alla generosità di quell’uomo anonimo che ha portato primizie del suo lavoro a Eliseo e alla capacità di Eliseo di non trattenere per sé.
E ciò che sembra poco sfama e avanza.
Noi siamo chiamati a donare tutto il poco che abbiamo; ed è lì che Dio usa la sua operazione preferita: la moltiplicazione.
Nel Vangelo come possiamo biasimare Filippo? La sua obiezione è legittima. Chiunque tra noi con un po’ di senso pratico l’avrebbe rivolta a Gesù. Certo Filippo avrebbe dovuto sapere che Gesù giocava pesante. Ma in fondo anche noi dovremmo essere abbastanza avvezzi a un Dio dell’impossibile. Eppure…
Eppure noi e Filippo continuiamo a fare a Dio le stesse obiezioni: e quindi non ci schieriamo, non scendiamo in campo, crediamo di dover contare sulle nostre forze, crediamo che le cose vadano pensate e strutturate solo in funzione di ciò che abbiamo in tasca. Oppure, pensiamo di poter risolvere i problemi creando distanze tra noi e le situazioni e le persone. In realtà stiamo solo scegliendo la via più comoda: non vedere.
Ma è davvero questo il senso della nostra vocazione battesimale, cristiana? Cosa significa essere davvero un solo corpo? E poi quale corpo? San Paolo nella Seconda lettura di certo non si riferisce alle nostre piccole o grandi comunità, ai gruppi chiusi, alle realtà interne di una parrocchia… a una chiesa. L’apostolo Paolo ci chiede, ci implora di comportarci coerentemente con la vocazione che lo Spirito di Dio ha messo nel nostro cuore: a riscoprirci cioè un corpo, quel corpo di cui Gesù è il motore primo; quel corpo fatto di sorelle e fratelli in umanità che sono stati generati dallo stesso padre-creatore, e che quindi sono a noi intimamente uniti.
La domanda di Gesù allora oggi è per noi, per me, per te: «Dove potremo trovare pane perché ognuno abbia da mangiare?».
Dobbiamo guardarci intorno. Perché forse quel pane non lo abbiamo noi, ma è nelle mani di un ragazzetto anonimo, ed è poco.
Forse è nelle mani di quello sconosciuto da cui “che cosa ti vuoi aspettare?”…
Forse lo sta offrendo proprio chi ha tradito mille volte la nostra fiducia…
A noi oggi è chiesto di fare come Eliseo e Gesù: accogliere, benedire, spezzare, condividere. E – importantissimo – raccogliere i pezzi avanzati. Perché mai, e in nessun caso, un dono deve essere sprecato né andare perduto.
I nostri cinque pani d’orzo e due pesci
Eccoli, Signore, i nostri cinque pani d’orzo e due pesci:
sono il poco che abbiamo
e che non vogliamo tenere al sicuro nelle nostre tasche.
Insegnaci a non tirarci indietro.
A non vergognarci di ciò
che ci sembra poco e insufficiente.
A non trattenere nulla per noi
solo per paura di non essere compresi.
Insegnaci, Signore Gesù, a fare come te:
accogliere, benedire, spezzare e condividere
ciò che abbiamo, e soprattutto ciò che siamo.
Amen.
DAL VANGELO DELLA DOMENICA
(Gv 6,1-15)
In quel tempo, Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei.
Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo».
Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini.
Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano.
E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.
Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo.
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