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Io vivo e voi vivrete – BUONA DOMENICA! VI DOMENICA DI PASQUA – ANNO A

Se uno mi ama, osserverà la mia parola, dice il Signore,
e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui.
(Gv 14,23)

Siamo nel tempo pasquale, tempo liturgico in cui riecheggiano parole quali risurrezione, gioia, Spirito Santo, amore. Parole straordinariamente piene di vita, di novità, di ripartenza, di dono. Perché altro non dovrebbe essere la nostra fede, altro non dovrebbe assorbire le nostre energie.
Se potete, leggete l’antifona di ingresso: “Con voce di gioia date l’annuncio, fatelo giungere ai confini della terra: il Signore ha riscattato il suo popolo”. Leggetela, trasformatela in preghiera e perdetevi dentro, perché altro davvero non serve. Siamo dei riscattati. E lo siamo per amore. Nessun prezzo, nessun ricatto, nessun debito: tutto è stato pagato da colui che per noi non vuole altro che salvezza: Gesù, il Maestro di Nazaret che insegna a tavola, il Dio fatto carne, il crocifisso innocente, l’ucciso risorto, colui che è il paradosso fatto persona. E allora di che stupirsi? Perché continuiamo a voler addomesticare il Vangelo? Perché vogliamo tenere sotto schiaffo lo Spirito?
Pasqua è il fondamento della nostra fede, Pasqua ci ricorda in chi crediamo e su che cosa investiamo le nostre energie migliori e la nostra vita. Sì, investiamo. Non rinneghiamo nulla, perché ciò che abbiamo è dono. E il modo migliore per onorare un dono è trasformarlo in dono.
Pasqua è inaudita e improbabile novità che, accadendo, ha messo in questione tutta la storia, e sì, anche il consueto modo di pensare Dio e di porsi nei suoi confronti.
Ora mi chiederete: “Ma che cosa c’entra tutto questo con le letture della liturgia della VI domenica di Pasqua?”. Tutto e niente.
Se cercavate un commento letterale, nulla; se con me preferite prima di tutto gustare e immergervi nella bellezza della Parola, tutto. Respirate la parola di Dio, prima di approfondirla con opportuni commentari. Respiratela, ma non usatela, non manipolatela, non trasformatela in ciò che non è: un’arma. Respiratela perché è voce di Dio che tocca e cambia ciò che incontra!
Ma torniamo alla forza dei brani che la liturgia ci propone.
Filippo, con le sue parole e i segni compiuti, semina fiducia e gioia. Su coloro che scelgono di credere scende lo Spirito Santo. E la novità spacca otri vecchi già in queste prime parole. Perché? Siamo in Samaria, mica a Gerusalemme. Terra di cani, mica di santi? Terra di chi è scomunicato e fuori dal buon seminato. E infatti Pietro e Giovanni partono… A Gerusalemme gli apostoli hanno bisogno di certezze, non di voci. Ma lo Spirito, si sa, segue le sue vie. E scende con abbondanza anche dove meno te lo aspetti.


E lo Spirito è una promessa, è un dono, anzi, è il dono! Dono che per noi, per ognuno di noi, si fa quotidianamente consolazione, forza, determinazione, difesa. Per noi è il ponte verso Dio. È colui che può convincerci a credere nell’impossibile, a generarlo, ad attenderlo. È lui che può portarci nel cuore stesso di Dio, svelarci la pienezza fuori misura di quelle parole del Signore che altro non sono se non la nostra possibilità di pienezza. Per questo ci è chiesto di seguirle, di ascoltarle e accoglierle: perché sono segno di un amore che si fa realtà nella nostra storia personale e nelle nostre scelte quotidiane. Perché sono la condizione di possibilità di quella speranza che non muore, non cede, non molla.
E allora perché perdere tempo in altro? Facciamo della nostra fede in Gesù un esercizio continuo di accoglienza della Parola e delle sue destabilizzazioni, di speranza instancabile, di annuncio gioioso di risurrezione.

