Credenti davanti a Dio. Autentici davanti al mondo – BUONA DOMENICA! XIII DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO A

Chi accoglie voi, accoglie me. (Mt 10,40)

In queste ultime settimane le letture ci hanno riempito di positività. Il ritorno al Tempo Ordinario è sempre caratterizzato da una full immersion nel ministero pubblico di Gesù, da un camminare accanto a lui, da un sostare con le folle per scoprire la bellezza e la pienezza travolgente dei suoi gesti e delle sue parole. Parole e gesti che risollevano, che nutrono, che sostengono, che guariscono, che chiamano. E se il Tempo Pasquale ci ha fatto sperimentare sulla pelle l’autenticità del suo amore, il Tempo Ordinario ci ha riportato a una quotidianità piena di lui. I brani evangelici accolti nelle ultime domeniche ci hanno lasciato come retrogusto una convinzione: siamo amati, non siamo soli, contiamo per Dio, per lui siamo preziosi. Ed è questo a renderci forti. Questo a strapparci da ogni forma di non-senso, questo a riconsegnarci alla vita tutte le volte che qualcosa prova a strapparcela di mano.
Ma sapete qual è la bellezza della nostra fede? La reciprocità!
Di fronte a noi non c’è il dio che ama ingozzarsi di doni umani. Ma non c’è neppure il dio che degli umani non sa che farsene. Il nostro non è il dio dei superpoteri a cui smettiamo di credere appena la logica ci consente di capire che 2+2 fa 4. Ma non è neppure il dio a cui il mondo poco interessa.
Fin dall’inizio, la storia della salvezza ci ha svelato un Dio sempre in rapporto a qualcuno… e a un qualcuno decisamente molto umano e poco perfetto: Mosè (e Aronne, ma anche Myriam), Giacobbe (con Rachele… ma anche Lia), Abramo (e Sara)… fino ad adam, l’uomo e la donna tratti dalla terra, che Dio stesso aveva fatto vivere della sua stessa vita. Noi, per fede, crediamo in un Dio che non ha salvato il mondo da solo. Per farlo ha assunto, come sua, la fragilità, la finitudine, la mortalità, in una parola: l’umanità… Lui ha scelto di essere Dio – mi perdoni chi la sente come una bestemmia – legandosi a maglie strette a noi.
Questa certezza è ciò che dobbiamo mettere alla base quando i nostri orecchi vengono raggiunti da parole come quelle che il Vangelo oggi ci offre: «Chi ama padre o madre più di me… figlio o figlia più di me… la propria vita, se stesso più di me… non è degno di me…».
Oggi il Vangelo ci tira fuori da noi stessi e ci chiede, con forza da che parte stiamo.
Siamo felici di saperci amati. Siamo immensamente grati di saperci preziosi per Dio. Ma non può bastarci. Da credenti, poiché battezzati, sappiamo che una vita ci attraversa e ci rende nuovi, ci consente di guardare il mondo attorno con occhi e cuore nuovo. È la vita risorta e liberante di Dio.
Ed è di fronte a questa pienezza di vita che con coraggio dobbiamo chiedere a noi stessi che fine gli vogliamo far fare: se ridurla a noi stessi, e al nostro personale gongolamento, o se farcene carico perché questa stessa vita sia tale per chi vive attorno a noi, e con noi, nella stessa porzione di mondo.
Usciamo fuori dai nostri gusci, dai rimpianti, dalla ricerca povera di un benessere solo personale (e intendo anche solo familiare)! Smettiamola di tenere per noi il dono, perché certi beni è nella divisione che si moltiplicano!
Se siamo battezzati, se a Dio ci accostiamo da credenti, allora di fronte al mondo non possiamo che essere autentici. Autentici seminatori di quella stessa vita che ci attraversa, di quella stessa luce che non possiamo trattenere, di quella stessa bellezza che ci fa vivere.
E se a volte per fare questo dovremo pagare qualcosa, non dovremo mollare. Ma chiedere con coraggio a quella Vita di sostenere con noi il braccio di una croce. Lo farà!

