Figlio mio, raccomando, prima di tutto,
che si facciano domande, suppliche, preghiere
per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli
che stanno al potere.
1Tm 2,1
«Voglio che in ogni luogo gli uomini preghino, alzando mani pure, senza collera, senza contese». È così che si conclude la seconda lettura della XXV domenica del Tempo Ordinario. Ed è desiderio, ma anche invito pressante dell’apostolo Paolo perché quelle mani pure si alzino a nome di re e di tutti coloro che stanno al potere.
Mi fermo qui, e non posso non chiedermi: lo faccio? Io che credo nella forza dell’intercessione e della preghiera, lo faccio? Io che credo che le mani pure di un potente significhino pace e giustizia sociale per i popoli; io che credo che il cuore retto di un potente possa costruire pace e futuro per le nazioni… io lo faccio? Prego a nome di re e di tutti coloro che stanno al potere? Noi preghiamo?
Potrei dire di sì, potrei dirlo per me, e potrei dirlo anche per tanti altri che conosco. Potrei dire quante volte i potenti, i governanti entrano nella nostra preghiera. Ma oggi l’appello dell’apostolo Paolo a Timoteo mi chiede di andare più in profondità e di interrogare non tanto il contenuto della mia e nostra preghiera, ma la purezza delle mie mani, la rettitudine dei miei pensieri, la trasparenza delle mie intenzioni, il coraggio o parresia delle scelte, la gratuità dei progetti, la delicatezza della coscienza, perché è questo che rende vera e preziosa la mia preghiera.
Oggi l’appello di Paolo abbinato alla forza delle parole del profeta Amos e di Gesù non lasciano troppe scappatoie.
La verità della nostra preghiera davanti a Dio è direttamente proporzionale alla purezza delle nostre mani, del nostro cuore, delle nostre scelte. È lì la cartina di tornasole, e viceversa. E penso…
Nell’amministrare ciò che da Dio ho ricevuto quanta fedeltà c’è in me?
Quanta vita ho sperperato?
Quanta della fiducia che mi è stata data è diventata un dono per altre, per altri?
Chi scelgo davvero di servire?
Quanta vita le mie mani donano? E quanta ne sottraggono?
Oggi, è certo, il mondo ha bisogno, e con grande urgenza, che qualcuno gli riconsegni Dio, che mani pure, senza collera e non ostili, continuino a donare Gesù Cristo a questa storia così fragile e litigiosa, così colpevole di morte e violenza, così incapace di regalarsi pace.
Il mondo ha bisogno di Gesù Cristo, la più grande delle ricchezze. Concedetemelo, la sola vera ricchezza.
Se siamo davvero figli della luce dobbiamo agire, con sollecitudine, coraggio, determinazione, come l’amministratore presentato dal Vangelo. E a tutto questo unire la generosità.
Se abbiamo davvero conosciuto Gesù e ne abbiamo fatto il centro della nostra vita, e penso a ogni credente che prenda seriamente il Vangelo, allora oggi, e non domani, dobbiamo scegliere chi servire, decidere a chi essere davvero fedeli, a quali criteri dare spazio.
Due padroni non possono essere serviti. E preferire Dio significa scegliere di stare dalla parte del bene, anche a costo di perdere, e decidere di farlo con rapidità e lungimiranza.
Non possiamo tentennare, non possiamo rimandare; i poveri sono calpestati e gli indifesi sterminati in troppe terre: Palestina, Sudan, Myanmar, Yemen, Congo, Siria, Nicaragua e sono solo alcuni… popoli contro popoli, persone contro persone.
Oggi questo mondo ha bisogno di mani e cuori puri che non si stanchino di scegliere il bene, di donare Dio.
Con cuore puro
Dio, nostro padre e salvatore,
quanta vita affidi ogni giorno alle nostre mani!
Quanta ricchezza destinata
al mondo ci attraversa!
Eppure, quanta ne sperperiamo!
Quanta vita disperdiamo per paura,
per eccessiva prudenza, o per comodità!
La tua parola ci faccia crescere
nella fedeltà a te e al tuo Vangelo,
ci renda capaci di coltivare un cuore puro
e una coscienza retta per essere nel mondo
artigiani di bene e costruttori efficaci di pace.
Amen.
DAL VANGELO DELLA DOMENICA
(Lc 16,1-13)
In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli:
«Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”.
L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”.
Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”.
Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce.
Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne.
Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?
Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».
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