Vedere Dio, conoscerne la via – BUONA DOMENICA! V DOMENICA DI PASQUA – ANNO A

Io sono la via, la verità e la vita.
(Gv 14,6)

Vedere Dio… Lasci un commento chi tra noi non ha mai desiderato vederne il volto, scoprire l’intensità dei suoi occhi, ascoltare la profondità della sua voce, sentirsi raggiunto dalla sua tenerezza. E dico proprio a livello fisico, tangibile.
A meno che io non sia proprio strana, credo che molti lo desiderino, soprattutto quando le cose si fanno serie, il carico pesante e il colore della giornata sembra deciderlo più la desolazione che la consolazione. Eppure…
Sì, eppure… lo dico e lo ripeto… Eppure! Eppure non è strano desiderarlo anche se ci siamo abituati a vivere la fede come qualcosa di assolutamente cerebrale. Non è strano desiderarlo e non è strano viverlo. Già… viverlo! Perché Dio è un incontro, non un ragionamento; un’esperienza, non una dimostrazione. È come quando un bambino sente di essere al sicuro tra le braccia della mamma. Puoi dimostrarlo? No, ma è vero. Con Dio funziona esattamente così: lo puoi sentire, lo puoi vivere, lo puoi sperimentare, anche se le tue parole e soprattutto i ragionamenti non riescono a dimostrare quanto sia vero quello che vivi.
Ecco, io credo che quel meraviglioso scambio tra Gesù e Tommaso, tra Gesù e Filippo, Gesù e i discepoli, punti proprio lì. Gesù sposta i suoi discepoli da quelle prospettive di normalità e tradizione. Perché Dio è sempre oltre. E con Gesù lo è stato decisamente molto. Un Dio Figlio… ci può anche stare, ma un Dio uomo è decisamente strano, e un uomo Dio è proprio fuori misura. Eppure è questo ciò che l’evangelista Giovanni descrive: un nuovo modo di scoprire e avvicinarci a Dio, un modo che cambia decisamente anche la nostra vita.
In che senso?! Proviamo a entrare nella Parola che la V domenica di Pasqua ci consegna. Con il capitolo 14 è come se nel Vangelo di Giovanni iniziasse un’ampia parentesi che si chiude solo con il primo versetto del capitolo 18, quando Gesù esce con i suoi dal Cenacolo e si dirige verso il giardino nel quale fu arrestato.
Ma cosa succede prima, alla fine del capitolo 13? A che cosa si legano quelle parole con cui oggi inizia il Vangelo: «Non sia turbato il vostro cuore»?
Gesù nel cenacolo ha appena finito di lavare i piedi ai suoi recalcitranti discepoli, ha annunciato il tradimento, ha intinto un boccone di pane e lo ha dato a Giuda, ha consegnato il comandamento nuovo e ha spezzato il prorompente ardore di Pietro: «Darai la tua vita per me? Non canterà il gallo prima che tu non m’abbia rinnegato».
Possiamo dire senza alcun dubbio che questo brano di Vangelo dalle parole rassicuranti e dagli orizzonti decisamente ampi, arrivi in un momento di grande disorientamento per i discepoli.
Davanti a loro le promesse che hanno valicato i secoli stanno diventando realtà. Almeno nelle parole di Gesù. Colui che aveva detto di essere la porta per tutti coloro che gli sono affidati, colui la cui voce avrebbe condotto verso la salvezza, colui che non avrebbe lasciato che neppure uno solo si perdesse, beh proprio lui, lui che si è appena chinato a lavare le loro sozzure, lui è la via verso il Padre, lui il volto di Dio, lui il suo cuore, lui le sue parole, lui la sua tenerezza.
Non c’è più distanza tra noi e Dio. Noi possiamo vedere, possiamo toccare, possiamo raggiungere.
Lui, troppo uomo per poter essere Dio, ha aperto per ogni essere umano la possibilità di essere Dio. Ma non uno dei tanti dèi potenti e sfruttatori. Lui, Dio respinto e ucciso perché troppo umano, ha reso proprio l’umanità, e l’umanità autentica, la via per scoprire la verità di Dio e poterne ricevere la vita.