Nessuna paura, siamo in una botte di ferro – BUONA DOMENICA! XII DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO A

Voi valete più di molti passeri (Mt 10,31)

Nessuna paura, siamo in una botte di ferro, anzi d’amore!
È la prima cosa che mi viene in mente fermandomi sulle letture di questa dodicesima domenica del Tempo Ordinario.
«Eh…», mi direte, «nessuna paura! Facile a dirsi… ma nella vita di tutti i giorni è ben altra la storia. E quella botte di ferro sembra abbastanza fragile. La fede non ci esime da sofferenze. Dio non ci difende da situazioni di pericolo. E quei passeri di cui parla il Vangelo a volte sembrano passarsela meglio di noi».
Che cosa rispondervi? Quello che pensate è legittimo. Ci sono volte in cui ciò che viviamo è più vicino all’esperienza del maltrattato profeta Geremia che alla rassicurante parola di Gesù. Ci sono volte in cui a farla da padrone sono le esperienze di amarezza, delusione, scoraggiamento. Ci sono volte in cui di rassicurante attorno a noi c’è ben poco: contesti sociali, lavorativi, parrocchiali, politici, a volte familiari sono tutt’altro che rassicuranti. E il futuro che ci si prospetta d’avanti più che una via avvincente da percorrere, sembra essere un muro di gomma contro il quale rimbalziamo e torniamo indietro. Eppure proprio in momenti così dobbiamo dire seriamente a noi stessi chi vogliamo essere. Proprio di fronte alle grandi e profonde contraddizioni, anche personali, dobbiamo mettere in luce le motivazioni che ci fanno dire da che parte stare.
La paura non è antitetica alla fede… Mai! E di fatto il Vangelo non la mette al bando. Ma proprio il fatto che Gesù dica ai suoi: «Non abbiate paura…» significa che la paura esiste, è possibile e naturale.
Ciò che è antitetico alla fede-fiducia è il lasciarsi vivere dalla paura, il fare della paura il criterio delle proprie scelte, consentire alla paura del futuro, degli altri, di noi stessi, di Dio, di scegliere al posto nostro.
Gesù ci affronta così come siamo, nella realtà di ciò che siamo e di ciò che viviamo, e ci fa una proposta: fidarci di Colui a cui stiamo a cuore, di quel Signore e Creatore che non ci ha sganciati nel mondo lasciandoci da soli nel mondo; fidarci di Chi ogni giorno prova a liberarci da noi stessi, da quelle schiavitù in cui ci invischiamo e da chi vorrebbe condizionare vita, scelte e dono.
L’invito del Maestro di Nazaret è alla fiducia piena, perché Colui che sussurra vita al nostro orecchio interiore poi la genera. Colui, la cui parola ci sostiene in tempi aridi e ci illumina nelle notti, non ci trascura, non ci dimentica, non prende le distanze da noi. Ce lo ricorda Geremia che, pur sperimentando solitudine e tradimento, sa con certezza di avere in Dio il fondamento della propria vita e del proprio futuro. Ce lo ricorda Paolo nella lettera ai Romani: noi siamo destinatari di un dono immenso che proprio il Signore Gesù ci ha ottenuto. In lui siamo figli, eredi per sempre della grazia… che è null’altro se non amore gratuito dato non con misura, ma con sovrabbondanza.
E allora, discepole e discepoli di ogni tempo: che cosa temere? Noi siamo al centro del cuore di Dio. Noi siamo tesoro prezioso custodito nel palmo delle sue mani. E seppure la paura fa o farà capolino nella nostra vita, la certezza deve essere una: non potrà allontanarci dal suo amore, non se noi sceglieremo di giocare la carta della fiducia, lasciandoci portare lungo le sue vie che sono vie di Vangelo, di vita, di futuro.

Ascoltare la Voce e custodire l’Alleanza – BUONA DOMENICA! XI DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO A

Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, li mandò.

