Io, io cancello i tuoi misfatti
per amore di me stesso,
e non ricordo più i tuoi peccati.
Dal libro del profeta Isaia (Is 43,18-19.21-22.24-25)
VII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO -Anno B-
La parola a…
don Paolo Curtaz
Il papa che aveva commissionato a Michelangelo Bonarroti il proprio monumento funebre, pieno di ammirazione davanti al Mosé, chiedendo lumi al genio sulla sua opera, si sentì rispondere: “E’ stato sem
plice: ho preso un blocco di marmo e ho tolto via tutto ciò che non era Mosé”.
Il peccato è tutto ciò che non è Mosé, tutto ciò che ci rende diversi dal capolavoro che Dio vuole che diventiamo. Perciò è per noi indispensabile poterci liberare dal peccato, volare liberi e in alto e poter correre come il paralitico guarito…
Il peccato, più che offesa a Dio, è offesa a ciò che siamo chiamati a diventare.
Riconoscere la propria colpa significa prendersi in mano, diventare grandi, prendere coscienza, capire che il proprio limite non è una gabbia che ci imprigiona ma lo spazio in cui siamo chiamati a realizzarci. Il nostro Dio, dice Gesù, è un Padre che perdona, che restituisce dignità, che rende liberi di amare. In equilibrio tra malsane macerazioni e disistime e pericolose supponenze, il discepolo sa quel che vale e, perciò, il proprio peccato non lo spaventa.
Tutti portiamo nel cuore delle tenebre, delle cose che ci spaventano, delle pulsioni che ci turbano, oscure. Le tenebre esistono, inutile nasconderle. Ma inutile anche lasciarsi influenzare: non lasciamo che le tenebre parlino al nostro cuore, così che la nostra vita, come quella del Maestro, diventi un unico, grande, ripetuto “sì”.
Potremo allora prendere in mano il lettino della nostra paralisi, le abitudini oscure su cui ci eravamo adagiati, per tornarcene tranquillamente nella casa del Padre che ci ama come siamo, sempre.
…e per riflettere puoi scaricare: Crescita umana e spirituale
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