La preghiera del povero attraversa le nubi
né si quieta finché non sia arrivata
(Sir 35,21)
«La preghiera del povero attraversa le nubi, né si quieta finché non sia arrivata; non desiste finché l’Altissimo non sia intervenuto e abbia reso soddisfazione ai giusti e ristabilito l’equità». È così che in questa XXX domenica del Tempo Ordinario si chiude la Prima lettura, ed è una gran meraviglia.
Se con la nostra immaginazione provassimo a personificare la preghiera, essa avrebbe questo volto, questo cuore, questa determinazione. Ripeto: è una gran meraviglia.
Al cospetto di Dio non arriviamo con i nostri successi, con l’efficacia dei nostri progetti: non arriva il giusto perfetto, l’integerrimo puro, il praticamente quasi perfetto, il credente sempre dalla parte giusta. A quanto pare è la preghiera del povero ad avere le chiavi del Regno e del cuore di Dio. Del povero… chiunque esso sia e qualsiasi sia la sua povertà.
In Dio non c’è preferenza… o forse è più corretto dire che in Dio trova casa il povero, il debole, colui che subisce angherie ed emarginazione. In Dio trova casa ognuno di noi, sempre.
Il punto è: ma noi Chiesa, noi che ci sentiamo testimoni del suo Vangelo, noi che ci raduniamo nel suo nome siamo quella casa che Dio vorrebbe far trovare a tutte le sue figlie, a tutti i suoi figli?
In Dio non c’è preferenza di persona. A quello dovremmo aspirare anche noi.
Dio non è parziale, non trascura la supplica di chi non ha più voce, di chi ha perso ogni diritto, di coloro che non vengono più riconosciuti come persone.
Per tutti loro Dio si fa casa, e la loro preghiera è accolta.
Di questo dovremmo diventare capaci: capaci di essere una casa.
Sapete, quando penso alla nostra fede in lui, quando penso alla bellezza del Vangelo, quando nel cuore e nella testa lascio spazio alle parole e ai gesti del Signore Gesù, non posso non lasciarmi riempire dalla bellezza che in lui si respira, dalla pienezza di quella vita che lui ha seminato. E mi dico: no, non possiamo perdere tempo a dividere il mondo tra buoni e cattivi, addirittura tra chi crede nel modo giusto e chi crede nel modo sbagliato.
Dovremmo investire ogni istante della nostra vita a raccontare quanto è bello Dio, quanta è vera la vita che in lui possiamo ricevere e regalarci, quanto valga la pena lasciarsi andare a lui.
Il Vangelo oggi è chiaro: chi spreca tempo a gongolarsi in quell’intima presunzione (magari anche inconsapevole) di essere giusto, e disprezza gli altri, ricordi il pubblicano: pur incapace anche solo di alzare gli occhi, ha trovato un posto speciale nel cuore di Dio.
Così è per noi.
Liberaci, Signore!
Gesù, Maestro di umanità,
nei tuoi gesti e nelle parole
vediamo brillare
prossimità e gentilezza,
cura e semplicità.
Liberaci da quell’intima presunzione
di essere coloro che possono dare,
che possono insegnare,
che possono offrire verità.
E aprici all’incontro
che ci permette di scoprire
in ogni storia scintille della tua presenza,
in ogni frammento di verità
la tua immensa luce.
Abbi pietà di noi, Signore!
DAL VANGELO DELLA DOMENICA
(Lc 18,9-14)
In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri:
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.
Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».
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