Come vi sentite? Come state? Sì, in questo momento storico, proprio oggi, come ti senti? Che cosa stai vivendo? Quale piega ha preso la tua vita?
Quanto vorrei che avendoti di fronte, o commentando sui social, tu mi potessi dire: «Bene, grazie, sr Mariangela! In questo momento vado alla grande». Mi piacerebbe e te lo auguro di cuore.
Ma se in questo ora, leggendo, i tuoi occhi si sono offuscati e il sorriso appena accennato si è spento; se davanti a queste domande vorresti solo cambiare discorso; se no, le cose non vanno bene come speravi e la tristezza si alterna a quella stanchezza interiore difficile da domare; se sì, sei stanco e vorresti dare un taglio a tutto… allora non farti scappare l’occasione di fermarti, leggere e lasciarti raggiungere da queste straordinarie letture.
L’evangelista Matteo ci porta tra le folle che seguono Gesù. Nei versetti che precedono il brano che questa undicesima domenica del Tempo Ordinario ci dona, l’evangelista ce lo fa vedere all’opera tra case, campi, barche, strade… È instancabile. Non ha freni! Incontra chiunque e sembra che la sua unica preoccupazione sia dare vita, ridare vita, riportare alla vita, liberare la vita. E sembra che per lui questo significhi annunciare il Regno, portare il Regno.
Ma pensate che straordinaria immagine di Gesù l’evangelista ci mostra: vede le folle, le vede! Vede la loro stanchezza. Le sente sfinite! Le guarda negli occhi, le scruta nel cuore, dà peso alle loro fatiche. Per lui contano. Se ne vuole fare carico, e vuole che altri lo facciano. Vuole che il suo modo di farsi carico della vita continui anche dopo di lui. E per questo chiama. Chiama perché altri imparino a vedere, e vedendo imparino a sentire compassione, a farsi carico dei pesi, della tristezza, della fatica altrui; imparino a liberare e dare vita. Sembra che l’unico suo comando sia: guarire, risuscitare, purificare, scacciare demòni e donare.
Questa totalità e gratuità del bene, diffuso a larghe mani da Gesù, riecheggia in modo forte nelle parole di san Paolo che ci raggiungono con la seconda lettura: in Gesù, il Dio creatore ci ha regalato la vita, ci ha riscattati da ogni forma di male, ci ha liberati, ci ha tirati fuori da qualsiasi marcio e ci ha risollevati a lui, ci ha riportati nel suo abbraccio, ci ha riscattati. E non lo ha fatto perché ce lo meritavamo. San Paolo è chiaro: siamo dei riconciliati, siamo dei riscattati, siamo dei liberati solo perché qualcuno ci ha amato e si è preso cura di noi. Stop! Nessun merito, nessun prezzo.
In Gesù l’umanità ha potuto tornare a scoprire il Dio Salvatore che solleva su ali di aquila, dove nessuno può più fare del male; il Signore presente che libera da ogni schiavitù; il Custode che non dimentica la sua alleanza.
In Gesù continuiamo a essere preziosi agli occhi di Dio, suo tesoro, sua terra riscattata. E proprio per questo siamo un regno di sacerdoti, capaci di celebrare la vita, di rinnovarla, di farla risorgere.
Dio a Mosè dice: «Darete ascolto alla mia voce e custodirete la mia alleanza». È a questo che continuiamo a essere chiamati. Perché l’esperienza di salvezza, dono inaudito e totale, ci chiede di diventare salvezza. Chiama me, chiama te, ci chiama per nome e ci chiede: «Vuoi portare vita? Vuoi liberare? Vuoi che altri, attraverso te, si sentano raggiunti dall’amore di Dio?».
La sua voce ci raggiunge. La sua alleanza ci interpella. Custodirla è rispondere.

UNA PREGHIERA COME SOSTEGNO

Ci riconsegni alla vita

Ci capita, Signore:
a volte, ci impantaniamo nello scoraggiamento,
nell’amarezza, nella delusione.
Capita anche a noi
che dovremmo
credere nella risurrezione,
nelle vie nuove che lo Spirito
può sempre aprire,
nella provvidenza.
Siamo stanchi e sfiniti,
disorientati da un andare
che non è una via.

Ma noi oggi vogliamo
guardare te e rinnovare
la nostra più intima certezza:
tu sei per noi, instancabilmente
dalla nostra parte.
Ti fai carico di ogni nostra amarezza
e ci riconsegni alla vita.
Noi ti lodiamo, Signore.
Amen.

DAL VANGELO DELLA DOMENICA
(Mt 9,36-10,8)

In quel tempo, Gesù, vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe perché mandi operai nella sua messe!».
Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità.
I nomi dei dodici apostoli sono: primo, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello; Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello; Filippo e Bartolomeo; Tommaso e Matteo il pubblicano; Giacomo, figlio di Alfeo, e Taddeo; Simone il Cananeo e Giuda l’Iscariota, colui che poi lo tradì.
Questi sono i Dodici che Gesù invò, ordinando loro: «Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele. Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date».

