Il Signore rimane fedele per sempre
rende giustizia agli oppressi,
dà il pane agli affamati.
Il Signore libera i prigionieri.
Sal 145,7
«C’era un uomo ricco, e poi c’era un povero di nome Lazzaro».
È così che inizia il Vangelo della XXVI domenica del Tempo Ordinario. È così che inizia un racconto che Gesù rivolge in modo esplicito ai farisei. E lo fa subito dopo aver speso parole poco tenere nei loro confronti: «Voi siete», aveva detto loro, «quelli che si ritengono giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori». E indubbiamente i loro cuori erano pieni di alcune convinzioni non così universali e inclusive, una tra tutte: la ricchezza. Era un esplicito segno della benedizione di Dio così come la salute. Ricchezza e salute non erano altro che un’ovvia conseguenza di una vita “pura”, fedele al Dio della legge e dei precetti. Ma per loro era vero anche in senso opposto: lebbra, cecità, malattie, miseria non potevano essere altro che segni chiari di colpe, impurità, disobbedienze, proprie o ereditate da generazioni precedenti.
I farisei, uomini colti e arguti, sembra che abbiano anche una certa capacità di sbeffeggiare il prossimo, soprattutto rabbi o profeti a loro non allineati, o addirittura rivoluzionari come Gesù.
Ed è a loro che Gesù inizia a raccontare una storia, una storia scomoda, che in qualche modo capovolge dei riferimenti rassicuranti per tutto il popolo e convinzioni che tengono al sicuro i ricchi e i potenti, e che dimostrano al popolo dei poveri e degli sfortunati che alla fine nella vita ognuno ha un po’ quello che si merita, e più che accettare e sopravvivere non si può fare altro.
Ma, lungi dal continuare a tenere in vita convinzioni che uccidono, Gesù scopre le carte e sceglie di rivelare quanto siano diversi i pensieri di quel Padre, che lo ha mandato nel mondo per distribuire gratuitamente salvezza.
Scopre le carte e fa saltare pesantemente i sistemi. Al punto che il ricco, per quanto abbondantemente benedetto in terra, non sembra ricevere i favori di Abramo, riservati invece al povero Lazzaro, che in vita non aveva fatto che collezionare rifiuti e invisibilità, oltre a una cospicua dose di miseria.
Ecco, queste letture così dirette e radicali oggi a noi cosa dicono?
Cosa dice a noi la preferenza di Abramo che è la preferenza stessa di Dio?
Parola e profeti valgono anche per noi oggi, anche per chi tra noi continua a non preoccuparsi della rovina di Giuseppe, dove Giuseppe – l’innocente maltrattato e venduto – è immagine di quei popoli e di quei fratelli il cui dolore continua a valere zero, di quei piccoli che vengono costantemente feriti dalle conseguenze di scelte, a volte, troppo individualiste e poco fraterne. E penso anche a forme di individualismo comunitario, scusate l’apparente contraddizione in termini, ma non so esprimerlo diversamente. Penso cioè alle scelte familiari, comunitarie, associative, confessionali, religiose, che tutelano i propri affilati a scapito di tutti gli altri.
Abramo oggi ci terrebbe nel suo seno?
Riuscirebbe a generarci alla vita?
Abramo riuscirebbe a insegnarci a essere sorelle e fratelli in umanità, capaci di cura, custodi della vita fragile, radar rivelatori di nuove forme di invisibilità umana da abbracciare e a cui donare riconoscimento?
Quanto è grande questa sfida!
Ma le parole di Paolo a Timoteo valgono anche per noi e sono una chiara direzione:
evita la bramosia di ricchezze e benessere, l’avidità, l’ingiustizia…
e tendi costantemente alla fede, alla carità, alla pazienza e mitezza, alla giustizia e pietà.
E custodisci il dono che porti nel cuore e che nel Risorto hai ricevuto: lo Spirito della vita, il solo che può renderti capace di vita.
Insegnaci a vedere
Signore Gesù,
morto per amore e risorto
per donare a noi vita,
tiraci fuori da noi stessi
e dai nostri interessi,
dalla nostra miope voglia
di stare bene a tutti i costi
e apri gli occhi del nostro cuore,
insegnaci a vedere quelle
porzioni di umanità invisibile
che vive attorno a noi,
e spesso è a noi molto vicino.
Il tuo Spirito ci insegni a guardare
il mondo con i tuoi occhi,
ad amarlo con il tuo cuore.
Amen.
DAL VANGELO DELLA DOMENICA
(Lc 16,19-31)
In quel tempo, Gesù disse ai farisei:
«C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.
Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”.
Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”.
E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».
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