Gesù annunciava il vangelo del Regno
e guariva ogni sorta di malattie e infermità nel popolo.
(Cfr. Mt 4,23)
Che cosa significa essere Vangelo? Non significa forse dire agli smarriti di cuore: «Coraggio, non temete»? Non significa forse seminare speranza anche e soprattutto dove tutto sembra ormai perduto?
Perché diciamo che Gesù è Vangelo, Vangelo del Padre? E perché noi, di questo Vangelo ne avevamo proprio bisogno?
I profeti lo hanno annunciato senza sosta e in molteplici occasioni: i tempi di Dio si compiono, il Signore ascolta il suo popolo, il Signore difende il debole, il senza diritti… E oggi, in questa XXIII domenica del Tempo Ordinario, in Isaia, lo sentiamo con particolare forza: il Signore viene, giunge la sua vendetta. Ma diversamente dalla nostra, la sua ha trame e tessiture diverse. La sua vendetta non distrugge, ha il sapore della salvezza, ci raggiunge come ricompensa, sa di vita.
Dio stende il suo braccio, compie la sua opera e, diversamente dalle nostre relazioni armate, per il suo operare i deserti fioriscono, gli smarriti ritrovano la via della pienezza, chi zoppica inizia a correre, chi è cieco o muto passa dal buio alla luce, dal silenzio alla relazione. Il compiersi della sua opera fa scaturire vita e la porta alla pienezza.
Se però questo è stato un fronte di annuncio più e più volte percorso dai profeti, e nelle situazioni più disparate, ancora più radicale è ciò che vediamo accadere nel Vangelo.
Questa è la forza e la sorgente stessa della speranza. Quella che ci fa resistere anche quando intorno è tutto difficile e disorientante.
Viviamo in un mondo complesso, quotidianamente si intersecano attorno a noi culture, provenienze, orizzonti di pensiero, stili di vita… a volte la Decapoli con le sue contraddizioni e pluralità ce la portiamo dentro e le ricadute sulla nostra vita vanno dal disorientamento alla rigidità, dalla paura alla chiusura di sicurezza. Raramente lo sblocco è naturale. Più spesso sentiamo che cadono alcune certezze, ci sconvolgono alcune novità, restiamo perplessi per situazioni che non riusciamo a gestire o delimitare.
E così vivendo diventiamo zoppi, sordi, ciechi, muti… diventiamo deserto.
Per questo abbiamo bisogno del Vangelo, di una buona notizia radicale che ci sposti non fuori né oltre, ma dentro.
Sapere di poter sperimentare la presenza di colui che è Vangelo, che è vita fatta persona, che è acqua in un suolo riarso è davvero ciò che ci fa sperimentare la nostra possibilità di far fluire in noi il Vangelo per essere a nostra volta Vangelo.
Tutto questo non è un banale o simpatico gioco di parole. È la certezza di una Presenza buona che genera continuamente il bene nei solchi della storia, anche in quelli più difficili, e che ci chiede di esserne parte.
Tu operi meraviglie
Signore Dio, tu operi meraviglie
nella storia dei popoli
e nella nostra storia personale.
La tua parola realizza novità e prodigi
anche quando gli occhi del nostro cuore,
serrati da odio e pregiudizio, non vedono.
Aprici, Dio della vita:
aprici a te, aprici allo stupore, aprici all’altro.
Apri i nostri occhi ciechi,
apri i nostri orecchi sordi,
apri le nostre labbra mute:
libera i nostri gesti dall’opportunista misura,
ridona fecondità alle nostre scelte sterili,
rendici in te sorgenti di vita zampillante e buona.
Amen.
DAL VANGELO DELLA DOMENICA
(Mc 7,31-37)
In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli.
Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.
E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».
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