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Dio nutre – BUONA DOMENICA! Solennità del Corpo e Sangue del Signore – ANNO A

«Chi mangia la mia carne
e beve il mio sangue
rimane in me e io in lui»
(Gv 6,56)

Che cosa celebriamo nella solennità del Corpo e Sangue di Gesù?
Oggi credo che i bambini a messa potrebbe restare un po’ perplessi. Forse accade così anche quando iniziamo a parlare loro della Prima comunione. Quando gli diciamo che ci prepariamo a mangiare il Corpo e Sangue del Signore. Nella loro logica, detta così, sembra di aver a che fare più con una prospettiva degna del migliore cannibalismo che non con amore, bontà, dono. Ma forse non sono i soli. Anche chi è lontano dalla nostra fede e dalla comprensione del nostro linguaggio potrebbe pensarla così, e restare alquanto perplesso. E poi ci siamo noi! Noi che da anni celebriamo questa solennità in grande stile e “partecipiamo” con fedeltà di quel Corpo e di quel Sangue che sono la nostra salvezza. Noi che a quel dono dovremmo lasciarci andare e da quel dono farci impastare.
Continuo a chiederlo a me stessa: che cosa celebriamo nella solennità del Corpo e Sangue di Gesù?
Diciamo, e crediamo, che Gesù di Nazaret è il Dio fatto carne, è la nostra possibilità di vedere Dio, di sentire e percepire il suo cuore, di lasciarci attraversare dal suo amore. Verissimo! E infatti la solennità che oggi celebriamo spalanca le porte a una specifica caratteristica di Dio: Dio nutre; e nutrendo sostiene; e sostenendo dà la vita; e la vita è salvezza.
Dio nutre: che meravigliosa certezza! È ciò che Mosè chiede al popolo di ricordare. Quel Dio che fa uscire, poi si prende cura. A quanto pare è la sua logica. Ha fatto uscire i progenitori dal giardino, perché imparassero a desiderare la Vita, e li ha vestiti, prendendosene cura. Ha fatto uscire Israele dall’Egitto, perché sperimentasse la sua presenza e imparasse a contare sulla sua cura, e lo ha nutrito, sostenuto, difeso, accompagnato. Ha spinto Gesù nel deserto, perché in quanto uomo sentisse il limite delle sue forze e in quanto Dio indicasse nella Parola il vero nutrimento. Ha incontrato le folle fuori da case, città e paesi, dove nulla se non ciò che è condiviso può diventare cibo che nutre. Ha oscurato e fatto tremare la terra e squarciato il velo del tempio, perché fosse chiaro che né la terra né il cielo sono sicurezza, e in quel momento, in un luogo detto Cranio, luogo di condanna e morte, ha spezzato per noi suo figlio, e in suo figlio se stesso. Lo ha reso pane, cibo, nutrimento. In quel momento, sulla croce, qualcuno ha visto la morte di un figlio d’uomo e ha accusato l’uomo; altri hanno visto morire il Salvatore, reggitore di mille speranze, e sono fuggiti; altri hanno sentito morire il figlio di Dio e hanno alzato il dito verso Dio.
Ma colui che aveva preso il pane, lo aveva benedetto, spezzato e condiviso, colui che aveva detto: «Prendete e mangiate, questo è il mio corpo», lui offre tutto se stesso, il suo stesso spirito, la sua vita, perché chi di lui si fida possa riceverla con abbondanza.
Ecco, celebrare la solennità del Corpo e Sangue di Gesù significa ricordare a noi stessi che Dio, il Dio comunione, il Dio vitalità, il Dio trinità ed effervescenza d’amore, ci raggiunge sempre e ci nutre. E si fa per noi pane, cibo, sorgente inesauribile di vita e di gioia!

UNA PREGHIERA COME SOSTEGNO

Pane di vita, sorgente di gioia

Signore Gesù, pane del cielo,
ogni giorno ci nutri di vita,
di quella vita infinita
che vibra nel cuore di Dio.

Sei pane che alimenta
il più flebile dei nostri respiri.
Se nutrimento che dà forza
quando tutto sembra consumarci.
Sei cibo che sazia la fame di senso
e acqua che disseta l’arsura più tenace.

Possa il nostro cuore cercarti, Signore Gesù,
possa tutto di noi desiderare te,
pane della vita, sorgente della gioia.
Amen.

DAL VANGELO DELLA DOMENICA
(Gv 6,51-58)

In quel tempo, Gesù disse alla folla:
«Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

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