«Se uno vuole essere il primo,
sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti»
(Mc 9,35)
Che cosa significa essere ultimi in una società fortemente segnata da competizione, obiettivi, efficienza? E quanto è fattibile oggi la proposta del Vangelo?
Vi chiedo, e lo chiedo a me stessa, di non considerare banali queste domande, perché di fatto quello che spesso rende il Vangelo una proposta efficace, una via percorribile, è proprio il grado di praticabilità che gli riconosciamo.
Capita purtroppo molto spesso di sentire o di darsi giustificazioni, quasi che le vie che il Vangelo traccia per la nostra vita siano roba per altri. Riascoltiamo le nostre risposte interiori rispetto a certi appelli che il Vangelo ci rivolge nel silenzio di una preghiera personale, o nella voce della storia, o nel grido degli ultimi, o nelle richieste dei vicini: a volte le nostre sono vere e proprie omissioni, giustificate da quel senso di incapacità, o impotenza, o inadeguatezza che alla fine dei conti ha anche la potenza di zittire da una parte il Vangelo e dall’altra i nostri disturbanti sensi di colpa. Sempre più spesso, in nome di un sano benessere personale, ci stiamo accontentando di ciò che siamo, di quella tranquilla zona di comfort raggiunta, senza pensare che proprio ciò che ci muove da noi stessi e dalle nostre accomodanti sicurezze, può farci scoprire quel di più di noi che neppure immaginiamo.
Ecco, oggi, di fronte al Vangelo di questa XXV domenica del Tempo Ordinario non riesco a non pensare a tutto questo. Non riesco a non sentire vivi in me quei discepoli così preoccupati di sé stessi, del proprio posto, e così distanti da quelle logiche di vita, di fede, di impotenza a cui Gesù di Nazaret li stava allenando.
Lo sappiamo: il Vangelo spesso è un pane duro da masticare, lo era anche per i Dodici e per tutti i discepoli e le discepole che seguivano il Maestro; per questo lui continua a camminare con loro insegnando, a fermarsi con loro insegnando, a vivere con loro insegnando. Ogni gesto, ogni parola, ogni passo, ogni incontro diventa scuola nella quale imparare a diventare buona notizia. Ma la proposta è dura e radicale.
Davanti a ogni discepolo svetta la passione, la morte, la chiamata a stare dalla parte degli ultimi. La risurrezione annunciata è realtà, ma è l’orizzonte ultimo e va oltre ogni possibile scelta: è il Padre che fa risorgere il Figlio; e la risurrezione accade per la potenza di Dio.
Il Figlio paradossalmente non sceglie la risurrezione, lui sceglie fino a che punto spingersi, fino a che punto fidarsi del Padre, fino a che punto donarsi. E poi il Padre abbraccia e riconsegna alla vita.
E questa straordinaria dinamica di risurrezione è ciò che il Vangelo oggi ci propone di vivere.
Noi possiamo vedere veramente accadere Dio in questa nostra storia, personale, ecclesiale, sociale.
Noi possiamo veramente diventare la sua casa, il suo Vangelo.
Noi come Gesù, in Gesù, possiamo essere visibilità di quel Padre che vuole continuare a far risorgere dalla morte.
Noi possiamo accogliere chi come i bambini non ha alcun diritto, noi possiamo abbracciare servendo chi chiede vita, dignità, riconoscimento.
Noi possiamo, abbiamo in noi la potenza di Dio e la sua grazia.
Come i discepoli siamo chiamati a cogliere quella vita che Dio sta suscitando dalle pietre. E dobbiamo consapevolmente fermare, arginare, bloccare tutto ciò che in noi è ostacolo a Dio: gelosie, invidie, disordine anche interiore, azioni cattive, ma anche omissioni, rivalità e contesa, non accoglienza. Inutile giustificarci: il bene si irradia e costruisce, porta alla pace, crea una casa aperta, riconosce e custodisce i germogli di vita. È a questo che siamo chiamati. Diversamente, proprio noi che vorremmo difendere la vita di Dio rischiamo di soffocarla.
Insegnaci ad accogliere
Signore Gesù, quanta lucidità nei tuoi gesti,
quanta vita nelle tue parole!
Sei stato maestro di dono e di totalità,
di accoglienza e di servizio, di totale disponibilità al Padre:
vorremmo seguire i tuoi passi
e vivere con la tua stessa intensità.
Liberaci da noi stessi e dai nostri blocchi interiori,
dalle nostre prospettive spesso troppo ridotte a noi stessi,
dalla nostra voglia di primeggiare,
dalla convinzione di sapere sempre ciò che è giusto.
Spalanca a te gli orizzonti della mente e del cuore,
per imparare a tenere dentro gli altri,
per riconoscere e accogliere l’inedito di Dio.
Amen.
DAL VANGELO DELLA DOMENICA
(Mc 9,30-37)
In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.
Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti».
E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».
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