«La farina della giara
non si esaurirà
e l’orcio dell’olio non diminuirà».
(1Re 17,14)
Ci sono tanti modi per attendere qualcosa, e ci sono molti frutti che l’attesa può fare germogliare. C’è chi dell’attesa non riesce a reggere il silenzio, il vuoto, il disorientamento. C’è chi ne ha paura…
Quando l’attesa si fa lunga, si avvicina pericolosamente anche il confine della disperazione.
Eppure attendere nella notte significa raggiungere il nuovo giorno.
Attendere è generare, è aprirsi, è lasciarsi levigare, è irrobustirsi.
L’attesa è una sorta di allenamento. Il punto però è sapere che cosa attendiamo quando scegliamo di attendere. La vita ogni giorno ci rimette in pista e qualunque evento ci mette davanti a un bivio: Mollare o attendere diventa allora una scelta. Non solo! Anche scegliere come attendere può essere una scelta, anzi forse è proprio quella la scelta che può fare la differenza in noi e attorno a noi.
Mollare può essere sinonimo di resa, scoraggiamento, adeguamento. Oppure potrebbe voler dire: cambiare rotta, cambiare strada, scegliere altro…
Ma attendere non è necessariamente sinonimo di generatività. Si può anche scegliere di attendere l’alba dormendo, lasciando che altri ci traghettino nel giorno nuovo, consentendogli di farlo con il loro stile e soprattutto con i loro mezzi (valori, motivazioni, scelte). Ma si può anche scegliere di attendere morendo dentro, tagliando i ponti con ogni forma di speranza. E questa attesa è destinata a diventare deserto.
Ma qual è l’attesa cristiana? Il cristiano sa che anche oltre l’oscurarsi del sole, oltre lo spegnersi della luna, oltre la caduta dell’ultima stella, oltre lo sconvolgimento del mondo e dei popoli, c’è lui, il Dio-con-noi, l’Onnipotente che si è fatto Figlio dell’uomo.
Il cristiano che attende sa di dover abitare quotidianamente il mondo coltivando la logica dell’agricoltore che guardando il ramo spoglio sa scorgere la linfa e immaginare i frutti. E sa di doverlo fare esercitando un’attesa curativa, un’attesa cioè pregna di cura, attenzione, vigilanza.
Il ramo tenero ha bisogno di essere protetto negli inverni, così come il mondo ferito ha bisogno di essere curato.
C’è una parola che vorrei potesse accompagnarci lungo questa settimana, è visione: la voglia, la determinazione cioè di vedere oltre, per far vedere oltre.
Oltre il solo oggi, oltre il solo dolore, oltre le sole fatiche, oltre la sola sterilità, oltre la sola impotenza…
Oltre c’è la vita che non molla. Oltre c’è Dio che vuole cocciutamente germogliare nei deserti e dare vita.
Aprici alla tua venuta
Signore Gesù, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo,
radunaci attorno a te ogni giorno
e nutri con la tua Parola la nostra attesa
perché sia generatrice vita,
perché ci apra alla tua venuta
e alla novità che da te attraversa la storia.
In te possiamo sperare.
In te vogliamo sperare.
Che il ramo intirizzito germogli.
Che ogni deserto fiorisca.
Che in ogni fine ci sia sempre un inizio.
Radunaci attorno a te, Maestro,
e cuore, intelligenza e volontà
restino desti in un’attesa pregna di speranza.
Amen.
DAL VANGELO DELLA DOMENICA
(Mc 13,24-32)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«In quei giorni, dopo quella tribolazione,
il sole si oscurerà,
la luna non darà più la sua luce,
le stelle cadranno dal cielo
e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo.
Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte.
In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.
Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre».
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