Una promessa per i lontani – BUONA DOMENICA! IV DOMENICA DI PASQUA – ANNO A

Se uno entra attraverso di me, sarà salvato
(Gv 10,9)

Siamo cristiani. Sì, lo siamo. O almeno diciamo di esserlo. Ma tecnicamente che cosa intendiamo quando lo diciamo? Se diciamo siamo italiani, o pugliesi, o campani, o veneti, o lombardi significa che ci riconosciamo appartenenti a una particolare comunità che condivide dei valori, riconosce delle radici comuni; ci sentiamo impastati di una determinata cultura e sentiamo di essere figli di specifiche tradizioni. Cosa significa allora essere cristiani?
Voi mi direte: «Ma cosa c’entra questa domanda con il bellissimo brano evangelico del Buon Pastore?».
Ve lo confesso: a sollecitare questa domanda sono le affermazioni di Pietro nella Prima lettura. In questi giorni del Tempo di Pasqua più volte sono risuonate queste parole: «Quel Gesù che voi avete crocifisso Dio lo ha risuscitato, lo ha costituito Signore». E quindi: «Convertitevi! Fatevi battezzare! Salvatevi da questa generazione perversa!». Ve lo confesso. Non so stare nella pace davanti a queste frasi. Sì, frasi. Perché spesso noi cristiani riduciamo il Vangelo a questo: a frasi estrapolate e scaraventate contro qualcuno. A frasi che come pesanti macigni piombano nella vita delle persone e le fanno sentire meno di zero, o colpevoli, o inadatte, o deboli rispetto alle attese di chi sa sempre qual è la via giusta. Certe volte penso che abbiamo imparato più da Pietro che da Gesù. Viviamo un cristianesimo di sentenze, di annunci. Raccontiamo lui, ma forse dovremmo puntare ad altro. A cosa? Se abbiamo conosciuto aspetti bellissimi di Dio lo dobbiamo a quel Gesù che di Dio ci ha mostrato il cuore. E allora forse più che limitarci a raccontare che cosa ha fatto Gesù non dovremmo puntare a far vedere con la nostra vita, le nostre scelte quanto è grande il suo cuore? E non me ne vogliate, ma sempre più frequentemente mi chiedo quanto sarebbe stato diverso un cristianesimo fatto non di parole (e di scomuniche) ma di gesti e parole intimamente connessi, proprio come quelli di Gesù, il Buon Pastore.
Già, caro Pietro… perché non possiamo dire che la “promessa” è per quelli che sono lontani, se poi chi è lontano lo definiamo “generazione perversa”. Chi è lontano andrebbe semplicemente raggiunto, ma non a forza di parole, ma di gesti, di scelte, di una pienezza che sa raccontarsi da sola, senza finzioni, senza sforzi, senza artifici.
Guardate quanto è credibile quel Pastore buono che dà la vita – e la dà in abbondanza – per coloro che gli sono affidati (vicini e lontani). È credibile perché pur di salvare non lesina nulla, non fa passi indietro, non contraddice la sua parola. Ha annunciato pace? E lo fa fino alla fine: non risponde con insulti né con vendetta o inganno. Ha promesso di salvare? E lo fa fino alla fine: si carica di un peccato non suo e lo crocifigge su una croce, lasciandosi crocifiggere.
È questo il Signore che dovremmo lasciar trasparire nelle nostre scelte quotidiane. Il suo amore, la sua cura, la sua promessa di vita dovrebbero poter raggiungere “i lontani” attraverso scelte di inclusione, di accompagnamento, di attenzione, di premura, di difesa dell’escluso, di riconoscimento della dignità, anche della dignità di chi ha sbagliato. Così, e solo così oggi la voce di Dio, Pastore buono, potrà continuare a chiamare. Perché chiunque si sentirà raggiunto da una parola di vita e non di condanna, da una parola di salvezza e non di morte possa scegliere di seguirlo.
Possa il Vangelo fare breccia in noi credenti per spalancare vie di una umanità nuova, autentica e vera.